Tesi etd-03302016-212436 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
OLIVETO, FRANCESCA
URN
etd-03302016-212436
Titolo
L'area delle collaborazioni coordinate e continuative e il d.lgs. 81/2015
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Albi, Pasqualino
Parole chiave
- autonomia
- collaboratore
- collaborazioni coordinate e continuative
- committente
- disciplina
- etero- direzione
- etero- organizzazione
- giurisprudenza
- lavoro a progetto
- parasubordinazione
- riforma
- subordinazione
Data inizio appello
18/04/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’entrata in vigore del decreto legislativo 81 del 2015 ha riaperto tutte le discussioni sulle collaborazioni coordinate e continuative sia in quanto ha previsto una nuova fattispecie di applicazione della disciplina del lavoro subordinato tutta da interpretare, sia, soprattutto, perché ha completamente abrogato la disciplina precedente, scompaginando il sistema e riportando l’orologio del diritto del lavoro indietro di dodici anni.
Questa analisi, pertanto, riprende il tema dalla sua origine e dall’assetto antecedente alle riforme del 2003 che oggi è tornato inaspettatamente attuale.
In tale intento, dopo la focalizzazione dei meccanismi di definizione dell’area delle collaborazioni coordinate e continuative nell’ordinamento, ne evidenzia la natura di categoria aperta, collocandola dentro il perimetro del lavoro autonomo e negando sia il carattere sistematico alla previsione di cui all’art. 409 c.p.c. sia la pretesa esistenza di un tertium genus tra autonomia e subordinazione.
Viene inoltre analizzata l’evoluzione giurisprudenziale in materia di qualificazione del rapporto e le relative incertezze, attribuendo a queste ultime, oltre che ai principi che governano l’onere della prova, la causa della creazione della cosiddetta “area grigia” e del dilagare di forme elusive di collaborazioni coordinate e continuative generiche che hanno a loro volta alimentato le spinte verso una regolamentazione.
La seconda parte della tesi affronta quindi approfonditamente il dibattito che ha preceduto e accompagnato la riforma introdotta con il D.lgs. 276 del 2003, evidenziandone la funzione antielusiva e la centralità del divieto di stipulazione di forme atipiche di collaborazioni coordinate e continuative che ha accompagnato l’istituzione della forma tipica a progetto, che viene, a sua volta, esaminata, evidenziandone oggetto, causa, forme di stipulazione e disciplina.
Si analizza quindi la riforma di cui alla L.92 del 2012 (cd legge Fornero), che viene interpretata sia in chiave di positivizzazione della elaborazione giurisprudenziale nel frattempo intervenuta, sia come intensificazione della natura restrittiva della normativa, con l’incursione nel campo del lavoro a partita iva, evidenziandone anche gli aspetti critici e contraddittori, ma registrando la raggiunta efficacia del sistema così complessivamente costruito ai fini antielusivi e il suo sostanziale equilibrio.
Viene successivamente decritto il clima del dibattito che ha preceduto l’ultimo intervento legislativo e le fasi preparatorie sia della legge delega n°30 del 2014 (cd Jobs act) sia del decreto attuativo 81 del 2015.
La nuova ratio di tale intervento legislativo viene individuata in una vocazione interventista di “polarizzazione del mercato del lavoro, diretta a far convogliare le relazioni di lavoro di preferenza nell’alveo della subordinazione, ovvero, qualora ne esistano i presupposti, nel campo opposto della autonomia”, con una netta inversione di tendenza rispetto alla precedente disciplina retrittiva e antifraudolenta.
In tale quadro si registra l’inaspettata liberalizzazione delle collaborazioni coordinate e continuative che è implicita conseguenza dell’abrogazione totale della precedente riforma e l’allargamento altre zone franche, come quella del lavoro accessorio.
Sul piano opposto viene sottoposta a disamina la nuova fattispecie di applicazione della disciplina del lavoro subordinato di cui all’art. 2 comma 1 del D.Lgs. 81/2015 e definiti i confini di essa con interpretazione fedele al dettato normativo.
Pertanto si parte dal presupposto che tale norma riguarda quelle collaborazioni coordinate e continuative non necessariamente rientranti in un concetto generale di etero-organizzazione ma in quello specifico, i cui confini sono dettati dalla norma stessa, di etero-organizzazione anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
In questa chiave di lettura, che consente di non smarrirsi nel tentativo di ricercare le differenze concettuali tra etero-organizzazione e coordinamento su cui attualmente dibatte la dottrina, si sostiene che il legislatore delegato abbia voluto inquadrare quelle situazioni anche meramente oggettive (di qui l’uso del termine organizzazione al posto di coordinamento che rimanda alla relativa attività di persone preposte a tale scopo) in cui la prestazione del collaboratore venga ricompresa nella rete organizzativa aziendale in alcuni punti e ritenere che in tale caso, indipendentemente dalla qualificazione del rapporto, si debba applicare ex lege la disciplina del lavoro subordinato.
Così interpretata la norma stabilisce il suo campo di applicazione al di fuori del perimetro della subordinazione e quindi senza intaccarne il concetto e la portata, anche evolutiva.
La tesi rivolge successivamente l’interesse alla individuazione delle zone escluse dall’applicazione di tale norma e della disciplina ad esse riconducibile, che al momento torna ad essere, di base, quella applicabile prima del 2003, rilevando però come, per via convenzionale ovvero per l’ultrattività dei rapporti instaurati prima del giugno 2015, potrà ancora essere quella del contratto a progetto.
