Tesi etd-04082019-220640 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MARRACCINI, GIULIO
URN
etd-04082019-220640
Titolo
La cultura della morte nella storia dell'uomo
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Prof. Giunta, Francesco
controrelatore Prof. Scarafile, Giovanni
controrelatore Prof. Scarafile, Giovanni
Parole chiave
- cultura
- morte
- storia
- uomo
Data inizio appello
29/04/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
29/04/2089
Riassunto
Nella grande varietà di riti funebri diffusi in ogni epoca, alcuni hanno avuto maggiore fortuna di altri. I motivi derivano dalla storia di quei popoli, infatti le nazioni che hanno rivestito un ruolo leader nella loro epoca hanno lasciato una traccia ben visibile nei libri di storia. La storia ovviamente non è fatta solo di guerre e vicende politiche, ma anche di aspetti culturali, fra questi rientra sicuramente la morte.
Un’evidente impossibilità si frappone nella compilazione di tutti i particolari riti funebri della storia. Se da un lato è difficile trovare materiale riguardo a società estremamente antiche e in merito a molte altre ancora poco studiate, bisogna constatare inoltre che lo scopo di questa tesi è di elencare e descrivere le culture mortuarie legate all’Occidente e in particolare di gettare uno sguardo sulla situazione italiana.
La scelta è quella di compiere un excursus storico che cominci con la descrizione delle civiltà sciamaniche, una sorta di punto “0” nella storia dell’umanità, per poi passare alla civiltà egizia, quindi alla greca con qualche accenno alla cultura latina. In seguito con un grande salto si arriverà ad analizzare la società contadina del sud Italia. In fine si cercherà di analizzare alcune posizioni riguardanti la società contemporanea (XX e XXI sec) di fronte alla morte.
La grande mole di informazioni sul passato delle civiltà indagate ha reso il lavoro molto più facile di quanto lo sia stato per le civiltà del mondo contemporaneo.
Si è cercato di mettere in luce, laddove è stato possibile, eventuali parallelismi fra usi mortuari geograficamente e storicamente distanti. L’interesse della ricerca è rivolto verso la dimensione collettiva ad un tempo e individuale ad un altro del fenomeno morte. Il motore d’azione è stato l’interesse per le risposte che venivano e che vengono tuttora date alla più umana fra le paure. In alcune parti si potrebbe credere di essere usciti dal seminato, in quanto è stata esaminata la diffusione di pratiche che a volte si distanziano dal funerale vero e proprio, ma che in ultima analisi si riallacciano a temi prettamente esistenziali e quindi sono in relazione alla morte. Si è provato a rispondere al perché di alcuni fra questi atteggiamenti.
La religione cristiana è stata studiata indirettamente ed è da vedersi (se non proprio la vera religione cristiana, almeno la sua traduzione) come lo sfondo da cui si dipana tutto il secondo capitolo che segue le usanze del mondo contadino del sud Italia.
La religione è chiaramente alla base di molte visioni riportate nei virgolettati. È indubbio che per quanto si viva in un mondo in cui la fede sta sempre più scemando, ne rimanga un’intelaiatura morale che riveste ancora le odierne istituzioni.
L’interesse per l’argomento morte è tale perché è proprio dell’uomo, più e più volte verranno lette opinioni di questo tipo, eppure è anche messo a tacere, nascosto alla vista e rinchiuso in un luogo lontano. La necessità di rapportarsi con il fenomeno luttuoso, anche quando non si è noi il soggetto della pratica funebre, va affrontato nella maniera corretta. Se per certi versi si viene bombardati di informazioni circa le svariate morti che si registrano ogni giorno, è vero però che tutto questo clamore rende forse più sordi di quanto non capitasse in passato. Sicuramente la perdita di un caro provoca un enorme terremoto emotivo che non può essere assolutamente paragonato allo stato d’animo provocato dalla notizia della scomparsa di uno sconosciuto, però anche quest’ultimo caso dovrebbe dare adito a riflessioni individuali che perlopiù non si verificano. Forse perché siamo educati all’individualismo? Se si opta per una risposta affermativa cosa si può fare per evitarlo? Si cercherà di rispondere a questi e ad altri interrogativi ed insieme a risalire alle fonti di modalità di pensiero che trovano oggi un’ampia diffusione.
