Tesi etd-04142021-171541 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
CRETELLA, EDERA
Indirizzo email
e.cretella@studenti.unipi.it, cretella.edera@gmail.com
URN
etd-04142021-171541
Titolo
Il rapporto di lavoro dei ciclo-fattorini nel contesto dell'economia digitale
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Mazzotta, Oronzo
Parole chiave
- ciclo fattorini
- diritto del lavoro digitale
- economia digitale
- gig economy
- platform economy
Data inizio appello
03/05/2021
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
L'obiettivo che si propone questo elaborato è di guidare il lettore sul tema dell’industria 4.0, dapprima con una breve introduzione sull’impatto che questa rivoluzione sta avendo e avrà sul mondo del lavoro, per poi dirigersi verso l’argomento cardine della presente tesi che è la nuova disciplina del lavoro dei ciclofattorini.
Il rapporto di lavoro, infatti, ha assunto per effetto degli impulsi dati dall’economia digitale, una fisionomia completamente nuova .
In tale contesto si avverte sempre di più l’esigenza di riconfermare il ruolo centrale e regolatore del diritto del lavoro, per far sì che il cambio di paradigma delle imprese non si traduca in un’erosione delle tutele storiche della disciplina giuslavoristica, da sempre vettore di equilibrio tra parti e luogo di salvaguardia della dimensione dell’uomo e della sua dignità.
Non è obiettivo di chi scrive quello di esplorare tutti i cambiamenti che stiamo vivendo, ma di collocarli in una prospettiva e portarci a riflettere sulla direzione che è stata presa.
Si cercherà anche di fornire possibili soluzioni ad alcuni dei maggiori problemi che caratterizzano il tema.
Nella prima parte del testo, volgeremo lo sguardo a tecnologie come l’artificial intelligence, il machine learning, l’IoT, la platform economy, la blockchain cercando di capire come queste porteranno in tempi non troppo prolissi ad un completo cambio di paradigma del lavoro come siamo abituati a concepirlo oggi.
Si tratterà di come i nuovi strumenti di lavoro siano in grado di rimpiazzare l’umano nell’esecuzione di lavori pericolosi o ripetitivi , cercando di spiegare anche perché stime apocalittiche sull’occupazione - le quali si fondano su un approccio meramente numerico al fenomeno - siano in realtà la fotografia parziale di un tema ben più complesso di semplici statistiche basate su sottrazioni algebriche.
Un approccio di questo tipo, infatti, cela il rischio di giustificare fenomeni di parcellizzazione, precarietà ed erosione delle tutele tipiche del diritto del lavoro, al fine di disincentivare le aziende ad investire precocemente in processi tecnologici, in quanto le macchine sarebbero capaci di estromettere l’uomo dal processo produttivo.
I primi a subire gli effetti di questo modus operandi sono gli operatori della c.d. gig economy, di cui puntualmente si occuperà la presente tesi.
Nel corso di questo elaborato verranno difatti illustrate le motivazioni per le quali chi scrive ritiene che la crescita tecnologica possa essere valida portatrice di nuove opportunità e che vada dunque incentivata.
Però è compito dei governi e delle parti sociali far sì che la tecnologia rappresenti una trasformazione virtuosa per la vita ed il lavoro.
Ciò può accadere a condizione che il settore tech non sia lasciato libero di autoregolamentarsi pretendendo di governare le decisioni pubbliche quale unico arbitrio del nostro destino .
Bisogna sfatare il mito che il progresso sia deterministicamente dato.
A tal proposito appare pertinente citare Angelo Salento, che in un volume dedicato al determinismo tecnologico afferma che << […] l’esigenza di liberarsi dagli approcci deterministici oggi emerge anche dalla consapevolezza che, se in passato la tecnologia poteva essere pacificamente interpretata come un’estensione delle possibilità biologiche degli uomini – qualcosa da accrescere e potenziare – oggi si presenta più chiaramente anche come strumento di governo (e infine di limitazione) delle possibilità umane>> .
