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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-04152021-130105


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
SPOSINI, LUDOVICA
URN
etd-04152021-130105
Titolo
L'incerta identità del consumatore tra Unione Europea e Stati Uniti d'America
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Calderai, Valentina
Parole chiave
  • diritto derivato europeo
  • diritto privato europeo
  • consumatore americano
  • consumatore europeo
Data inizio appello
03/05/2021
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il presente lavoro di ricerca persegue l’obiettivo di delineare i caratteri della figura del consumatore e dell’evoluzione che lo ha interessato attraverso un’analisi della normativa europea secondaria e della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Il Capitolo I ha ad oggetto le tappe principali e più significative della nascita ed evoluzione storica della politica a tutela del consumatore fin dalla Carta Europea dei consumatori del 1973, nella quale non solo si è definita per la prima volta la figura del consumatore ma sono stati elencati anche i suoi quattro diritti fondamentali: il diritto alla protezione e all’assistenza; il diritto al risarcimento del danno per la circolazione dei prodotti difettosi e per la diffusione di messaggi menzogneri; il diritto all’informazione e all’educazione e il diritto alla rappresentanza.
Il momento di svolta si è avuto di lì a poco con l’approvazione, il 14 aprile 1975, della risoluzione del Consiglio, con la quale si è dichiarato l’intento della Comunità Europea di realizzare l’armonizzazione delle varie normative nazionali sul tema.
Successivamente, se il Trattato di Maastricht ha consacrato come settore autonomo la politica di protezione dei consumatori, dedicando il Titolo XI alla “Protezione dei consumatori”, il Trattato di Amsterdam ha, invece, introdotto la protezione dei diritti e degli interessi dei consumatori quale obiettivo immediato dell’Unione Europea.
Dopo un’analisi storica del diritto dei consumatori, si tenterà un’analisi delle tecniche utilizzate a questo scopo dal legislatore europeo, dalla c.d. armonizzazione minima fino a quella “mirata”.
In una prima fase, il consumatore viene identificato esclusivamente quale mezzo attraverso cui raggiungere la piena realizzazione del mercato unico.
Se, dunque, originariamente l’Europa ha guardato al consumatore come soggetto (razionale) semplicemente bisognoso di protezione, si è successivamente assistito ad un cambio di atteggiamento volto, invece, a considerarlo come “motore” del mercato interno. È in questo cambio di prospettiva che si inseriscono gli studi delle nuove scienze psicologiche e cognitive che hanno dimostrato i limiti cognitivi di cui soffrono gli individui.
In particolare, il Capitolo II sarà dedicato all’analisi degli studi che hanno perseguito l’obiettivo di costruire un modello concreto di agente economico.
Grazie ad essi si è potuto abbandonare il presupposto della teoria economica classica secondo cui il consumatore è un individuo razionale che, semplicemente, ha bisogno di essere informato.
Ecco allora che la protezione dei consumatori passava (e passa tutt’ora) attraverso l’imposizione, a carico del professionista, di ingenti obblighi informativi, atteso che il consumatore sarebbe stato comunque in grado di gestire in maniera efficiente un enorme flusso di dati.
Detti studi hanno contribuito alla nascita di un nuovo metodo di analisi, la Behavioral Law & Economics, che critica il modello dell’homo oeconomicus in quanto astratto e irrealistico.
Secondo questo approccio, l’inefficienza non deriva solamente da asimmetrie informative ma altresì da una capacità non ottimale di elaborare le informazioni da parte degli agenti economici: l’individuo, anche avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie su tantissimi prodotti o servizi, non è comunque in grado di sfruttarle interamente.
Pertanto, nel Capitolo III, ci si chiederà se, tanto nel diritto europeo dei mercati quanto in quello dei contratti, risulti possibile affermare che il legislatore europeo abbia attinto ai risultati delle scienze comportamentali.
In questo senso, la Direttiva 93/13/CEE in materia di clausole abusive nei contratti con il consumatore, considera non vincolanti per il consumatore solamente quelle clausole che non sono state oggetto di trattativa individuale e che determinano “un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto”.
E’ chiaro che tale normativa vuole proteggere non tanto il consumatore che non ha abbastanza informazioni ma quello che non può processarle tutte.
Allo stesso modo, all’interno della normativa sulle pratiche commerciali sleali, previste dalla direttiva 2005/29/CE, si è perseguito l’obiettivo di reprimere gli abusi posti in essere dalle imprese attraverso l’utilizzo di tecniche di manipolazione o di pressione psicologica degli agenti economici.
Da un lato, ai sensi dell’art.6 della direttiva in esame, sono considerate ingannevoli (e quindi vietate) tutte quelle pratiche commerciali che, in qualsiasi modo, possano ingannare il consumatore medio (anche se “l’informazione è di fatto corretta”) spingendolo ad osservare un comportamento economico che non avrebbe altrimenti adottato.
Dall’altro lato, ex art.8, vengono considerate aggressive quelle pratiche idonee a limitare considerevolmente la libertà di decisione del consumatore medio, non solo mediante molestie o coercizione ma anche attraverso “indebito condizionamento”.
