Tesi etd-04242009-150049 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
PASQUINELLI, CHIARA
URN
etd-04242009-150049
Titolo
Le requisizioni di opere d'arte in Toscana durante gli anni francesi (1796-1815). I fatti, i protagonisti, le conseguenze.
Settore scientifico disciplinare
M-STO/04
Corso di studi
STORIA E SOCIOLOGIA DELLA MODERNITA'
Relatori
Relatore Prof. Barsanti, Danilo
Relatore Prof. Ciuffoletti, Zeffiro
Relatore Prof. Ciuffoletti, Zeffiro
Parole chiave
- Dominique Vivant Denon
- Galleria degli Uffizi
- Museo del Louvre
- Requisizioni napoleoniche
- Tommaso Puccini
- Toscana napoleonica
Data inizio appello
25/05/2009
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
25/05/2049
Riassunto
Il problema delle requisizioni di opere d’arte da parte dei francesi nella penisola italiana, durante gli anni che vanno dal 1796 al 1814, è un argomento di notevole interesse storiografico. Recentemente proprio riguardo alla questione sono stati compiuti molti studi e scritti diversi contributi. Se la storiografia internazionale sull'argomento è ricca, basti pensare agli studi di Marie Blumer, Charles Saunier, Paul Wescher, Francis Henry Taylor, Cecil Gould, Ferdinand Boyer e, tra i più recenti, Edouard Pommier, David Poulot e Benedicte Savoy, anche la letteratura italiana sta prendendo negli ultimi anni sempre più campo grazie ai lavori di Antonio Pinelli, Maria Elisa Tittoni, Bonita Cleri e Claudio Giardini, oltre ai recenti studi di Daniela Camurri e Maddalena Vazzoler.
La storia della Toscana dalla prima occupazione del porto di Livorno nel 1796, fino alla definitiva annessione all’Impero di Bonaparte, è ben nota. Le prime analisi delle vicende legate alla questione delle confische di opere d'arte, in relazione al Granducato, si aprono con l'opera fondamentale di Antonio Zobi Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848 che, nel tomo III, affronta in maniera polemica la vicenda, seppur con alcune lacune, a partire dall'occupazione livornese del 1796. In seguito sono stati soprattutto gli studi di Ferdinand Boyer ad approfondire la questione delle requisizioni attraverso un ampio spoglio della documentazione presente, non soltanto presso gli Archivi Nazionali di Parigi, ma anche nei fondi toscani, in particolar modo fiorentini. Per quanto “datati”, i lavori dello storico francese rimangono ad oggi un punto di riferimento essenziale per ricostruire il contesto e i protagonisti dei fatti. Tra gli atti di convegno è opportuno segnalare i saggi legati al “colloque” svoltosi a Firenze presso l'Istituto di Cultura Francese nel giugno del 1977, firmati da Gabriella Incerpi e da Alvar Gonzalés Palacios, entrambi riguardanti le opere d'arte esportate all'epoca dell'occupazione del 1799 ed i restauri eseguiti su queste. Per avere un quadro completo dele vicende del 1799, resta fondamentale anche il saggio di Ivano Tognarini, che analizza in particolare la posizione dei commissari francesi residenti a Firenze, oltre che le misure di difesa messe in atto dai dirigenti toscani.
Tra gli studi più recenti ricordiamo in particolare i lavori di Ettore Spalletti, che affrontano soprattutto il ruolo svolto da Tommaso Puccini, direttore degli Uffizi e segretario dell'Accademia di Belle Arti all'epoca delle confische; quelli di Serena Padovani di più ampio respiro sulla storia della Galleria Palatina e, per singole realtà locali negli anni dell'annessione all'Impero francese, gli articoli di Giampiero Lucchesi e di Francesco Mineccia. Infine, di chi scrive, ci sia consentito riportare alcuni lavori recenti legati soprattutto a degli episodi specifici. Infine, per la questione delle restituzioni dei capolavori esportati dal Granducato a Parigi ricordiamo lo studio di Gabriele Paolini, corredato da un'ampia appendice documentaria.