In uno stato democratico, infatti, l’impatto dei cambiamenti sociali dovrebbe essere determinato dalle decisioni governative e, soprattutto, da quelle collettive: solo in un secondo momento all’ICT (Information and Communication Tecnology) spetterebbe il compito di accompagnare e facilitare questi mutamenti.
Spostando l’asse sul fronte del controllo della prestazione lavorativa, ad esempio - tema su cui avremo modo di soffermarci puntualmente nel secondo capitolo - la tecnologica ha esasperato il potere normalmente concesso al datore di lavoro, ponendo evidenti problemi giuridici sui limiti segnati dalla normativa vigente.
I trovati tecnologici, infatti, travalicano di gran lunga i limiti posti dalla normativa odierna (il riferimento è essenzialmente all’art. 4 Statuto dei lavoratori sui controlli a distanza).L’invasione algoritmetica è davvero invasiva e si estrinseca ormai in tutte le fasi del rapporto di lavoro: dalla fase dell’assunzione, attraverso software che supportano gli specialisti Hr nella ricerca del candidato perfetto, grazie all’impostazione di parametri prestabiliti; alla fase di sviluppo del rapporto di lavoro, attraverso sistemi di ranking che permettono di calcolare il grado di efficienza del singolo lavoratore e da ultimo, anche nella fase finale del rapporto, attraverso dispositivi che sarebbero in grado di valutare (sulla base sempre di parametri pre impostati) la percentuale di probabilità che un dipendente si dimetta.
Il tema è particolarmente importante nel nostro raggio d’azione, atteso che i lavoratori delle piattaforme – di cui ci occuperemo nello specifico nel corso di questa trattazione - sono sottoposti già da tempo a questo modo di lavorare, mentre la disciplina legale fatica ad adeguarsi.
Cercheremo dunque di dimostrare come un algoritmo, attraverso i suoi sistemi di controllo, sia nella pratica non dissimile dalla classica figura del datore di lavoro.
La digitalizzazione ci induce poi a riflettere sulla nuova centralità da attribuire al luogo e al tempo della prestazione, elementi che tendono a sfocare i loro confini, dando vita a nuove metodologie di lavoro a distanza che necessitano di un incardinamento sistematico in grado di arginare le derive che le tutele approntate per i lavoratori potrebbero subire .
L’obiettivo non è scongiurare il progresso tecnologico, anche perché su questo fronte l’Italia non può vantarsi certo leader.
Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) 2020, l’Italia è ancora quartultima in Europa sul fronte dell’innovazione(e ultima per competenze tecnologiche).
Ma bisogna capire che, in primis, <<è inutile creare sempre più tecnologia a misura d’uomo se non si formano uomini a misura di tecnologia >> .
E d’altro canto, bisogna governare il cambiamento in modo da evitare che questo crei concentrazioni di potere.
I lavoratori della gig-economy stanno sicuramente fungendo da cavie di questo cambio di rotta.
La fragilità contrattuale sofferta dai precari della gig-economy, così come la costante soggezione a robuste prerogative di comando in cambio di fragili sicurezze o ancora l’invasività degli strumenti di controllo digitale, altro non sono che sintomi inconfutabili della metamorfosi in atto .
Un caposaldo dovrebbe essere quello di assicurare parità di trattamento tra lavoratori standard e lavoratori non standard. Si tratta, com’è noto, di una tecnica ancorata al valore dell’uguaglianza e parità di trattamento, svolgendo un fondamentale ruolo di contrappeso alla flessibilità e di miglioramento della qualità del lavoro, insieme a un’immancabile funzione anticoncorrenziale .
Lo scenario che si delinea, ha bisogno ancora di molte opere di sistemazione.
Il punto, allora, non è scongiurare il progresso: la tecnologia può essere un prezioso alleato , perché capace di offrire nuove opportunità occupazionali o migliorare in termini di sicurezza mansioni già esistenti.
