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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03292022-162543


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BONTEMPO, FULVIO
URN
etd-03292022-162543
Titolo
Post-Islamismo. Analisi comparata fra Adalet ve Kalkınma Partisi e Harakat Al-Nahda.
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
STUDI INTERNAZIONALI
Relatori
relatore Dott. Tamburini, Francesco
Parole chiave
  • Adalet ve Kalkınma Partisi
  • AKP
  • Atatürk
  • Bourguiba
  • Dawla Islami
  • Democrazia Musulmana
  • Ennahda
  • Habib Bourguiba
  • Harakat Al-Nahda
  • Islam Politico
  • Islamism
  • Islamismo
  • Muslim Democracy
  • Mustafa Kemal
  • Political Islam
  • Post-Islamism
  • Post-Islamismo
  • Shari'a
  • Tunisia
  • Turchia
  • Turkey
Data inizio appello
09/05/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
09/05/2062
Riassunto
L'elaborato verte sulla questione del post-islamismo, attraverso un'analisi comparata fra Adalet ve Kalkınma Partisi e Harakat al-Nahda, partiti afferenti al movimento dell'islam politico rispettivamente in Turchia e Tunisia. Lo scopo dell'elaborato è verificare se tali partiti siano evoluti verso il post-islamismo o meno, partendo da una panoramica storico-istituzionale per giungere ad un'analisi dell'evoluzione degli stessi partiti, per poi confrontarli.
Nel primo capitolo viene affrontata la definizione di islam politico e post-islamismo, e delle loro definizioni operative, con il fine di stabilire le basi ideologiche da ricercare nell’analisi dei suddetti partiti, per poter stabilire quale definizione dar loro. In particolare, dopo aver analizzato il contesto storico dal cui è emerso il pensiero islamista, e le vicende della prima formazione islamista, quella della Fratellanza Musulmana in Egitto, abbiamo analizzato due aspetti molto discussi dell’islam politico, la shari’a e il rapporto dell’islamismo con la democrazia, i quali presentano delle criticità all’impianto ideologico islamista.
Il secondo capitolo ha come oggetto l’analisi dell’AKP turco. Inizialmente abbiamo ripercorso le principali evoluzioni storico-istituzionali della Turchia dal momento della sua fondazione repubblicana, dedicando attenzione all’ideologia atatürkista e all’opera di laicizzazione messa in atto da Atatürk e dai suoi successori, nonché alle interferenze dell’esercito nella storia politica turca, vedendosi questo come protettore dell’ideologia dello stesso Atatürk. Successivamente siamo passati ad un’analisi dell’evoluzione dell’Adalet ve Kalkinma Partisi, con particolare attenzione alla sua iniziale alleanza, rivelatasi tattica, col movimento gülenista, e allo sfruttamento delle politiche volte all’adesione all’UE come grimaldello per scardinare l’esercito dalla sua posizione non ufficiale di “guardiano della costituzione”. Particolare attenzione è stata poi data all’involuzione autoritaria sia del partito che dello stato, con il sempre maggiore accentramento di poteri nella figura di Erdoğan, il cui apice ha avuto luogo in risposta al tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, al quale hanno fatto seguito una serie di epurazioni delle forze armate, della pubblica amministrazione e in particolare del corpo giudiziario, al fine di eliminare gli individui associati al movimento gülenista, ormai classificato dall’AKP, e dallo stato turco, come organizzazione terrorista, e nel quale è stato individuato il mandante del tentato golpe. Abbiamo poi analizzato come l’AKP, il quale ha sempre rifiutato la definizione di partito islamista, sostenendo invece di essere un partito conservatore e musulmano, abbia usato l’islam a fini politici. In particolare abbiamo notato come l’uso dell’islam sia tornato ad essere preponderante nella dialettica del partito, e principalmente del presidente, tuttavia siamo giunti alla conclusione che l’uso fatto non classifichi il partito come islamista, in quanto più che puntare alla costituzione di uno stato islamico basato sulla shari’a, Erdoğan ha usato i simboli dell’islam per raccogliere consensi dalla popolazione più religiosa, al fine di consolidare la sua tenuta sul potere. Successivamente abbiamo preso visione del rapporto coi curdi, realtà particolarmente critica sin dalla nascita della Repubblica turca. Nonostante durante i primi anni al potere l’AKP avesse fatto dei passi verso la riconciliazione con la componente curda, anche in ragione del fatto che parte del bacino elettorale dell’AKP era composto da curdi conservatori, quando, per la prima volta, l’AKP si è trovato nel 2015 senza la maggioranza in parlamento, ha deciso di reinnescare il conflitto col PKK e di reprimere l’HDP, partito filo-curdo, accusando questo di avere legami con il PKK. Infine abbiamo preso in considerazione la politica estera turca durante i governi AKP, con particolare attenzione alle due dottrine che l’hanno informata, la stratejik derinlik o profondità strategica, elaborata all’interno dell’AKP, e la mavi vatan o patria blu, elaborata invece negli ambienti della marina militare turca. In particolar modo abbiamo notato come la profondità strategica sia una dottrina imperniata su due aspetti, quello storico e quello geografico, vedendo la Turchia come una potenza a cavallo fra due continenti, Asia ed Europa, e legata per cultura e religione al cosiddetto Medioriente. Abbiamo poi analizzato l’implementazione pratica della profondità strategica, che avrebbe dovuto basarsi principalmente sul soft power e sul concetto di “zero problemi con i vicini”, e come tale implementazione sia venuta meno a lungo termine. Riguardo la patria blu, dottrina che equipara le acque territoriali alla terraferma, abbiamo visto come abbia portato ad una crescente conflittualità nel Mar Mediterraneo Orientale, specialmente con Grecia e Repubblica di Cipro. Abbiamo inoltre visto come, essendo una dottrina esterna all’AKP, ne sia stato fatto un uso utilitarista, che però non ha comportato una commistione dei quadri dell’AKP con quelli militari. Abbiamo concluso il capitolo notando che, sebbene a nostro parere l’AKP, nella fase precedente alle proteste di Gezi Park del 2013 e al tentato colpo di stato del 2016, potesse essere considerato un partito post-islamista, l’evoluzione autoritaria sia del paese, sia del partito stesso, ormai completamente dominato da Erdoğan, faccia si che il partito ad oggi non possa essere considerato né islamista, in quanto l’uso dell’islam non ha come scopo la creazione di uno stato islamico, ne post-islamista, bensì un partito autoritario.