Se gli studi precedentemente citati sono stati un punto di partenza, ma anche un riferimento fondamentale, l'utilizzo delle fonti d'archivio è stato altrettanto rilevante. Questo, soprattutto per quanto riguarda le realtà locali di Firenze, Siena, Livorno e Pisa, la cui documentazione è stata indispensabile per lo svolgimento delle ricerche di approfondimento sulle vicende dell'occupazione del 1799 e sulla questione delle confische degli anni 1811 e 1812, oltre che per l'intero periodo delle restituzioni del 1815. Ciò che infine ha permesso una visione d'insieme sono state sicuramente le ricerche parigine presso i fondi degli Archivi Nazionali e al centro di documentazione del Museo del Louvre, in cui è stato possibile non soltanto confrontare gli elenchi di opere d'arte in arrivo con le ricevute di partenza conservate a Firenze, ma sono anche stati individuati alcuni documenti inediti, particolarmente rilevanti soprattutto per arricchire i resoconti dei commissari francesi in missione in Toscana.
Attraverso uno sguardo d'insieme alla situazione toscana, l'obiettivo di questo lavoro è quello di dimostrare, con una capillare ricostruzione delle vicende anche tramite lo spoglio delle fonti d'archivio, come la situazione di emergenza venutasi a creare con le confische napoleoniche abbia contribuito a aprire una riflessione sull'importanza del patrimonio artistico e sul valore identitario e nazionale di questo: ossia sulla formazione di una coscienza moderna del patrimonio artistico toscano. Questo aspetto verrà analizzato gettando un sguardo d'approfondimento non solo ai singoli casi locali, (dedicando nello specifico un ampio e doveroso spazio alle vicende fiorentine), ma soprattutto studiando gli immediati risvolti e le misure adottate per contrastare (o per favorire) i sequestri.
Il lavoro è stato così strutturato. Nel Capitolo 2 vengono presi in esame i grandi cambiamenti che colpirono il mondo dell'arte e la sua stessa percezione all'epoca della Rivoluzione. È da questo momento infatti che gli ideali, gli scopi, ma anche la funzione stessa attribuita alle arti della pittura, della scultura, del disegno e della musica, mutarono radicalmente all'interno dell'ideologia rivoluzionaria, lasciando spesso spazio perfino a drammatici episodi di vandalismo nei confronti dei simboli dell'ancien régime. Passando attraverso la nascita del primo museo nazionale, allo stesso modo, proprio durante questo periodo prese corpo e si diffuse l'idea democratica della fruizione delle stesse opere al popolo intero, senza alcuna distinzione elitaria. Si concretizzava l'idea di un museo nazionale di tutte le arti, fino ad arrivare alla realizzazione di una collezione universale che fosse il primo museo non solo di Francia, ma dell'Europa intera. Nel medesimo capitolo si analizzano i primi progetti di requisizione nei confronti delle opere d'arte dei Paesi conquistati dalle armate rivoluzionarie, ma anche le prime voci di opposizione, come quella del famoso Quatremère de Quincy. Arriviamo in seguito alla progettazione della prima campagna d'Italia, al ruolo svolto da Napoleone Bonaparte nell'ambito delle conquiste di tesori artistici nella Penisola, passando attraverso una ricca e sentita testimonianza, quella del Commissario Gaspard Monge. Il capitolo si chiude con l'arrivo di Bonaparte a Firenze in visita al Granduca nel 1796, occasione in cui avvenne il primo incontro del Generale con le ammirate collezioni fiorentine, oltre che con Tommaso Puccini, conservatore e prossimo difensore di queste.