È essenziale, però, sfidarla continuamente sul terreno della convenienza sociale e politica, prima ancora che economica .
Il valore della persona umana va messa al centro del cambiamento, deve essere la base su cui costruire il futuro.
Bisogna puntare all’affermazione del valore della non mercificazione del lavoro, della tutela della dignità della persona che lavora, nelle sue numerose ‘traduzioni’, declinandolo soprattutto come bisogno di prevedibilità, per consentire al lavoratore la programmabilità dei suoi tempi di lavoro .
Le controversie qualificatorie riguardanti il rapporto di lavoro dei ciclofattorini, rappresentano la sintesi di tutte le problematiche presentate dianzi.
L’irrompere delle piattaforme digitali, che presentano un nuovo modo di lavorare, pone sicuramente delle sfide al diritto del lavoro, ma chi scrive è convinto che non tutto il nostro apparato legislativo sia ormai desueto ed incapace di reagire e regolare la metamorfosi in atto.
In un siffatto contesto, il ruolo del giuslavorista è davvero centrale poiché ad egli è affidato il compito di interpretare in chiave evolutiva l’apparato lavoristico vigente.
Da tempo, infatti, i giuslavoristi sono protagonisti nel dibattito riguardante gli effetti della nuova rivoluzione tecnologica, che si è abbattuta in modo dirompente sul diritto del lavoro.
E, anche se può venire la tentazione di affermare che siamo di fronte a un fenomeno che minaccia di trasformare tutto, con un’analisi più accurata si comprende come in realtà l’impianto portante del diritto del lavoro è in grado di restare immutato.
Infatti, la qualità sistematica dei pilastri del diritto del lavoro, è in grado di inquadrare nell’ambito delle fattispecie esistenti anche i nuovi rapporti di lavoro proposti dall’economia delle piattaforme, presentandosi, ancora una volta, sufficientemente elastico per adattarsi e farvici rientrare anche questi nuovi fenomeni economici, come già accaduto per le rivoluzioni tecnologiche che hanno preceduto questa.
Le norme del diritto del lavoro non sono antitesi della famigerata flessibilità tanto acclamata dalle imprese di nuova generazione.
Al contrario: il diritto del lavoro con le sue norme può essere il miglior vettore di efficienza aziendale. Anche nell’epoca della quarta rivoluzione industriale.
Il rapporto di lavoro, infatti, ha assunto per effetto degli impulsi dati dall’economia digitale, una fisionomia completamente nuova .
In tale contesto si avverte sempre di più l’esigenza di riconfermare il ruolo centrale e regolatore del diritto del lavoro, per far sì che il cambio di paradigma delle imprese non si traduca in un’erosione delle tutele storiche della disciplina giuslavoristica, da sempre vettore di equilibrio tra parti e luogo di salvaguardia della dimensione dell’uomo e della sua dignità.
Non è obiettivo di chi scrive quello di esplorare tutti i cambiamenti che stiamo vivendo, ma di collocarli in una prospettiva e portarci a riflettere sulla direzione che è stata presa.
Si cercherà anche di fornire possibili soluzioni ad alcuni dei maggiori problemi che caratterizzano il tema.
Nella prima parte del testo, volgeremo lo sguardo a tecnologie come l’artificial intelligence, il machine learning, l’IoT, la platform economy, la blockchain cercando di capire come queste porteranno in tempi non troppo prolissi ad un completo cambio di paradigma del lavoro come siamo abituati a concepirlo oggi.
Si tratterà di come i nuovi strumenti di lavoro siano in grado di rimpiazzare l’umano nell’esecuzione di lavori pericolosi o ripetitivi , cercando di spiegare anche perché stime apocalittiche sull’occupazione - le quali si fondano su un approccio meramente numerico al fenomeno - siano in realtà la fotografia parziale di un tema ben più complesso di semplici statistiche basate su sottrazioni algebriche.
