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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-04272015-105028


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DELFINO, LUDOVICA
URN
etd-04272015-105028
Titolo
Il viaggio come incontro con l'Altro
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
controrelatore Prof. Linguiti, Gennar Luigi
relatore Prof.ssa Paschi, Manuela
Parole chiave
  • Hillman
  • Riva
  • Onfray
  • viaggio
  • identità
Data inizio appello
25/05/2015
Consultabilità
Completa
Riassunto
La scelta di questo tema, il viaggio, nasce da una riflessione personale.
Ho potuto personalmente sperimentare quanto il viaggio, inteso non soltanto come spostamento fisico verso mete esotiche ma come disposizione al confronto e all’incontro, possa essere uno strumento di esaltazione della vita stessa e quanto sia importante non rimanere immobili, confinati nei limiti angusti della propria casa e della propria cultura.
Dunque, nei tre capitoli della tesi, analizzando le caratteristiche del viaggio, e come questo influisca sull’individuo e sulla collettività, proverò a spiegare il perché della sua importanza.
Partendo dal primo capitolo vediamo come l’umano è sempre stato caratterizzato da un’irrefrenabile spinta in avanti, dalla voglia di oltrepassare i propri limiti, concetto incarnato pienamente dalla figura di Ulisse.
A tal proposito il filosofo Santayana nel suo saggio Filosofia del viaggio,analizza la differenza ontologica tra animale e uomo, soffermandosi sul diverso utilizzo della facoltà del moto, che nel caso dell’animale è usata esclusivamente per la sopravvivenza, nel secondo per la scoperta e la curiosità di esplorare, non necessariamente con lo scopo di soddisfare un bisogno primario.
Analizzo, dunque, il viaggio come esperienza tipicamente umana di alterazione e assimilazione, come forza rigeneratrice che abbatte gli schemi mentali e porta illuminazioni impreviste e inedite che aprono innumerevoli possibilità, non solo per l’individuo ma anche per la collettività, se vissuto fino in fondo.
In questo primo capitolo, inoltre, mi soffermo sui tre momenti principali del viaggio, che presentano caratteristiche differenti: la partenza, vissuta come perdita affettiva, il transito, periodo di movimento che comporta disagio e squilibrio e produce determinati pensieri, esigenze e scopi, e, infine, l’arrivo, visto come tentativo di fondare una nuova unione tra soggetto e contesto.
La soggettività dell’io in viaggio subisce particolari stravolgimenti, tanto che il viaggio sembra avere effetti determinanti sull’identità che può essere modificata, fuggita o trasfigurata. Vediamo in particolare nella figura di James Boswell, che poneva in stretta connessione la sua professione di attore e la sua pratica di viaggiatore, come cambiare spesso scenario possa permettere perfino di giocare con la propria identità e, scoprendo nuovi volti di sé stessi, giungere a un’unicità irriducibile.
Il viaggio, pertanto, può anche essere inteso come “potenza negativa” che, spogliando il viaggiatore delle sue sicurezze e togliendolo dal proprio contesto rassicurante, lo libera dai preconcetti su di sé, permettendo così di “guadagnare la vita perdendola”.
L’inatteso, infatti, elemento ricorrente nel viaggio, è un forte elemento di trasformazione, che porta il viaggiatore a vivere esperienze altrimenti impossibili in casa propria, e a mettere in luce comportamenti, pensieri, paure prima sconosciuti, che portano inevitabilmente a un arricchimento.
Il primo capitolo, alla luce di queste considerazioni, si conclude con l’immagine della spirale, contrapposta a quella consueta per indicare il viaggio, quella del cerchio, che vede nel ritorno , un ritorno all’origine.
Utilizzo l’immagine della spirale, discostandomi da quella del cerchio, perché, a mio parere, il viaggiatore, se vive il viaggio come esperienza di confronto e arricchimento, nel momento in cui ritorna alla propria dimora, si ritrova inevitabilmente cambiato. E pertanto, il ritorno all’origine è al tempo stesso un allontanamento progressivo dall’origine. A ogni viaggio, a ogni esperienza nuova, ci si allontana sempre più da quello che si era al momento della partenza.
Nel secondo capitolo mi soffermo su tre tipi di viaggiatori: le viaggiatrici donne, il flâneur, e il turista, notevolmente diverso dal viaggiatore classico.
Per quanto riguarda le viaggiatrici c’è da dire che, da sempre, la donna è stata associata alla casa e dunque alla stabilità, a differenza dell’uomo che aveva la possibilità di incarnare caratteristiche opposte quali avventura e mobilità. Questo binomio contrapposto lo possiamo vedere esemplificato nella coppia Ulisse/Penelope, che ha influenzato notevolmente letteratura e cinema.