Nel Capitolo 3 si entra nel vivo della vicenda ricostruendo gli avvenimenti che riguardarono da vicino il Granducato di Toscana durante l'occupazione del 1799. In questa sezione della ricerca si passano in rassegna gli eventi che si susseguirono dopo ingresso dei francesi nel Granducato, con un'attenzione particolare alla città di Firenze che, proprio in quei tre mesi francesi, vide i ripetuti assalti alle collezioni artistiche da parte degli agenti di finanze e dei commissari incaricati della selezione delle opere di maggior pregio. Se le circostanze politiche e militari, nonché la strenua difesa del sorprintendente Puccini resero impossibile la realizzazione dei piani di sequestro di quanto di meglio esisteva agli Uffizi e nelle altre raccolte cittadine, fu Palazzo Pitti a fare le spese dell'intera occupazione. Sebbene, è opportuno ricordarlo, la documentazione esistente testimoni in maniera esauriente le confische della Galleria Palatina, ad oggi rimane ben difficile ricostruire i furti e le confische private avvenute ad opera di ufficiali, commissari o perfino antiquari ed amatori locali, putroppo non riportate nella suddetta documentazione. Il capitolo prosegue ricostruendo in seguito il viaggio orchestrato dalla Reggenza Granducale nell'autunno del 1800, in collaborazione con Tommaso Puccini che si recò a Palermo con un'ampia selezione di opere provenienti da Pitti e dagli Uffizi con lo scopo di anticipare le contromisure di difesa dal prossimo rientro dei francesi in Toscana. La sezione si chiude con la ricostruzione dell'episodio del sequestro delle Venere dei Medici direttamente dalla Sicilia, poco prima del rientro dell'intendente toscano in patria.
Il Capitolo 4 è invece dedicato a due specifici casi di studio: le città di Siena e di Livorno. Anche se fu Firenze, capitale dell'ex granducato, la più colpita dall'occupazione e dalle conseguenti requisizioni, non dobbiamo infatti dimenticare l'importanza di queste due città. Siena è il primo caso analizzato: seppur sede della famosa scuola pittorica senese, fu soprattutto il tributo in arredi ed argenti esistenti nei palazzi governativi e nobiliari quello richiesto ai suoi abitanti. Un evento a parte fu invece la perdita dell'Archivio delle Riformagioni, trasferito in Francia nel 1810, al tempo dell'annessione toscana all'Impero.
Ancor più interessante è il caso del porto labronico. Livorno, sede commerciale, ma anche nodo strategico di chiara fama per le sorti economiche e diplomatiche dell'intero granducato, giocò un ruolo fondamentale nella vicenda qui affrontata. Sebbene la città non godesse certo di fama artistica di Firenze, di Pisa, né tanto meno di Siena, Livorno si è però rivelata di fondamentale importanza per il passaggio e la spedizione dei convogli di opere d'arte requisite dai francesi negli altri stati italiani (qui in particolare si vedranno i casi delle confische romane), oltre che centro di smistamento di molti tesori ed oggetti che, pur non prendendo il mare per Marsiglia, trovarono in città il modo di mettersi in mostra attraverso vendite all'asta e nel circuito antiquario.
Nel Capitolo 5 viene studiata la questione del viaggio in Toscana del direttore del Museo del Louvre, ribattezzato Museo Napoleone, il barone Dominique Vivant Denon in occasione dell'applicazione del decreto Dauchy di soppressione degli enti e delle congregazioni regolari. Il passaggio da Pisa e Firenze, con la conseguente selezione di dipinti provenienti da conventi e monasteri soppressi e dalle chiese sconsacrate, portò Denon ad incontrarsi con i curatori Carlo Lasinio (Camposanto di Pisa) e Giovanni degli Alessandri (direttore del Museo degli Uffizi e segretario dell'Accademia di Belle Arti di Firenze). I rapporti reciproci, come avremo modo di vedere, furono ben diversi nei due casi. Fu in questa occasione che il direttore del Louvre selezionò accuratamente, con un gusto per l'epoca altamente innovativo, i cosiddetti mestri “primitivi”, spesso sottostimati o comunque poco apprezzati in patria. Questi capolavori, in seguito abbandonati dai commissari toscani incaricati del recupero delle opere requisite dopo la caduta di Napoleone, ad oggi ancora costituiscono il nucleo principale del Salone degli Italiani nell'ala Denon del Louvre.
