Thesis etd-04032013-170816 |
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Thesis type
Tesi di laurea specialistica
Author
BIAGIONI, RICCARDO
URN
etd-04032013-170816
Thesis title
Un aspetto di Alfieri politico tra Francia e Italia. Dalla Tirannide al Parigi sbastigliato
Department
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Course of study
LINGUA E LETTERATURA ITALIANA
Supervisors
controrelatore Prof. Angiolini, Franco
relatore Prof.ssa Guidotti, Angela
relatore Prof.ssa Guidotti, Angela
Keywords
- Alfieri politico
- Le Mosche e l'Api
- Panegirico di Plinio a Trajano
- Parigi sbastigliato
- Tirannide
Graduation session start date
22/04/2013
Availability
Withheld
Release date
22/04/2053
Summary
Il presente studio è nato dall’interesse ad approfondire la comprensione dell’ideologia politica di Alfieri affrontata precedentemente in una relazione seminariale sul rapporto dell’autore con la Rivoluzione francese. Allora ero rimasto affascinato dai giudizi spesso divergenti a tal proposito e al contempo sorpreso che gran parte della critica negasse ostinatamente la “politicità” di Alfieri, ora dipingendolo come «anarchico» (Calosso ), «antipolitico», «sradicato» e «reazionario» (Sapegno ), ora riducendo la sua politicità a un astratto libertarismo o a una mera componente passionale (Binni ). I giudizi di buona parte della critica alfieriana che a lungo hanno riscosso ampia fortuna e seguito si potrebbero sintetizzare col Donadoni, secondo il quale Alfieri «sente e non ragiona […] ha poche idee» . Dalla lettura delle opere alfieriane emerge, a mio avviso, una profonda componente legalitaria a cui non è ancora stata riconosciuta la dovuta importanza e che, legandosi ad alcune idee di stretta attualità nella seconda metà del Settecento, viene a modificare la tradizionale interpretazione dell’ideologia politica alfieriana.
In questo elaborato ho dunque deciso di approfondire la questione concentrandomi in particolare su due delle più importanti prose politiche alfieriane, il trattato Della Tirannide e il Panegirico di Plinio a Trajano. Al fine di verificare le ipotesi e gli spunti di riflessione offerti dalla relazione seminariale e da alcuni studi che negli ultimi decenni hanno cercato di indagare, oltre le reticenze della Vita, la formazione culturale di Alfieri e l’importanza, spesso sottovalutata, dei viaggi effettuati in Italia e in Europa, ho ritenuto necessario in via preliminare leggere attentamente le opere di alcuni autori del Settecento fondamentali per la formazione del pensiero politico alfieriano e che ritroviamo come probabili fonti di significativi passi della Tirannide e del Panegirico. Alcuni di essi (Montesquieu, Rousseau) vengono nominati esplicitamente nella Vita, mentre per altri (valga per tutti il caso di Mably), mi sono avvalso della preziosa pubblicazione ad opera di Christian Del Vento dell’inventario della biblioteca parigina di Alfieri redatto dalle autorità francesi dopo la precipitosa fuga dell’autore nell’agosto 1792.
Ho creduto opportuno riflettere sull’importanza del soggiorno parigino dell’autore (1787-1792), periodo caratterizzato da un intenso dibattito politico-culturale che, come dimostrano le correzioni apportate alla Tirannide, Alfieri non poteva ignorare. I risultati della mia ricerca sono andati oltre le aspettative iniziali e si sono rivelati per certi versi sorprendenti. In primo luogo ho ricevuto conferma che insieme a un esasperato individualismo, a una fortissima componente di aristocrazia morale e all’esemplarità classica, giustamente sottolineate dalla critica, il principio della sovranità delle leggi costituisce l’altro leit motiv dell’opera alfieriana e in particolare del trattato Della Tirannide e del Panegirico di Plinio a Trajano.
