Thesis etd-03292021-110144 |
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Thesis type
Tesi di laurea magistrale
Author
MATTEI, MARCO
URN
etd-03292021-110144
Thesis title
Nuovi scenari nell'area dello stretto di Bab El Mandeb
Department
SCIENZE POLITICHE
Course of study
SCIENZE MARITTIME E NAVALI
Supervisors
relatore T.V. Altiero, Oscar
Keywords
- choke point
- Corno d'Africa
- geopolitica
- Penisola Arabica
Graduation session start date
08/04/2021
Availability
Full
Summary
Le ragioni che rendono l’area dello stretto di Bab el Mandeb, che in arabo significa Porta delle Lacrime, una delle zone più “calde” del mondo, sono molteplici, complesse e di varia natura. Questo braccio di mare infatti, insieme allo stretto di Malacca e lo stretto di Hormuz è uno dei Choke Point (collo di bottiglia) più importanti del globo terrestre.
In questa porzione di pianeta si intrecciano gli interessi delle potenze globali, quali USA, Cina, Russia, delle potenze macro regionali come KSA, EAU, Qatar, Turchia, Egitto, Iran, e delle potenze regionali come Etiopia, Eritrea, Sudan, Somalia, Gibuti.
Tali interessi scaturiscono da una interazione di fattori locali quali i contenziosi residui del colonialismo, le questioni relative ai confini tra gli stati, e addirittura, tra i vari gruppi etnici all’interno dello stesso stato, conflitti religiosi, terrorismo islamico (corti islamiche, Al Shabaab, stato islamico), desiderio di alcuni paesi ad elevarsi a potenze regionali, come Etiopia ed Egitto, la quale Etiopia basandosi su una vecchia tradizione statuale nella sua accezione più ampia, aspira ad una posizione di egemonia regionale.
Questa situazione porta, a seconda di come si combinano le aspirazioni, a posizioni di vantaggio in loco dei vari protagonisti, ad alleanze variabili, che spesso non rispecchiano quelle teoriche di partenza dovute ad equilibri maturati in precedenza.
Le influenze che arrivano dall’esterno al fine di poter manovrare nel Corno d’Africa, sono di varia natura: economica, come il sostegno della Repubblica Popolare della Cina nei confronti dell’Etiopia e Gibuti, discorso che vale anche per la Turchia e il Qatar a favore della Somalia, in cambio poi di porti e basi militari.
Aiuti economici arrivano da parte degli EAU nei confronti dell’Eritrea e del Somaliland, al fine di ottenere posizioni privilegiate nell’uso dei porti eritrei di Massua e Assab e Berbera nel Nord Ovest della Somalia, utili oltre che per scopi commerciali, anche come basi di partenza per le operazioni militari emiratine nello Yemen, e comunque per avere garantita una presenza militare nella zona dello stretto di Bab el Mandeb.
Il quadro si completa con l’affermazione di Gibuti come hub militare per: USA, Francia, Cina, Italia, Giappone ed a breve per KSA e EAU.
A questo va aggiunta la costante tendenza delle Monarchie del Golfo ad avere un certo controllo degli eventi in questa parte di Africa Orientale, al fine di rendere sicure le acque dello stretto di Bab el Mandeb e del golfo di Aden, dove passano milioni di barili di petrolio necessari ad alimentare i sistemi economici di tutto il mondo.
Tale esigenza di mantenere sotto controllo questi bracci di mare, spiegano anche la guerra combattuta per procura nello Yemen tra, KSA, EAU, da una parte e ribelli Houti sostenuti dall’Iran dalla altra, conflitto nel quale si innesta anche la lotta fra separatisti yemeniti e lealisti governativi dello Yemen, e non ultimo la lotta contro i qaedisti localizzati nell’entroterra del paese, che come ricordiamo sia stato uno dei luoghi di transito e permanenza di Osama bin Laden.
Dal quadro della situazione così tratteggiato, se ne ricava un’immagine del Corno d’Africa in un equilibrio instabile, mantenuto al prezzo di alleanze fra i protagonisti locali, dettate più dalla volontà di raggiungere un vantaggio nel breve termine, piuttosto che un vantaggio strategico nel lungo termine. A ciò va aggiunta l’intenzione delle potenze mondiali a non lasciarsi coinvolgere direttamente in una serie di conflitti locali di bassa intensità militare, ma comunque costosi in termini politici ed economici.