Dopo aver passato in rassegna i vari momenti ed i diversi protagonisti delle confische di tesori artistici nel corso dei cosiddetti “anni francesi” in Toscana, il Capitolo 6 si occupa infine delle complessa e delicata questione delle restituzioni dopo il Congresso di Vienna. Dopo un primo momento di effettiva difficoltà, grazie alla decisiva intraprendenza dell'Ighilterra l'idea di equiparare le riparazioni territoriali agli indennizzi delle opere d'arte requisite si fece largo fra i commissari delle Potenze Alleate che avevano sconfitto Napoleone. Gli inviati toscani nel 1815, Giovanni degli Alessandri, Pietro Benvenuti ed il Cavalier Karcher furono i primi, tra gli italiani, a staccare materialmente i dipinti dalle sale espositive del Louvre. Sebbene soddisfatti di quanto fu rimpatriato, gli incaricati decisero di lasciare diverse opere all'epoca ritenute di minor valore che, invece, al giorno d'oggi rappresentano una perdita non indifferente per il patrimonio artistico toscano. Il rientro delle opere a Firenze fu festeggiato e accolto con un'esposizione pubblica il cui successo è testimoniato dalla necessità di prolungare i tempi della mostra stessa, proprio a causa della grande affluenza di visitatori.
La storia della Toscana dalla prima occupazione del porto di Livorno nel 1796, fino alla definitiva annessione all’Impero di Bonaparte, è ben nota. Le prime analisi delle vicende legate alla questione delle confische di opere d'arte, in relazione al Granducato, si aprono con l'opera fondamentale di Antonio Zobi Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848 che, nel tomo III, affronta in maniera polemica la vicenda, seppur con alcune lacune, a partire dall'occupazione livornese del 1796. In seguito sono stati soprattutto gli studi di Ferdinand Boyer ad approfondire la questione delle requisizioni attraverso un ampio spoglio della documentazione presente, non soltanto presso gli Archivi Nazionali di Parigi, ma anche nei fondi toscani, in particolar modo fiorentini. Per quanto “datati”, i lavori dello storico francese rimangono ad oggi un punto di riferimento essenziale per ricostruire il contesto e i protagonisti dei fatti. Tra gli atti di convegno è opportuno segnalare i saggi legati al “colloque” svoltosi a Firenze presso l'Istituto di Cultura Francese nel giugno del 1977, firmati da Gabriella Incerpi e da Alvar Gonzalés Palacios, entrambi riguardanti le opere d'arte esportate all'epoca dell'occupazione del 1799 ed i restauri eseguiti su queste. Per avere un quadro completo dele vicende del 1799, resta fondamentale anche il saggio di Ivano Tognarini, che analizza in particolare la posizione dei commissari francesi residenti a Firenze, oltre che le misure di difesa messe in atto dai dirigenti toscani.
Tra gli studi più recenti ricordiamo in particolare i lavori di Ettore Spalletti, che affrontano soprattutto il ruolo svolto da Tommaso Puccini, direttore degli Uffizi e segretario dell'Accademia di Belle Arti all'epoca delle confische; quelli di Serena Padovani di più ampio respiro sulla storia della Galleria Palatina e, per singole realtà locali negli anni dell'annessione all'Impero francese, gli articoli di Giampiero Lucchesi e di Francesco Mineccia. Infine, di chi scrive, ci sia consentito riportare alcuni lavori recenti legati soprattutto a degli episodi specifici. Infine, per la questione delle restituzioni dei capolavori esportati dal Granducato a Parigi ricordiamo lo studio di Gabriele Paolini, corredato da un'ampia appendice documentaria.
Se gli studi precedentemente citati sono stati un punto di partenza, ma anche un riferimento fondamentale, l'utilizzo delle fonti d'archivio è stato altrettanto rilevante. Questo, soprattutto per quanto riguarda le realtà locali di Firenze, Siena, Livorno e Pisa, la cui documentazione è stata indispensabile per lo svolgimento delle ricerche di approfondimento sulle vicende dell'occupazione del 1799 e sulla questione delle confische degli anni 1811 e 1812, oltre che per l'intero periodo delle restituzioni del 1815. Ciò che infine ha permesso una visione d'insieme sono state sicuramente le ricerche parigine presso i fondi degli Archivi Nazionali e al centro di documentazione del Museo del Louvre, in cui è stato possibile non soltanto confrontare gli elenchi di opere d'arte in arrivo con le ricevute di partenza conservate a Firenze, ma sono anche stati individuati alcuni documenti inediti, particolarmente rilevanti soprattutto per arricchire i resoconti dei commissari francesi in missione in Toscana.