Seguendo il percorso logico di cui sopra, l’attenzione si sposta infine sulla attuale fase di elaborazione della cd terza fase di attuazione del Jobs act, quella relativa alla d.d.l. s. 2233 cd “tutela del lavoro autonomo”, seguendone gli sviluppi sino all’udienza della Commissione lavoro del senato del 16 marzo 2016 e descrivendo la portata della normativa, con riflessioni sulla portata sistematica dell’intervento e sulla effettiva portata delle tutele proposte.
Questa analisi, pertanto, riprende il tema dalla sua origine e dall’assetto antecedente alle riforme del 2003 che oggi è tornato inaspettatamente attuale.
In tale intento, dopo la focalizzazione dei meccanismi di definizione dell’area delle collaborazioni coordinate e continuative nell’ordinamento, ne evidenzia la natura di categoria aperta, collocandola dentro il perimetro del lavoro autonomo e negando sia il carattere sistematico alla previsione di cui all’art. 409 c.p.c. sia la pretesa esistenza di un tertium genus tra autonomia e subordinazione.
Viene inoltre analizzata l’evoluzione giurisprudenziale in materia di qualificazione del rapporto e le relative incertezze, attribuendo a queste ultime, oltre che ai principi che governano l’onere della prova, la causa della creazione della cosiddetta “area grigia” e del dilagare di forme elusive di collaborazioni coordinate e continuative generiche che hanno a loro volta alimentato le spinte verso una regolamentazione.
La seconda parte della tesi affronta quindi approfonditamente il dibattito che ha preceduto e accompagnato la riforma introdotta con il D.lgs. 276 del 2003, evidenziandone la funzione antielusiva e la centralità del divieto di stipulazione di forme atipiche di collaborazioni coordinate e continuative che ha accompagnato l’istituzione della forma tipica a progetto, che viene, a sua volta, esaminata, evidenziandone oggetto, causa, forme di stipulazione e disciplina.
Si analizza quindi la riforma di cui alla L.92 del 2012 (cd legge Fornero), che viene interpretata sia in chiave di positivizzazione della elaborazione giurisprudenziale nel frattempo intervenuta, sia come intensificazione della natura restrittiva della normativa, con l’incursione nel campo del lavoro a partita iva, evidenziandone anche gli aspetti critici e contraddittori, ma registrando la raggiunta efficacia del sistema così complessivamente costruito ai fini antielusivi e il suo sostanziale equilibrio.
Viene successivamente decritto il clima del dibattito che ha preceduto l’ultimo intervento legislativo e le fasi preparatorie sia della legge delega n°30 del 2014 (cd Jobs act) sia del decreto attuativo 81 del 2015.
La nuova ratio di tale intervento legislativo viene individuata in una vocazione interventista di “polarizzazione del mercato del lavoro, diretta a far convogliare le relazioni di lavoro di preferenza nell’alveo della subordinazione, ovvero, qualora ne esistano i presupposti, nel campo opposto della autonomia”, con una netta inversione di tendenza rispetto alla precedente disciplina retrittiva e antifraudolenta.
In tale quadro si registra l’inaspettata liberalizzazione delle collaborazioni coordinate e continuative che è implicita conseguenza dell’abrogazione totale della precedente riforma e l’allargamento altre zone franche, come quella del lavoro accessorio.
Sul piano opposto viene sottoposta a disamina la nuova fattispecie di applicazione della disciplina del lavoro subordinato di cui all’art. 2 comma 1 del D.Lgs. 81/2015 e definiti i confini di essa con interpretazione fedele al dettato normativo.
Pertanto si parte dal presupposto che tale norma riguarda quelle collaborazioni coordinate e continuative non necessariamente rientranti in un concetto generale di etero-organizzazione ma in quello specifico, i cui confini sono dettati dalla norma stessa, di etero-organizzazione anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
In questa chiave di lettura, che consente di non smarrirsi nel tentativo di ricercare le differenze concettuali tra etero-organizzazione e coordinamento su cui attualmente dibatte la dottrina, si sostiene che il legislatore delegato abbia voluto inquadrare quelle situazioni anche meramente oggettive (di qui l’uso del termine organizzazione al posto di coordinamento che rimanda alla relativa attività di persone preposte a tale scopo) in cui la prestazione del collaboratore venga ricompresa nella rete organizzativa aziendale in alcuni punti e ritenere che in tale caso, indipendentemente dalla qualificazione del rapporto, si debba applicare ex lege la disciplina del lavoro subordinato.
Così interpretata la norma stabilisce il suo campo di applicazione al di fuori del perimetro della subordinazione e quindi senza intaccarne il concetto e la portata, anche evolutiva.
La tesi rivolge successivamente l’interesse alla individuazione delle zone escluse dall’applicazione di tale norma e della disciplina ad esse riconducibile, che al momento torna ad essere, di base, quella applicabile prima del 2003, rilevando però come, per via convenzionale ovvero per l’ultrattività dei rapporti instaurati prima del giugno 2015, potrà ancora essere quella del contratto a progetto.
Seguendo il percorso logico di cui sopra, l’attenzione si sposta infine sulla attuale fase di elaborazione della cd terza fase di attuazione del Jobs act, quella relativa alla d.d.l. s. 2233 cd “tutela del lavoro autonomo”, seguendone gli sviluppi sino all’udienza della Commissione lavoro del senato del 16 marzo 2016 e descrivendo la portata della normativa, con riflessioni sulla portata sistematica dell’intervento e sulla effettiva portata delle tutele proposte.
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