Un approccio di questo tipo, infatti, cela il rischio di giustificare fenomeni di parcellizzazione, precarietà ed erosione delle tutele tipiche del diritto del lavoro, al fine di disincentivare le aziende ad investire precocemente in processi tecnologici, in quanto le macchine sarebbero capaci di estromettere l’uomo dal processo produttivo.
I primi a subire gli effetti di questo modus operandi sono gli operatori della c.d. gig economy, di cui puntualmente si occuperà la presente tesi.
Nel corso di questo elaborato verranno difatti illustrate le motivazioni per le quali chi scrive ritiene che la crescita tecnologica possa essere valida portatrice di nuove opportunità e che vada dunque incentivata.
Però è compito dei governi e delle parti sociali far sì che la tecnologia rappresenti una trasformazione virtuosa per la vita ed il lavoro.
Ciò può accadere a condizione che il settore tech non sia lasciato libero di autoregolamentarsi pretendendo di governare le decisioni pubbliche quale unico arbitrio del nostro destino .
Bisogna sfatare il mito che il progresso sia deterministicamente dato.
A tal proposito appare pertinente citare Angelo Salento, che in un volume dedicato al determinismo tecnologico afferma che << […] l’esigenza di liberarsi dagli approcci deterministici oggi emerge anche dalla consapevolezza che, se in passato la tecnologia poteva essere pacificamente interpretata come un’estensione delle possibilità biologiche degli uomini – qualcosa da accrescere e potenziare – oggi si presenta più chiaramente anche come strumento di governo (e infine di limitazione) delle possibilità umane>> .
In uno stato democratico, infatti, l’impatto dei cambiamenti sociali dovrebbe essere determinato dalle decisioni governative e, soprattutto, da quelle collettive: solo in un secondo momento all’ICT (Information and Communication Tecnology) spetterebbe il compito di accompagnare e facilitare questi mutamenti.
Spostando l’asse sul fronte del controllo della prestazione lavorativa, ad esempio - tema su cui avremo modo di soffermarci puntualmente nel secondo capitolo - la tecnologica ha esasperato il potere normalmente concesso al datore di lavoro, ponendo evidenti problemi giuridici sui limiti segnati dalla normativa vigente.
I trovati tecnologici, infatti, travalicano di gran lunga i limiti posti dalla normativa odierna (il riferimento è essenzialmente all’art. 4 Statuto dei lavoratori sui controlli a distanza).L’invasione algoritmetica è davvero invasiva e si estrinseca ormai in tutte le fasi del rapporto di lavoro: dalla fase dell’assunzione, attraverso software che supportano gli specialisti Hr nella ricerca del candidato perfetto, grazie all’impostazione di parametri prestabiliti; alla fase di sviluppo del rapporto di lavoro, attraverso sistemi di ranking che permettono di calcolare il grado di efficienza del singolo lavoratore e da ultimo, anche nella fase finale del rapporto, attraverso dispositivi che sarebbero in grado di valutare (sulla base sempre di parametri pre impostati) la percentuale di probabilità che un dipendente si dimetta.
Il tema è particolarmente importante nel nostro raggio d’azione, atteso che i lavoratori delle piattaforme – di cui ci occuperemo nello specifico nel corso di questa trattazione - sono sottoposti già da tempo a questo modo di lavorare, mentre la disciplina legale fatica ad adeguarsi.
Cercheremo dunque di dimostrare come un algoritmo, attraverso i suoi sistemi di controllo, sia nella pratica non dissimile dalla classica figura del datore di lavoro.
La digitalizzazione ci induce poi a riflettere sulla nuova centralità da attribuire al luogo e al tempo della prestazione, elementi che tendono a sfocare i loro confini, dando vita a nuove metodologie di lavoro a distanza che necessitano di un incardinamento sistematico in grado di arginare le derive che le tutele approntate per i lavoratori potrebbero subire .