L’informazione non nasconde la morte, ma ne camuffa i contorni, ne pronuncia il nome per esorcizzarla, per riuscire così a renderla una parola vuota. Una parola che si pronuncia, ma che rimane sterile e inanimata e terribilmente distante dalla realtà. Non si tratta di un termine che porta con sé reazioni mentali individuali concretamente relazionabili con l’aspetto, con l’odore e con la freddezza di un cadavere. Insomma, con la sua presenza.
La forma in cui si manifesta un individuo nella sua morte risulta ancora più oscena a chi non viene educato alla sua esistenza. Lo spaesamento e lo sconforto in cui ci sprofonda un evento luttuoso inatteso sono resi al massimo grado quando ha luogo un funerale. Durante un rito funebre le reazioni dei partecipanti maggiormente legati al defunto possono essere delle più svariate: si passa dal riso al pianto senza alcuna possibilità di una certa previsione. In tutti i casi tali reazioni non debbono sbalordire, perché anche quando appaiono fuori luogo o insensate ubbidiscono a logiche profondamente individuali e segrete, molto spesso nascoste anche al soggetto agente.
Sarebbe auspicabile l’inserimento dell’insegnamento dell’antropologia fra le materie di studio nelle scuole primarie e secondarie, ma non un insegnamento velato e insito nelle materie letterarie, bensì un reale corso che indirizzi la sua riflessione al fenomeno morte, molto più di quanto oggi faccia l’ora settimanale e facoltativa, ormai inadeguata, di religione nelle scuole.
L’evoluzione dei riti funebri nella storia e le considerazioni che si esibivano e che oggi si esibiscono al fenomeno luttuoso sono molto meno distanti di quello che si possa credere. Il lato emozionale, privato e collettivo, è cambiato sicuramente, ma in fondo le maniere in cui ci si confronta con il lutto ai nostri tempi si muove in uno spettro di opzioni possibili che sono state trattate da altri prima di noi. La massima “non c’è niente di nuovo sotto il sole” rende perfettamente l’idea che vede in ogni nuovo approccio alla morte un riverbero di antiche tradizioni rivisitate e corrette.
La grande novità introdotta dalla modernità è la “ipervalutazione del singolo”. È noto e sotto gli occhi di tutti che la nostra società capitalistica favorisca l’idea secondo cui a contare sia il singolo e non il gruppo, tuttavia non si può celare il fatto che anche in passato sia stato il singolo a contare, ma questo singolo era una minoranza. Certamente una minoranza rumorosa, ma è significativo che a contare nella vita sociale delle civiltà precapitalistiche fossero in pochi. Un esempio riscontrabile nelle società sciamaniche è quello offerto dallo sciamano, un individuo che è interno alla società e al contempo realizzato in sé stesso. La sua utilità nel gruppo è evidente, eppure ne rimane staccato. Si potrebbe ipotizzare una similitudine con il grande capitalista che persegue il proprio interesse e nel frattempo offre lavoro a molte persone. Figure come queste non sono mai mancate nella storia, ma se in passato la questione morte era prevalentemente una fede inossidabile in tradizioni sociali e religiose per il popolo e un grande e ansioso punto di domanda per i pochi che erano super partes, oggi il rapporto con la morte è un problema per i più. Si vuole sottolineare come, oltre il crollo dei valori morali, la società abbia preso una piega per cui tutti sono, o dovrebbero essere, alla ricerca di una risposta individuale alla morte. I motivi di uno sviluppo di tale forma è da ricercare nelle caratteristiche dell’uomo contemporaneo. Tuttavia la risposta alla morte, per quanto si stia sempre più confezionando su base individuale, rimane a un palmo di naso da chi la ricerca. Se nella nostra società vengono continuamente fornite risposte pronte che indirizzino il singolo nella scelta di atteggiamenti, azioni e pensieri che si possono avere e fare in ogni ambito umano, solo la risposta alla morte viene negata. In realtà ci sono stati tentativi di creare anche oggi risposte univoche alla morte, ma il fatto che diventino mode che nascono, crescono e muoiono al massimo in un decennio evidenzia una volta di più l’incapacità dell’uomo contemporaneo di rintracciare in un’opinione creata per i molti la chiave che apra la porta e che dia una risposta al suo rapporto, necessariamente individuale, con la morte. Questo avviene proprio perché la morte è l’esperienza più personale che si possa compiere, al pari della nascita di cui però non maturiamo ricordi concreti, in quanto troppo lontana dalla nostra vita. La morte è un pensiero che ci accompagna per tutta la vita e il nostro atteggiamento nei suoi confronti varia al variare delle età dell’uomo.