Il poeta dell’individualismo esasperato, delle passioni titaniche, assolute e irrefrenabili, riconosce da un punto di vista politico l’assoluta necessità di un limite rappresentato dalla legge e ricorre ad espressioni quali «ben pubblico», «ben di tutti», «dritti […] sacri dell’uomo», nelle quali è riconoscibile una chiara prospettiva illuministica. All’innegabile idealizzata esemplarità dei modelli classici, esempi di libertà, grandezza ed eroismo assoluti, si affianca inoltre una concreta, reale e contemporanea alternativa politica alla tirannide, rappresentata dapprima dalla monarchia costituzionale inglese (“repubblica” nel linguaggio politico alfieriano) e successivamente anche quello dall’America “libera”.
Gli estremi opposti “assoluto” ∕ “limite”, “gloria individuale” ∕ “ben di tutti”, “ideale” (esemplarità classica) ∕ “reale” (modelli politici contemporanei), che venivano suggeriti all’Alfieri dalle sue letture filosofiche e “politiche” molto diverse fra loro (dall’individualismo eroico delle Vite plutarchiane ai testi principali dell’Illuminismo e del costituzionalismo francese con le loro tematiche strettamente attuali, passando attraverso altri autori fondamentali quali Machiavelli e Montaigne), creano una continua oscillazione e tensione fra poli opposti che, come la Rivoluzione francese sancirà amaramente per l’autore, risulteranno difficilmente conciliabili.
Dall’analisi della Tirannide e del Panegirico emerge la figura di uno scrittore “europeo”, tutt’altro che «sradicato» ed estraneo al suo tempo. Alfieri si inserisce perfettamente nel contesto politico-culturale del penultimo decennio del Settecento, di cui rappresenta una delle voci più moderne e originali. Si consideri infatti che negli anni Ottanta del XVIII secolo «in tutta Europa si esauriva l’energia creatrice dell’illuminismo» , e che contemporaneamente negli Stati Uniti e soprattutto in Francia si andavano elaborando proposte politiche più avanzate rispetto al dispotismo illuminato che attraversava una crisi irreversibile. Ebbene, partendo dalla concezione illuministica
che assegna allo scrittore un compito educativo - morale e ne fa un propugnatore della libertà e della verità (nel caso dell’Astigiano, dall’alto della sua aristocrazia morale, siamo tuttavia in presenza di una verità per pochi eletti), Alfieri, nel momento in cui denuncia quello che gli appare il più grande misfatto dei suoi tempi, da una posizione fortemente legalitaria finisce per rivolgersi contro l’illuminismo stesso, contestando proprio l’ormai fatiscente dispotismo illuminato e svelando come «sotto il manto della giustizia» dietro cui si nasconde non è in realtà diverso dalla tirannide.
Il primo capitolo analizza il trattato Della Tirannide attraverso un sistematico confronto fra le sue due redazioni. Tale modus operandi ci consente in primo luogo di apprezzare come già nella stesura giovanile accanto ad una componente “libertaria” se ne affianchi una più propriamente legalitaria. In secondo luogo possiamo osservare come sotto l’impulso dell’acceso dibattito politico-culturale che precedette lo scoppio della Rivoluzione francese la componente legalitaria venga notevolmente rafforzata nelle numerose aggiunte di cui si arricchisce la redazione definitiva.
Il secondo capitolo affronta il Panegirico di Plinio a Trajano con l’intenzione di dimostrare che l’opera non può essere considerata una semplice esercitazione retorica come invece ha sostenuto buona parte della critica alfieriana. Il Panegirico si configura piuttosto come un violento attacco alla tesi che possa esistere un optimus princeps legibus solutus e il suggerimento che il Plinio alfieriano rivolge a Trajano, ovvero di rinunciare spontaneamente al proprio potere assoluto facendosi minore delle leggi, rivela la straordinaria attualità dell’opera alfieriana poiché la medesima proposta era stata avanzata ai sovrani europei da Mably e da Diderot.