La politica di questi ultimi quindi, tende a mantenere uno status quo molto precario, orientato a non fare emergere troppo un attore nei confronti dell’altro, cercando così di mantenere una situazione di equilibrio “instabile” permanente. Situazione questa, che affonda le sue radici nel passato storico recente e lontano dei paesi appartenenti al Corno d’Africa e al Corno d’Africa allargato, fatto di conflitti etnici e interessi politici legati al raggiungimento di una supremazia locale, che ancora ostacola la maturazione di condizioni sociali ed economiche tali da avere uno sviluppo stabile e duraturo nell’area.
Conflitti etnici che periodicamente riemergono, soprattutto quando l’equilibrio “instabile” raggiunto, sembra volgere a favore di un attore locale, come si sta verificando in questo ultimo lasso di tempo in Etiopia, dove il TPLF (fronte popolare per la liberazione del Tigray) espressione della classe dirigente dello stato federale del Tigray, sta guidando una rivolta contro il governo centrale guidato dal premier Abiy Ahmed, di etnia Oromo.
Questi violenti scontri sono dovuti al fatto che Abiy Ahmed ed il governo federale promuovono il rafforzamento dello stato etiope per arrivare ad una Grande Etiopia, dove l’elemento unitario prevalga sulle spinte autonomiste locali, sponsorizzate invece e soprattutto dal governo locale del Tigray.
A ciò va aggiunto il desiderio mai del tutto celato da parte dell’etnia tigrina, di voler riassumere quel ruolo centrale nella politica etiope che essi hanno sempre avuto nel corso degli anni, e che ora non hanno più.
Al momento la situazione in loco, dopo i primi attacchi riconducili a truppe locali tigrine, vede prevalere le truppe federali di Abiy Amed, che sembra godere dell’appoggio delle altre etnie che compongono lo stato federale etiope.
La situazione attuale vede crescere la volontà degli stati federali di arginare la volontà tigrina di riassumere il potere, o almeno di aumentarne il suo peso specifico all’interno dello stato etiope.
Da menzionare il tentativo del TPLF di coinvolgere negli scontri l’Eritrea, lanciando sulla capitale Asmara dei razzi. Evento questo che sembra non aver raggiunto lo scopo voluto, ma anzi vede crearsi una collaborazione sul campo di Etiopia ed Eritrea.
In questa porzione di pianeta si intrecciano gli interessi delle potenze globali, quali USA, Cina, Russia, delle potenze macro regionali come KSA, EAU, Qatar, Turchia, Egitto, Iran, e delle potenze regionali come Etiopia, Eritrea, Sudan, Somalia, Gibuti.
Tali interessi scaturiscono da una interazione di fattori locali quali i contenziosi residui del colonialismo, le questioni relative ai confini tra gli stati, e addirittura, tra i vari gruppi etnici all’interno dello stesso stato, conflitti religiosi, terrorismo islamico (corti islamiche, Al Shabaab, stato islamico), desiderio di alcuni paesi ad elevarsi a potenze regionali, come Etiopia ed Egitto, la quale Etiopia basandosi su una vecchia tradizione statuale nella sua accezione più ampia, aspira ad una posizione di egemonia regionale.
Questa situazione porta, a seconda di come si combinano le aspirazioni, a posizioni di vantaggio in loco dei vari protagonisti, ad alleanze variabili, che spesso non rispecchiano quelle teoriche di partenza dovute ad equilibri maturati in precedenza.
Le influenze che arrivano dall’esterno al fine di poter manovrare nel Corno d’Africa, sono di varia natura: economica, come il sostegno della Repubblica Popolare della Cina nei confronti dell’Etiopia e Gibuti, discorso che vale anche per la Turchia e il Qatar a favore della Somalia, in cambio poi di porti e basi militari.