Tale direttiva, se è vero che ha ad oggetto il consumatore “normalmente informato e ragionevolmente attento ed avvenuto” (considerando n. 18), fa riferimento altresì ai soggetti dotati di particolari fattori di vulnerabilità: a tal proposito, l’art.5 dispone che se la pratica è idonea ad influenzare il comportamento di un gruppo di consumatori “particolarmente vulnerabili a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità”, essa deve essere valutata in riferimento al membro medio del gruppo.
Identico scopo, mutatis mutandis, ha anche la disciplina relativa all’etichettatura dei prodotti agroalimentari oggetto di disciplina da parte del regolamento (UE) 1169/2011.
Il legislatore, consapevole che spesso il consumatore che acquista un prodotto alimentare non ha né tempo né le competenze tecniche per leggere e comprendere il significato di tutte le indicazioni apposte sull’etichetta di un prodotto, ha individuato non soltanto quelle indicazioni che devono necessariamente essere inserite sull’etichettatura (senza le quali si presume che il consumatore non sia messo nelle condizioni di poter assumere una scelta libera e consapevole) ma soprattutto le modalità di redazione delle stesse.
All’interno poi delle direttive di settore si osserverà che l’Unione non soltanto ha iniziato a considerare anche categorie “speciali” di consumatori vulnerabili (si pensi al concetto di “povertà economica” nel settore energetico) oltre che a predisporre strumenti di protezione per i “clienti”, indipendentemente dallo status o meno di consumatori.
Si pensi, a titolo di esempio, alla direttiva in materia di mercati degli strumenti finanziari, c.d. MiFID II, che classifica i clienti in tre categorie, ciascuna con una diversa intensità di protezione.
In particolare, la categoria considerata più debole risulta quella dei “clienti retail” che ha diritto ad una protezione più pregnante e intensa.
Tale classificazione non è però rigida, atteso che si consente di chiedere ad essi di essere trattati come clienti professionali (finendo per godere così di un livello di protezione meno intenso) anche se la scelta deve essere sottoposta alla preventiva valutazione del professionista.
Qui non si apprezzerà unicamente che la categoria di “cliente retail” non coincida esattamente con quella di consumatore, ma soprattutto l’attenzione del legislatore europeo ai risultati della Behavioural Finance per cui “gli investitori sembrano commettere sistematicamente errori, di ragionamento e di preferenze, difficilmente conciliabili con l’assunto di razionalità delle scelte”. Queste considerazioni si concretizzano tanto nell’imposizione all’intermediario finanziario di obblighi di valutazione e categorizzazione del cliente in base alla sua concreta e specifica situazione finanziaria, quanto nella predisposizione del c.d. “questionario MiFID” che dovrebbe tenere conto, nella formulazione delle domande al cliente, dei bias cognitivi studiati dalle scienze comportamentali.
La Sezione II del presente lavoro di ricerca persegue invece il precipuo intento di mostrare che la frammentazione della figura del consumatore non risulta essere un fenomeno esclusivamente europeo.
In un’ottica comparativa con l’ordinamento giuridico americano, se è vero che in riferimento al mercato dei prodotti alimentari anche il legislatore statunitense si preoccupa di individuare le c.d. nutrition facts da apporre sull’etichetta, differente è invece la materia della protezione dei marchi.
In particolare, quanto alle fonti normative, mentre in Europa la materia delle “indicazioni geografiche” viene disciplinata da una normativa appositamente predisposta (basti pensare al Regolamento (UE) 1151/2012), negli Stati Uniti non esistono norme ad hoc ma una pluralità di disposizioni previste in materia di marchi commerciali, concorrenza sleale e sicurezza dei consumatori.
Essendo gli Stati Uniti il paese che più degli altri ha visto un aumento nell’utilizzo dell’e-commerce, il legislatore d’oltreoceano ha ritenuto recentemente di predisporre una diversa disciplina per tutelare il consumatore che acquista online.
In particolare, il legislatore americano, attraverso l’adozione del SANTA Act e dello SHOP SAFE Act, ha voluto soprattutto garantire al soggetto che acquista sul market place, tutele più efficaci ed effettive contro le possibili lesioni causate dalla vendita di prodotti contraffatti o difettosi.
La peculiarità di questo ordinamento è il sistema di c.d. responsabilità oggettiva del produttore, atteso che la parte lesa non deve dimostrare la colpa ovvero il dolo del produttore per poter ottenere il risarcimento del danno.
Ove, tuttavia, il consumatore riesca a dimostrare l’esistenza anche dell’elemento soggettivo, non soltanto otterrà un risarcimento a titolo di compensazione per il danno patito, ma, in aggiunta, un quid pluris: i punitive damages.
Infine, gli ultimi paragrafi del presente elaborato saranno dedicati allo studio del mercato bancario e della normativa antitrust: nel primo si osserverà come le esigenze di tutelare il risparmiatore americano, tipicamente inesperto, abbiano imposto la preferenza per strumenti di public enforcement, tra i quali spicca sicuramente la c.d. class action.
Viceversa, nella normativa antitrust, al fine di far valere ed ottenere il risarcimento del danno da condotta anticoncorrenziale, risulta possibile individuare l’utilizzo di un sistema basato sul c.d. private enforcement.
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