Le donne hanno dovuto lottare per uscire fuori da questa categoria imposta e prendersi il diritto di viaggiare, il diritto alla libertà, sfidando e smentendo pregiudizi sociali secolari. E vediamo come lo hanno fatto mantenendo tenacia e dignità, avendo il coraggio di mostrare una diversità che negli anni passati doveva essere molto scomoda da esibire.
Un esempio esemplare, riportato da Theroux nel suo libro Il tao del viaggio è Dervla Murphy, una viaggiatrice autodidatta, che sfida ogni convenzione viaggiando per il mondo in bicicletta, portando con sé la figlia, durante tutti i suoi viaggi.
Analizzo, in seguito, la figura controversa del flâneur, nata nella Francia dell’Ottocento; si trattava di una categoria poco definita di uomini, in genere intellettuali, che vagavano per la città, tra la folla, osservandone i comportamenti e, nei loro ozi provocatori, sfidavano l’impianto funzionalista e la rigida organizzazione del lavoro tipica industriale.
Oggi il flâneur sembra tornato in voga per descrivere alcune pratiche di viaggio ed esplorazione dei luoghi e di relazione consapevole con le persone e i contesti.
Il flâneur sembra rappresentare lo smarrimento tipico dei nostri giorni, in un mondo sempre più impersonale, ma anche la voglia di instaurare nuove relazioni coi luoghi. Infatti il suo modo di viaggiare va contro le dinamiche consumistiche di massa e esalta la dimensione intellettuale come elemento regolatore del rapporto tra individuo e luogo visitato.
La perdita di senso del viaggio, la trasformazione del mondo e dei luoghi in spazi sempre più impersonali, l’avvento della tecnologia e la svalutazione del viaggio nelle sue caratteristiche essenziali trova corpo in un tipo di viaggiatore moderno, il turista. Vedremo, infatti, come il turista, con i suoi viaggi prestabiliti, il suo orrore per i tempi morti e vuoti, la sua ansia di controllo e comunicazione virtuale col luogo lasciato, durante il viaggio, abbia ribaltato le caratteristiche del viaggio, privandolo della libertà, del vero incontro e dell’imprevisto, riducendolo a prodotto di commercio, consumato prima ancora di essere effettuato.
Per concludere, nel terzo capitolo, ricollegandoci alla figura del turista e a come il viaggio in epoca post-moderna sia cambiato, prende corpo l’idea nostalgica del viaggio del passato, quando esisteva un confine tra noto e ignoto, quando la fuga era possibile.
Leed nel suo libro La mente del viaggiatore individua una “disperazione commuovente” nei tentativi dei viaggiatori di distinguersi dalla massa dei viaggianti e di evitare i turisti e dove si raccolgono; ma questo conferma solo il fatto che il viaggio non è più un mezzo che permetta di distinguersi.
Il viaggio, così, passa da esperienza eccezionale qual’era a fatto di routine.
In questo capitolo ci soffermiamo in modo particolare sul vero incontro con l’Altro, davvero carente nel panorama del turismo post-moderno.
Infatti, la velocità degli spostamenti, il progresso tecnologico in particolare nell’ambito della comunicazione e la globalizzazione con i fenomeni di omologazione che ne conseguono, hanno modificato notevolmente le modalità di approccio all’Altro e all’altrove.
Si è meno disposti, meno curiosi di incontrare la diversità nello scenario rassicurante del turismo globale, vi è una mancanza di apertura e fiducia, che sfocia in una sempre più frequente gestione controllata dell’incontro, che si estende al viaggio, ma che in realtà inizia in casa propria.
Il viaggio , invece, nega l’identico, la ripetizione, nega che tutto sia omologabile, nega la paura del diverso. Viaggiare è lasciarsi scuotere, incontrarsi; non si viaggia nella pura conferma di sé, una conferma irreale perché, come afferma Buber nell’opera Il principio dialogico e altri saggi , “Ogni vita reale è incontro”.
Il filosofo Bauman, in proposito, individua la pericolosità di considerare l’Altro come una minaccia alla propria identità, alla propria cultura, proponendo invece un’apertura, un’integrazione come chiave di nuove forme di umanità.
Il viaggio visto come apertura al diverso, come rimessa in gioco della relazione umana, carente in epoca post-moderna, può infatti costituire la via verso nuove possibilità di vita, di tolleranza e di creatività culturale.
Perché la creatività è un prodotto della relazione non dell’isolamento, ed è solo con la relazione che si creano ponti su cui transitano persone e idee in entrambe le direzioni, espressioni di incontri e intrecci di esperienza.

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