Attraverso uno sguardo d'insieme alla situazione toscana, l'obiettivo di questo lavoro è quello di dimostrare, con una capillare ricostruzione delle vicende anche tramite lo spoglio delle fonti d'archivio, come la situazione di emergenza venutasi a creare con le confische napoleoniche abbia contribuito a aprire una riflessione sull'importanza del patrimonio artistico e sul valore identitario e nazionale di questo: ossia sulla formazione di una coscienza moderna del patrimonio artistico toscano. Questo aspetto verrà analizzato gettando un sguardo d'approfondimento non solo ai singoli casi locali, (dedicando nello specifico un ampio e doveroso spazio alle vicende fiorentine), ma soprattutto studiando gli immediati risvolti e le misure adottate per contrastare (o per favorire) i sequestri.
Il lavoro è stato così strutturato. Nel Capitolo 2 vengono presi in esame i grandi cambiamenti che colpirono il mondo dell'arte e la sua stessa percezione all'epoca della Rivoluzione. È da questo momento infatti che gli ideali, gli scopi, ma anche la funzione stessa attribuita alle arti della pittura, della scultura, del disegno e della musica, mutarono radicalmente all'interno dell'ideologia rivoluzionaria, lasciando spesso spazio perfino a drammatici episodi di vandalismo nei confronti dei simboli dell'ancien régime. Passando attraverso la nascita del primo museo nazionale, allo stesso modo, proprio durante questo periodo prese corpo e si diffuse l'idea democratica della fruizione delle stesse opere al popolo intero, senza alcuna distinzione elitaria. Si concretizzava l'idea di un museo nazionale di tutte le arti, fino ad arrivare alla realizzazione di una collezione universale che fosse il primo museo non solo di Francia, ma dell'Europa intera. Nel medesimo capitolo si analizzano i primi progetti di requisizione nei confronti delle opere d'arte dei Paesi conquistati dalle armate rivoluzionarie, ma anche le prime voci di opposizione, come quella del famoso Quatremère de Quincy. Arriviamo in seguito alla progettazione della prima campagna d'Italia, al ruolo svolto da Napoleone Bonaparte nell'ambito delle conquiste di tesori artistici nella Penisola, passando attraverso una ricca e sentita testimonianza, quella del Commissario Gaspard Monge. Il capitolo si chiude con l'arrivo di Bonaparte a Firenze in visita al Granduca nel 1796, occasione in cui avvenne il primo incontro del Generale con le ammirate collezioni fiorentine, oltre che con Tommaso Puccini, conservatore e prossimo difensore di queste.
Nel Capitolo 3 si entra nel vivo della vicenda ricostruendo gli avvenimenti che riguardarono da vicino il Granducato di Toscana durante l'occupazione del 1799. In questa sezione della ricerca si passano in rassegna gli eventi che si susseguirono dopo ingresso dei francesi nel Granducato, con un'attenzione particolare alla città di Firenze che, proprio in quei tre mesi francesi, vide i ripetuti assalti alle collezioni artistiche da parte degli agenti di finanze e dei commissari incaricati della selezione delle opere di maggior pregio. Se le circostanze politiche e militari, nonché la strenua difesa del sorprintendente Puccini resero impossibile la realizzazione dei piani di sequestro di quanto di meglio esisteva agli Uffizi e nelle altre raccolte cittadine, fu Palazzo Pitti a fare le spese dell'intera occupazione. Sebbene, è opportuno ricordarlo, la documentazione esistente testimoni in maniera esauriente le confische della Galleria Palatina, ad oggi rimane ben difficile ricostruire i furti e le confische private avvenute ad opera di ufficiali, commissari o perfino antiquari ed amatori locali, putroppo non riportate nella suddetta documentazione. Il capitolo prosegue ricostruendo in seguito il viaggio orchestrato dalla Reggenza Granducale nell'autunno del 1800, in collaborazione con Tommaso Puccini che si recò a Palermo con un'ampia selezione di opere provenienti da Pitti e dagli Uffizi con lo scopo di anticipare le contromisure di difesa dal prossimo rientro dei francesi in Toscana. La sezione si chiude con la ricostruzione dell'episodio del sequestro delle Venere dei Medici direttamente dalla Sicilia, poco prima del rientro dell'intendente toscano in patria.