L’ultima sezione prende in considerazione, attraverso l’analisi della favoletta Le Mosche e l’Api, del capitolo ad Andrea Chénier e di altre testimonianze, l’incerto e per certi versi conflittuale rapporto di Alfieri con il grande clima di attesa che precedette l’apertura degli Stati generali, un rapporto ondeggiante tra viva partecipazione e ironico scetticismo, fra coinvolgimento diretto e ostentata indifferenza, a cui si aggiunge il timore del possibile prolungarsi della stampa delle tragedie a causa delle distrazioni degli stampatori. Anche nel Parigi sbastigliato, nel momento di massima esaltazione, quando la palingenesi della nazione francese sembrava fondersi con l’ideologia antitirannica dell’autore, non mancano le prime riserve sull’eccesso di crudeltà e di sangue versato. Sono le prime avvisaglie di una Rivoluzione che andrà ben oltre rispetto alle aspettative di Alfieri e che sarebbero sfociate di lì a poco in un amaro disinganno nei confronti della Rivoluzione francese
e in un profondo e feroce odio verso i suoi protagonisti che avevano tradito quella «sacra», «divina» e moderata libertà di tipo “romano-inglese” sempre vagheggiata dall’Alfieri.
In questo elaborato ho dunque deciso di approfondire la questione concentrandomi in particolare su due delle più importanti prose politiche alfieriane, il trattato Della Tirannide e il Panegirico di Plinio a Trajano. Al fine di verificare le ipotesi e gli spunti di riflessione offerti dalla relazione seminariale e da alcuni studi che negli ultimi decenni hanno cercato di indagare, oltre le reticenze della Vita, la formazione culturale di Alfieri e l’importanza, spesso sottovalutata, dei viaggi effettuati in Italia e in Europa, ho ritenuto necessario in via preliminare leggere attentamente le opere di alcuni autori del Settecento fondamentali per la formazione del pensiero politico alfieriano e che ritroviamo come probabili fonti di significativi passi della Tirannide e del Panegirico. Alcuni di essi (Montesquieu, Rousseau) vengono nominati esplicitamente nella Vita, mentre per altri (valga per tutti il caso di Mably), mi sono avvalso della preziosa pubblicazione ad opera di Christian Del Vento dell’inventario della biblioteca parigina di Alfieri redatto dalle autorità francesi dopo la precipitosa fuga dell’autore nell’agosto 1792.
Ho creduto opportuno riflettere sull’importanza del soggiorno parigino dell’autore (1787-1792), periodo caratterizzato da un intenso dibattito politico-culturale che, come dimostrano le correzioni apportate alla Tirannide, Alfieri non poteva ignorare. I risultati della mia ricerca sono andati oltre le aspettative iniziali e si sono rivelati per certi versi sorprendenti. In primo luogo ho ricevuto conferma che insieme a un esasperato individualismo, a una fortissima componente di aristocrazia morale e all’esemplarità classica, giustamente sottolineate dalla critica, il principio della sovranità delle leggi costituisce l’altro leit motiv dell’opera alfieriana e in particolare del trattato Della Tirannide e del Panegirico di Plinio a Trajano.
Il poeta dell’individualismo esasperato, delle passioni titaniche, assolute e irrefrenabili, riconosce da un punto di vista politico l’assoluta necessità di un limite rappresentato dalla legge e ricorre ad espressioni quali «ben pubblico», «ben di tutti», «dritti […] sacri dell’uomo», nelle quali è riconoscibile una chiara prospettiva illuministica. All’innegabile idealizzata esemplarità dei modelli classici, esempi di libertà, grandezza ed eroismo assoluti, si affianca inoltre una concreta, reale e contemporanea alternativa politica alla tirannide, rappresentata dapprima dalla monarchia costituzionale inglese (“repubblica” nel linguaggio politico alfieriano) e successivamente anche quello dall’America “libera”.
Gli estremi opposti “assoluto” ∕ “limite”, “gloria individuale” ∕ “ben di tutti”, “ideale” (esemplarità classica) ∕ “reale” (modelli politici contemporanei), che venivano suggeriti all’Alfieri dalle sue letture filosofiche e “politiche” molto diverse fra loro (dall’individualismo eroico delle Vite plutarchiane ai testi principali dell’Illuminismo e del costituzionalismo francese con le loro tematiche strettamente attuali, passando attraverso altri autori fondamentali quali Machiavelli e Montaigne), creano una continua oscillazione e tensione fra poli opposti che, come la Rivoluzione francese sancirà amaramente per l’autore, risulteranno difficilmente conciliabili.
