Tesi etd-04082022-154701 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
SIRAGUSA, NADIA
URN
etd-04082022-154701
Titolo
La maternità surrogata: il dissidio tra il divieto penale italiano e il principio del best interest of the child
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Vallini, Antonio
Parole chiave
- interesse del minore (interest of the child)
- maternità (motherhood)
- maternità surrogata (surrogacy)
- procreazione assistita (assisted procreation)
Data inizio appello
02/05/2022
Consultabilità
Completa
Riassunto
La tesi affronta, principalmente da un punto di vista penalistico, il complesso e delicato tema della maternità surrogata. Oltre a soffermarsi sulle varie forme in cui la pratica procreativa si articola, viene analizzato, nello specifico, il divieto penale italiano previsto dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004 (legge in materia di procreazione medicalmente assistita). Si tratta di un divieto tanto assoluto, quanto problematico, innanzitutto per la sua incostituzionale indeterminatezza: la norma incriminatrice, infatti, non descrive il fatto tipico così come dovrebbe farsi. Peraltro, nel divieto ex art. 12, comma 6, non sono affatto precisati gli effetti di una sua eventuale elusione; nella prassi, la surrogazione di maternità viene solitamente eseguita in un Paese straniero, nei limiti in cui la pratica è lì disciplinata, per poi domandare alle autorità consolari la trasmissione dell’atto di nascita in Italia ai fini della trascrizione.
In tali ipotesi, il nodo principale consiste allora nell’identificare colei che può considerarsi “madre” tra le diverse donne coinvolte nell’esperienza procreativa, tenendo conto che l’art. 12, comma 6, della l. n. 40/2004 non stabilisce esplicitamente nulla quanto all’identificazione dei genitori legali. Nel nostro ordinamento, cardine della disciplina della maternità è tradizionalmente l’art. 269, comma 3, del codice civile: la norma, in particolare, disciplina la prova della maternità basandosi sul famoso principio mater semper certa est, ossia sul presupposto della naturale coincidenza tra madre genetica e madre gestazionale, coincidenza che viene appunto messa in discussione dalla pratica surrogatoria. La normativa italiana sembrerebbe precludere, dunque, la possibilità di attribuire la maternità in capo ad una donna diversa dalla partoriente, poiché il parto rappresenta da sempre il fatto storico idoneo ad individuare, con certezza assoluta, la madre del nato. Se l’elusione del divieto di surrogazione presso un Paese estero ha dato luogo ad una giurisprudenza penale dagli esiti per lo più assolutori, considerando che la realizzazione della pratica avviene oltre i confini nazionali, si possono riscontrare esiti giurisprudenziali contrastanti riguardo invece alla questione della trascrizione dell’atto di nascita redatto all’estero. Molte sentenze, infatti, hanno escluso l’accoglimento in Italia degli effetti di atti o provvedimenti giurisdizionali stranieri accertanti il rapporto di filiazione tra il minore nato all’estero attraverso la maternità surrogata e il genitore non biologico, in ragione della presunta contrarietà della pratica all’ordine pubblico. Tuttavia, uno dei profili più problematici della surrogacy è l’impatto della scelta legislativa italiana sui diritti dei bambini nati attraverso tale tecnica procreativa, poiché il rifiuto di recepire il rapporto di filiazione, dichiarato dallo Stato straniero, rischia di pregiudicare il loro status giuridico. L’intento del legislatore, volto alla salvaguardia della coerenza interna dell’ordinamento, deve fare i conti con un altro interesse in gioco, che ha avuto una notevole importanza innanzitutto nella giurisprudenza della Corte EDU: il c.d. best interest of the child, cioè l’interesse contrapposto del minore nato da surrogazione a veder riconosciuto e a mantenere il suo legame con la famiglia che lo ha accolto fin dalla sua nascita. Negli ultimi anni, i giudici nazionali, sulla scia delle sentenze europee, hanno concentrato l’attenzione proprio sulla tutela del minore, considerando necessario un bilanciamento fra i diversi interessi che vengono in rilievo. Se la scelta di punire la surrogazione e il conseguente rifiuto di trascrivere degli atti di nascita formati all’estero corrispondono ad un interesse pubblico che lo Stato è libero di perseguire, la giurisprudenza non ha comunque ignorato l’esistenza di posizioni giuridiche soggettive, in primis quelle del bambino nato da surrogazione, che sono sicuramente meritevoli di tutela.
In tali ipotesi, il nodo principale consiste allora nell’identificare colei che può considerarsi “madre” tra le diverse donne coinvolte nell’esperienza procreativa, tenendo conto che l’art. 12, comma 6, della l. n. 40/2004 non stabilisce esplicitamente nulla quanto all’identificazione dei genitori legali. Nel nostro ordinamento, cardine della disciplina della maternità è tradizionalmente l’art. 269, comma 3, del codice civile: la norma, in particolare, disciplina la prova della maternità basandosi sul famoso principio mater semper certa est, ossia sul presupposto della naturale coincidenza tra madre genetica e madre gestazionale, coincidenza che viene appunto messa in discussione dalla pratica surrogatoria. La normativa italiana sembrerebbe precludere, dunque, la possibilità di attribuire la maternità in capo ad una donna diversa dalla partoriente, poiché il parto rappresenta da sempre il fatto storico idoneo ad individuare, con certezza assoluta, la madre del nato. Se l’elusione del divieto di surrogazione presso un Paese estero ha dato luogo ad una giurisprudenza penale dagli esiti per lo più assolutori, considerando che la realizzazione della pratica avviene oltre i confini nazionali, si possono riscontrare esiti giurisprudenziali contrastanti riguardo invece alla questione della trascrizione dell’atto di nascita redatto all’estero. Molte sentenze, infatti, hanno escluso l’accoglimento in Italia degli effetti di atti o provvedimenti giurisdizionali stranieri accertanti il rapporto di filiazione tra il minore nato all’estero attraverso la maternità surrogata e il genitore non biologico, in ragione della presunta contrarietà della pratica all’ordine pubblico. Tuttavia, uno dei profili più problematici della surrogacy è l’impatto della scelta legislativa italiana sui diritti dei bambini nati attraverso tale tecnica procreativa, poiché il rifiuto di recepire il rapporto di filiazione, dichiarato dallo Stato straniero, rischia di pregiudicare il loro status giuridico. L’intento del legislatore, volto alla salvaguardia della coerenza interna dell’ordinamento, deve fare i conti con un altro interesse in gioco, che ha avuto una notevole importanza innanzitutto nella giurisprudenza della Corte EDU: il c.d. best interest of the child, cioè l’interesse contrapposto del minore nato da surrogazione a veder riconosciuto e a mantenere il suo legame con la famiglia che lo ha accolto fin dalla sua nascita. Negli ultimi anni, i giudici nazionali, sulla scia delle sentenze europee, hanno concentrato l’attenzione proprio sulla tutela del minore, considerando necessario un bilanciamento fra i diversi interessi che vengono in rilievo. Se la scelta di punire la surrogazione e il conseguente rifiuto di trascrivere degli atti di nascita formati all’estero corrispondono ad un interesse pubblico che lo Stato è libero di perseguire, la giurisprudenza non ha comunque ignorato l’esistenza di posizioni giuridiche soggettive, in primis quelle del bambino nato da surrogazione, che sono sicuramente meritevoli di tutela.
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