Il Capitolo 4 è invece dedicato a due specifici casi di studio: le città di Siena e di Livorno. Anche se fu Firenze, capitale dell'ex granducato, la più colpita dall'occupazione e dalle conseguenti requisizioni, non dobbiamo infatti dimenticare l'importanza di queste due città. Siena è il primo caso analizzato: seppur sede della famosa scuola pittorica senese, fu soprattutto il tributo in arredi ed argenti esistenti nei palazzi governativi e nobiliari quello richiesto ai suoi abitanti. Un evento a parte fu invece la perdita dell'Archivio delle Riformagioni, trasferito in Francia nel 1810, al tempo dell'annessione toscana all'Impero.
Ancor più interessante è il caso del porto labronico. Livorno, sede commerciale, ma anche nodo strategico di chiara fama per le sorti economiche e diplomatiche dell'intero granducato, giocò un ruolo fondamentale nella vicenda qui affrontata. Sebbene la città non godesse certo di fama artistica di Firenze, di Pisa, né tanto meno di Siena, Livorno si è però rivelata di fondamentale importanza per il passaggio e la spedizione dei convogli di opere d'arte requisite dai francesi negli altri stati italiani (qui in particolare si vedranno i casi delle confische romane), oltre che centro di smistamento di molti tesori ed oggetti che, pur non prendendo il mare per Marsiglia, trovarono in città il modo di mettersi in mostra attraverso vendite all'asta e nel circuito antiquario.
Nel Capitolo 5 viene studiata la questione del viaggio in Toscana del direttore del Museo del Louvre, ribattezzato Museo Napoleone, il barone Dominique Vivant Denon in occasione dell'applicazione del decreto Dauchy di soppressione degli enti e delle congregazioni regolari. Il passaggio da Pisa e Firenze, con la conseguente selezione di dipinti provenienti da conventi e monasteri soppressi e dalle chiese sconsacrate, portò Denon ad incontrarsi con i curatori Carlo Lasinio (Camposanto di Pisa) e Giovanni degli Alessandri (direttore del Museo degli Uffizi e segretario dell'Accademia di Belle Arti di Firenze). I rapporti reciproci, come avremo modo di vedere, furono ben diversi nei due casi. Fu in questa occasione che il direttore del Louvre selezionò accuratamente, con un gusto per l'epoca altamente innovativo, i cosiddetti mestri “primitivi”, spesso sottostimati o comunque poco apprezzati in patria. Questi capolavori, in seguito abbandonati dai commissari toscani incaricati del recupero delle opere requisite dopo la caduta di Napoleone, ad oggi ancora costituiscono il nucleo principale del Salone degli Italiani nell'ala Denon del Louvre.
Dopo aver passato in rassegna i vari momenti ed i diversi protagonisti delle confische di tesori artistici nel corso dei cosiddetti “anni francesi” in Toscana, il Capitolo 6 si occupa infine delle complessa e delicata questione delle restituzioni dopo il Congresso di Vienna. Dopo un primo momento di effettiva difficoltà, grazie alla decisiva intraprendenza dell'Ighilterra l'idea di equiparare le riparazioni territoriali agli indennizzi delle opere d'arte requisite si fece largo fra i commissari delle Potenze Alleate che avevano sconfitto Napoleone. Gli inviati toscani nel 1815, Giovanni degli Alessandri, Pietro Benvenuti ed il Cavalier Karcher furono i primi, tra gli italiani, a staccare materialmente i dipinti dalle sale espositive del Louvre. Sebbene soddisfatti di quanto fu rimpatriato, gli incaricati decisero di lasciare diverse opere all'epoca ritenute di minor valore che, invece, al giorno d'oggi rappresentano una perdita non indifferente per il patrimonio artistico toscano. Il rientro delle opere a Firenze fu festeggiato e accolto con un'esposizione pubblica il cui successo è testimoniato dalla necessità di prolungare i tempi della mostra stessa, proprio a causa della grande affluenza di visitatori.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
La tesi non è consultabile. |