Dall’analisi della Tirannide e del Panegirico emerge la figura di uno scrittore “europeo”, tutt’altro che «sradicato» ed estraneo al suo tempo. Alfieri si inserisce perfettamente nel contesto politico-culturale del penultimo decennio del Settecento, di cui rappresenta una delle voci più moderne e originali. Si consideri infatti che negli anni Ottanta del XVIII secolo «in tutta Europa si esauriva l’energia creatrice dell’illuminismo» , e che contemporaneamente negli Stati Uniti e soprattutto in Francia si andavano elaborando proposte politiche più avanzate rispetto al dispotismo illuminato che attraversava una crisi irreversibile. Ebbene, partendo dalla concezione illuministica
che assegna allo scrittore un compito educativo - morale e ne fa un propugnatore della libertà e della verità (nel caso dell’Astigiano, dall’alto della sua aristocrazia morale, siamo tuttavia in presenza di una verità per pochi eletti), Alfieri, nel momento in cui denuncia quello che gli appare il più grande misfatto dei suoi tempi, da una posizione fortemente legalitaria finisce per rivolgersi contro l’illuminismo stesso, contestando proprio l’ormai fatiscente dispotismo illuminato e svelando come «sotto il manto della giustizia» dietro cui si nasconde non è in realtà diverso dalla tirannide.
Il primo capitolo analizza il trattato Della Tirannide attraverso un sistematico confronto fra le sue due redazioni. Tale modus operandi ci consente in primo luogo di apprezzare come già nella stesura giovanile accanto ad una componente “libertaria” se ne affianchi una più propriamente legalitaria. In secondo luogo possiamo osservare come sotto l’impulso dell’acceso dibattito politico-culturale che precedette lo scoppio della Rivoluzione francese la componente legalitaria venga notevolmente rafforzata nelle numerose aggiunte di cui si arricchisce la redazione definitiva.
Il secondo capitolo affronta il Panegirico di Plinio a Trajano con l’intenzione di dimostrare che l’opera non può essere considerata una semplice esercitazione retorica come invece ha sostenuto buona parte della critica alfieriana. Il Panegirico si configura piuttosto come un violento attacco alla tesi che possa esistere un optimus princeps legibus solutus e il suggerimento che il Plinio alfieriano rivolge a Trajano, ovvero di rinunciare spontaneamente al proprio potere assoluto facendosi minore delle leggi, rivela la straordinaria attualità dell’opera alfieriana poiché la medesima proposta era stata avanzata ai sovrani europei da Mably e da Diderot.
L’ultima sezione prende in considerazione, attraverso l’analisi della favoletta Le Mosche e l’Api, del capitolo ad Andrea Chénier e di altre testimonianze, l’incerto e per certi versi conflittuale rapporto di Alfieri con il grande clima di attesa che precedette l’apertura degli Stati generali, un rapporto ondeggiante tra viva partecipazione e ironico scetticismo, fra coinvolgimento diretto e ostentata indifferenza, a cui si aggiunge il timore del possibile prolungarsi della stampa delle tragedie a causa delle distrazioni degli stampatori. Anche nel Parigi sbastigliato, nel momento di massima esaltazione, quando la palingenesi della nazione francese sembrava fondersi con l’ideologia antitirannica dell’autore, non mancano le prime riserve sull’eccesso di crudeltà e di sangue versato. Sono le prime avvisaglie di una Rivoluzione che andrà ben oltre rispetto alle aspettative di Alfieri e che sarebbero sfociate di lì a poco in un amaro disinganno nei confronti della Rivoluzione francese
e in un profondo e feroce odio verso i suoi protagonisti che avevano tradito quella «sacra», «divina» e moderata libertà di tipo “romano-inglese” sempre vagheggiata dall’Alfieri.
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