Aiuti economici arrivano da parte degli EAU nei confronti dell’Eritrea e del Somaliland, al fine di ottenere posizioni privilegiate nell’uso dei porti eritrei di Massua e Assab e Berbera nel Nord Ovest della Somalia, utili oltre che per scopi commerciali, anche come basi di partenza per le operazioni militari emiratine nello Yemen, e comunque per avere garantita una presenza militare nella zona dello stretto di Bab el Mandeb.
Il quadro si completa con l’affermazione di Gibuti come hub militare per: USA, Francia, Cina, Italia, Giappone ed a breve per KSA e EAU.
A questo va aggiunta la costante tendenza delle Monarchie del Golfo ad avere un certo controllo degli eventi in questa parte di Africa Orientale, al fine di rendere sicure le acque dello stretto di Bab el Mandeb e del golfo di Aden, dove passano milioni di barili di petrolio necessari ad alimentare i sistemi economici di tutto il mondo.
Tale esigenza di mantenere sotto controllo questi bracci di mare, spiegano anche la guerra combattuta per procura nello Yemen tra, KSA, EAU, da una parte e ribelli Houti sostenuti dall’Iran dalla altra, conflitto nel quale si innesta anche la lotta fra separatisti yemeniti e lealisti governativi dello Yemen, e non ultimo la lotta contro i qaedisti localizzati nell’entroterra del paese, che come ricordiamo sia stato uno dei luoghi di transito e permanenza di Osama bin Laden.
Dal quadro della situazione così tratteggiato, se ne ricava un’immagine del Corno d’Africa in un equilibrio instabile, mantenuto al prezzo di alleanze fra i protagonisti locali, dettate più dalla volontà di raggiungere un vantaggio nel breve termine, piuttosto che un vantaggio strategico nel lungo termine. A ciò va aggiunta l’intenzione delle potenze mondiali a non lasciarsi coinvolgere direttamente in una serie di conflitti locali di bassa intensità militare, ma comunque costosi in termini politici ed economici.
La politica di questi ultimi quindi, tende a mantenere uno status quo molto precario, orientato a non fare emergere troppo un attore nei confronti dell’altro, cercando così di mantenere una situazione di equilibrio “instabile” permanente. Situazione questa, che affonda le sue radici nel passato storico recente e lontano dei paesi appartenenti al Corno d’Africa e al Corno d’Africa allargato, fatto di conflitti etnici e interessi politici legati al raggiungimento di una supremazia locale, che ancora ostacola la maturazione di condizioni sociali ed economiche tali da avere uno sviluppo stabile e duraturo nell’area.
Conflitti etnici che periodicamente riemergono, soprattutto quando l’equilibrio “instabile” raggiunto, sembra volgere a favore di un attore locale, come si sta verificando in questo ultimo lasso di tempo in Etiopia, dove il TPLF (fronte popolare per la liberazione del Tigray) espressione della classe dirigente dello stato federale del Tigray, sta guidando una rivolta contro il governo centrale guidato dal premier Abiy Ahmed, di etnia Oromo.
Questi violenti scontri sono dovuti al fatto che Abiy Ahmed ed il governo federale promuovono il rafforzamento dello stato etiope per arrivare ad una Grande Etiopia, dove l’elemento unitario prevalga sulle spinte autonomiste locali, sponsorizzate invece e soprattutto dal governo locale del Tigray.
A ciò va aggiunto il desiderio mai del tutto celato da parte dell’etnia tigrina, di voler riassumere quel ruolo centrale nella politica etiope che essi hanno sempre avuto nel corso degli anni, e che ora non hanno più.
Al momento la situazione in loco, dopo i primi attacchi riconducili a truppe locali tigrine, vede prevalere le truppe federali di Abiy Amed, che sembra godere dell’appoggio delle altre etnie che compongono lo stato federale etiope.
La situazione attuale vede crescere la volontà degli stati federali di arginare la volontà tigrina di riassumere il potere, o almeno di aumentarne il suo peso specifico all’interno dello stato etiope.
Da menzionare il tentativo del TPLF di coinvolgere negli scontri l’Eritrea, lanciando sulla capitale Asmara dei razzi. Evento questo che sembra non aver raggiunto lo scopo voluto, ma anzi vede crearsi una collaborazione sul campo di Etiopia ed Eritrea.
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