Un’evidente impossibilità si frappone nella compilazione di tutti i particolari riti funebri della storia. Se da un lato è difficile trovare materiale riguardo a società estremamente antiche e in merito a molte altre ancora poco studiate, bisogna constatare inoltre che lo scopo di questa tesi è di elencare e descrivere le culture mortuarie legate all’Occidente e in particolare di gettare uno sguardo sulla situazione italiana.
La scelta è quella di compiere un excursus storico che cominci con la descrizione delle civiltà sciamaniche, una sorta di punto “0” nella storia dell’umanità, per poi passare alla civiltà egizia, quindi alla greca con qualche accenno alla cultura latina. In seguito con un grande salto si arriverà ad analizzare la società contadina del sud Italia. In fine si cercherà di analizzare alcune posizioni riguardanti la società contemporanea (XX e XXI sec) di fronte alla morte.
La grande mole di informazioni sul passato delle civiltà indagate ha reso il lavoro molto più facile di quanto lo sia stato per le civiltà del mondo contemporaneo.
Si è cercato di mettere in luce, laddove è stato possibile, eventuali parallelismi fra usi mortuari geograficamente e storicamente distanti. L’interesse della ricerca è rivolto verso la dimensione collettiva ad un tempo e individuale ad un altro del fenomeno morte. Il motore d’azione è stato l’interesse per le risposte che venivano e che vengono tuttora date alla più umana fra le paure. In alcune parti si potrebbe credere di essere usciti dal seminato, in quanto è stata esaminata la diffusione di pratiche che a volte si distanziano dal funerale vero e proprio, ma che in ultima analisi si riallacciano a temi prettamente esistenziali e quindi sono in relazione alla morte. Si è provato a rispondere al perché di alcuni fra questi atteggiamenti.
La religione cristiana è stata studiata indirettamente ed è da vedersi (se non proprio la vera religione cristiana, almeno la sua traduzione) come lo sfondo da cui si dipana tutto il secondo capitolo che segue le usanze del mondo contadino del sud Italia.
La religione è chiaramente alla base di molte visioni riportate nei virgolettati. È indubbio che per quanto si viva in un mondo in cui la fede sta sempre più scemando, ne rimanga un’intelaiatura morale che riveste ancora le odierne istituzioni.
L’interesse per l’argomento morte è tale perché è proprio dell’uomo, più e più volte verranno lette opinioni di questo tipo, eppure è anche messo a tacere, nascosto alla vista e rinchiuso in un luogo lontano. La necessità di rapportarsi con il fenomeno luttuoso, anche quando non si è noi il soggetto della pratica funebre, va affrontato nella maniera corretta. Se per certi versi si viene bombardati di informazioni circa le svariate morti che si registrano ogni giorno, è vero però che tutto questo clamore rende forse più sordi di quanto non capitasse in passato. Sicuramente la perdita di un caro provoca un enorme terremoto emotivo che non può essere assolutamente paragonato allo stato d’animo provocato dalla notizia della scomparsa di uno sconosciuto, però anche quest’ultimo caso dovrebbe dare adito a riflessioni individuali che perlopiù non si verificano. Forse perché siamo educati all’individualismo? Se si opta per una risposta affermativa cosa si può fare per evitarlo? Si cercherà di rispondere a questi e ad altri interrogativi ed insieme a risalire alle fonti di modalità di pensiero che trovano oggi un’ampia diffusione.
L’informazione non nasconde la morte, ma ne camuffa i contorni, ne pronuncia il nome per esorcizzarla, per riuscire così a renderla una parola vuota. Una parola che si pronuncia, ma che rimane sterile e inanimata e terribilmente distante dalla realtà. Non si tratta di un termine che porta con sé reazioni mentali individuali concretamente relazionabili con l’aspetto, con l’odore e con la freddezza di un cadavere. Insomma, con la sua presenza.