Il terzo capitolo analizza la storia e l’evoluzione di Harakat Al-Nahda, d’ora in poi Ennahda. Dopo aver preso in esame il percorso di decolonizzazione tunisino, e con esso l’emergere della figura di Bourguiba, abbiamo analizzato la modernizzazione operata dallo stesso in seguito all’indipendenza dalla Francia. Abbiamo visto come la relegazione dell’islam a fatto culturale e personale, sebbene comunque presente come giustificazione della modernizzazione del paese, unita all’esperienza socialista, abbiano portato all’emergere dell’islamismo, represso duramente sia da Bourguiba che dal Ben Ali, il quale rimosse il primo con un colpo di stato. Successivamente abbiamo visto l’evoluzione politica del paese in seguito alla rivoluzione del 2010. Abbiamo poi analizzato nello specifico l’evoluzione storica e ideologica di Ennahda, a partire dalla sua nascita come movimento pietista, Al-Jama’ah Al-Islamiyya, alla fine degli anni 60, per poi vedere come l’esperienza universitaria dei suoi membri più giovani, e il confronto, a volte violento, con la componente di sinistra del corpo studentesco, unita alle repressioni del 1978 e alla rivoluzione iraniana del 1979, abbiano portato ad una sempre maggiore politicizzazione del movimento. Tale politicizzazione ebbe il culmine, nei primi anni 80, con la decisione, motivata dalle recenti aperture politiche del regime, di rendere il movimento politico, cambiando nome in Movimento della Tendenza Islamica (MTI), incorrendo però nelle repressioni di Bourguiba, che temeva l’attrattiva del movimento. Dopo aver visto come il colpo di stato di Ben Ali avesse inizialmente fatto presagire una trasformazione democratica del paese, tuttavia, questi operò una repressione ancora maggiore del movimento, nel frattempo (1991) diventato Ennahda. Abbiamo anche preso in esame la disponibilità, da parte di alcuni settori del movimento islamista, di usare la violenza nel confronto col regime, sotto forma di attentati terroristici o di piani golpisti. Inoltre abbiamo notato come l’esclusione dalla società degli anni 90 e del primo decennio degli anni 2000 abbia in realtà portato ad una moderazione del discorso politico del movimento, e ad una sistematica formulazione ideologica da parte del suo leader, Rashid Ghannoushi. Inoltre abbiamo visto come, in seguito alla rivoluzione, nonostante Ennahda avesse la maggioranza nell’Assemblea Costituente, sebbene non la maggioranza assoluta, questi abbia preferito formare un governo di consenso con partiti secolari, e abbia fatto importanti compromessi riguardo temi caldi del processo costituente, come la questione della shari’a o quella della criminalizzazione costituzionale della blasfemia, abbandonando di fatto il campo dell’islam politico. Tale abbandono, criticato dalle correnti salafite della società tunisina, ebbe il suo completamento nel 2016, quando Ennahda annunciò ufficialmente di aver deciso di abbandonare l’attività pietistica e l’etichetta islamista, riferendo a sé stesso come partito democratico musulmano. Abbiamo poi visto come, tuttavia, ad oggi il partito sia in crisi sia in ragione della recente svolta autoritaria operata dal Presidente Saied, il quale ha sciolto il parlamento e sospeso la costituzione, sia a causa della figura di Ghannoushi, il quale ha mostrato tendenze sempre più paternalistiche nella gestione del partito, da sempre caratterizzato dalla propria democraticità interna. Dopo abbiamo fatto una panoramica della politica estera tunisina fra il 2011 e il 2013, quando Ennahda esprimeva sia il ministro degli esteri che il primo ministro, per ricostruire quella del partito, notando un orientamento verso paesi, come la Turchia e il Qatar, vicini al movimento islamista. Abbiamo concluso poi il capitolo sostenendo come a nostro parere Ennahda si trovasse quantomeno in una fase post-islamista, in ragione del fatto che ha operato un ribaltamento della propria ideologia, passando dall’obbiettivo di instaurare uno stato islamico in Tunisia all’aver accettato a definizione, presente nella costituzione, del paese come stato civile. Tuttavia abbiamo fatto presente il rischio che la figura di Ghannoushi possa porre fine a questa fase, se la democraticità interna del partito dovesse venir definitivamente meno.
Infine, nell’ultimo capitolo, abbiamo messo a confronto le esperienze dei due partiti, e le conclusioni che abbiamo tratto riguardo agli stessi.
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