L’obiettivo non è scongiurare il progresso tecnologico, anche perché su questo fronte l’Italia non può vantarsi certo leader.
Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) 2020, l’Italia è ancora quartultima in Europa sul fronte dell’innovazione(e ultima per competenze tecnologiche).
Ma bisogna capire che, in primis, <<è inutile creare sempre più tecnologia a misura d’uomo se non si formano uomini a misura di tecnologia >> .
E d’altro canto, bisogna governare il cambiamento in modo da evitare che questo crei concentrazioni di potere.
I lavoratori della gig-economy stanno sicuramente fungendo da cavie di questo cambio di rotta.
La fragilità contrattuale sofferta dai precari della gig-economy, così come la costante soggezione a robuste prerogative di comando in cambio di fragili sicurezze o ancora l’invasività degli strumenti di controllo digitale, altro non sono che sintomi inconfutabili della metamorfosi in atto .
Un caposaldo dovrebbe essere quello di assicurare parità di trattamento tra lavoratori standard e lavoratori non standard. Si tratta, com’è noto, di una tecnica ancorata al valore dell’uguaglianza e parità di trattamento, svolgendo un fondamentale ruolo di contrappeso alla flessibilità e di miglioramento della qualità del lavoro, insieme a un’immancabile funzione anticoncorrenziale .
Lo scenario che si delinea, ha bisogno ancora di molte opere di sistemazione.
Il punto, allora, non è scongiurare il progresso: la tecnologia può essere un prezioso alleato , perché capace di offrire nuove opportunità occupazionali o migliorare in termini di sicurezza mansioni già esistenti.
È essenziale, però, sfidarla continuamente sul terreno della convenienza sociale e politica, prima ancora che economica .
Il valore della persona umana va messa al centro del cambiamento, deve essere la base su cui costruire il futuro.
Bisogna puntare all’affermazione del valore della non mercificazione del lavoro, della tutela della dignità della persona che lavora, nelle sue numerose ‘traduzioni’, declinandolo soprattutto come bisogno di prevedibilità, per consentire al lavoratore la programmabilità dei suoi tempi di lavoro .
Le controversie qualificatorie riguardanti il rapporto di lavoro dei ciclofattorini, rappresentano la sintesi di tutte le problematiche presentate dianzi.
L’irrompere delle piattaforme digitali, che presentano un nuovo modo di lavorare, pone sicuramente delle sfide al diritto del lavoro, ma chi scrive è convinto che non tutto il nostro apparato legislativo sia ormai desueto ed incapace di reagire e regolare la metamorfosi in atto.
In un siffatto contesto, il ruolo del giuslavorista è davvero centrale poiché ad egli è affidato il compito di interpretare in chiave evolutiva l’apparato lavoristico vigente.
Da tempo, infatti, i giuslavoristi sono protagonisti nel dibattito riguardante gli effetti della nuova rivoluzione tecnologica, che si è abbattuta in modo dirompente sul diritto del lavoro.
E, anche se può venire la tentazione di affermare che siamo di fronte a un fenomeno che minaccia di trasformare tutto, con un’analisi più accurata si comprende come in realtà l’impianto portante del diritto del lavoro è in grado di restare immutato.
Infatti, la qualità sistematica dei pilastri del diritto del lavoro, è in grado di inquadrare nell’ambito delle fattispecie esistenti anche i nuovi rapporti di lavoro proposti dall’economia delle piattaforme, presentandosi, ancora una volta, sufficientemente elastico per adattarsi e farvici rientrare anche questi nuovi fenomeni economici, come già accaduto per le rivoluzioni tecnologiche che hanno preceduto questa.
Le norme del diritto del lavoro non sono antitesi della famigerata flessibilità tanto acclamata dalle imprese di nuova generazione.
Al contrario: il diritto del lavoro con le sue norme può essere il miglior vettore di efficienza aziendale. Anche nell’epoca della quarta rivoluzione industriale.
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