La forma in cui si manifesta un individuo nella sua morte risulta ancora più oscena a chi non viene educato alla sua esistenza. Lo spaesamento e lo sconforto in cui ci sprofonda un evento luttuoso inatteso sono resi al massimo grado quando ha luogo un funerale. Durante un rito funebre le reazioni dei partecipanti maggiormente legati al defunto possono essere delle più svariate: si passa dal riso al pianto senza alcuna possibilità di una certa previsione. In tutti i casi tali reazioni non debbono sbalordire, perché anche quando appaiono fuori luogo o insensate ubbidiscono a logiche profondamente individuali e segrete, molto spesso nascoste anche al soggetto agente.
Sarebbe auspicabile l’inserimento dell’insegnamento dell’antropologia fra le materie di studio nelle scuole primarie e secondarie, ma non un insegnamento velato e insito nelle materie letterarie, bensì un reale corso che indirizzi la sua riflessione al fenomeno morte, molto più di quanto oggi faccia l’ora settimanale e facoltativa, ormai inadeguata, di religione nelle scuole.
L’evoluzione dei riti funebri nella storia e le considerazioni che si esibivano e che oggi si esibiscono al fenomeno luttuoso sono molto meno distanti di quello che si possa credere. Il lato emozionale, privato e collettivo, è cambiato sicuramente, ma in fondo le maniere in cui ci si confronta con il lutto ai nostri tempi si muove in uno spettro di opzioni possibili che sono state trattate da altri prima di noi. La massima “non c’è niente di nuovo sotto il sole” rende perfettamente l’idea che vede in ogni nuovo approccio alla morte un riverbero di antiche tradizioni rivisitate e corrette.
La grande novità introdotta dalla modernità è la “ipervalutazione del singolo”. È noto e sotto gli occhi di tutti che la nostra società capitalistica favorisca l’idea secondo cui a contare sia il singolo e non il gruppo, tuttavia non si può celare il fatto che anche in passato sia stato il singolo a contare, ma questo singolo era una minoranza. Certamente una minoranza rumorosa, ma è significativo che a contare nella vita sociale delle civiltà precapitalistiche fossero in pochi. Un esempio riscontrabile nelle società sciamaniche è quello offerto dallo sciamano, un individuo che è interno alla società e al contempo realizzato in sé stesso. La sua utilità nel gruppo è evidente, eppure ne rimane staccato. Si potrebbe ipotizzare una similitudine con il grande capitalista che persegue il proprio interesse e nel frattempo offre lavoro a molte persone. Figure come queste non sono mai mancate nella storia, ma se in passato la questione morte era prevalentemente una fede inossidabile in tradizioni sociali e religiose per il popolo e un grande e ansioso punto di domanda per i pochi che erano super partes, oggi il rapporto con la morte è un problema per i più. Si vuole sottolineare come, oltre il crollo dei valori morali, la società abbia preso una piega per cui tutti sono, o dovrebbero essere, alla ricerca di una risposta individuale alla morte. I motivi di uno sviluppo di tale forma è da ricercare nelle caratteristiche dell’uomo contemporaneo. Tuttavia la risposta alla morte, per quanto si stia sempre più confezionando su base individuale, rimane a un palmo di naso da chi la ricerca. Se nella nostra società vengono continuamente fornite risposte pronte che indirizzino il singolo nella scelta di atteggiamenti, azioni e pensieri che si possono avere e fare in ogni ambito umano, solo la risposta alla morte viene negata. In realtà ci sono stati tentativi di creare anche oggi risposte univoche alla morte, ma il fatto che diventino mode che nascono, crescono e muoiono al massimo in un decennio evidenzia una volta di più l’incapacità dell’uomo contemporaneo di rintracciare in un’opinione creata per i molti la chiave che apra la porta e che dia una risposta al suo rapporto, necessariamente individuale, con la morte. Questo avviene proprio perché la morte è l’esperienza più personale che si possa compiere, al pari della nascita di cui però non maturiamo ricordi concreti, in quanto troppo lontana dalla nostra vita. La morte è un pensiero che ci accompagna per tutta la vita e il nostro atteggiamento nei suoi confronti varia al variare delle età dell’uomo.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
La tesi non è consultabile. |