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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-03292016-102901


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
TASCIONE, BENEDETTA
URN
etd-03292016-102901
Titolo
Madre e Detenuta Le problematiche della carcerazione femminile
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Bresciani, Luca
Parole chiave
  • carcere
  • madre
  • detenuta
Data inizio appello
18/04/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Nell’ambito dell’universo carcerario, che per definizione è chiuso e impermeabile, la condizione specifica delle detenute era quasi del tutto ignota. Erano pochissimi i fatti noti: si sapeva che le donne erano, e sono, recluse in carceri pensati per i detenuti di sesso maschile, era noto che, oltre le poche carceri femminili, le donne erano e sono sparse nelle sezioni femminili ricavate nelle strutture maschili come tante costole di Adamo. Infine era già noto il delicato problema delle detenute con i figli.
In primo luogo è stato necessario analizzare lo sviluppo della devianza femminile nel corso degli anni. Da ciò sono emerse varie teorie che tentano di giustificare il minor numero di detenute di sesso femminile rispetto al genere maschile. Tuttavia, della minor incidenza statistica della criminalità femminile sono state fornite diverse chiavi interpretative: nessuna delle quali, però, si è rivelata pienamente soddisfacente.
Conseguentemente si è analizzato il profilo specifico della detenuta madre sottolineando l’assoluta povertà di risorse ad esse offerte per non compromettere da un lato, il rapporto genitoriale, e dall’altro lo sviluppo psico-fisico del bambino.
In secondo luogo si analizza il susseguirsi della legislazione nazionale e internazionale in tema di detenuta madre, dalla legge di ordinamento penitenziario alla legge Gozzini, alla legge Simeone-Saraceni, dalla legge Finocchiaro alla legge n.62/2011. Il problema del rapporto genitore detenuto-figlio è sempre stato oggetto di attenzione da parte del legislatore che ha cercato di cambiare in meglio la condizione critica che queste persone si trovano ad affrontare. Emerge un quadro tanto complesso quanto confuso, ancora inadatto a gestire nel migliore dei modi tale problema.
In terzo luogo si analizzano le misure alternative e i benefici che sono concessi, a particolari condizioni, alle detenute madri. Ancora una volta troppi dubbi e troppe contradizioni caratterizzano tali istituti che, al contrario, dovrebbero assicurare quanto più possibile un “normale” rapporto genitoriale.
Infine, l’ultimo capitolo è volto al confronto tra due realtà differenti: quella della detenuta con il figlio in cella con conseguente riferimento allo sviluppo del bambino nel contesto carcerario, e quella della detenuta con il figlio presso l’ICAM di Milano.
Vi è stata l’occasione di toccare con mano la situazione delle detenute-madri presso l’ICAM di Milano. Un edificio che non rispecchia, dal punto di vista strutturale, un istituto detentivo. Pareti colorate, agenti senza la divisa, educatrici qualificate e le tante attività sia per la madre che per suo figlio, fanno sì che non venga compromesso lo sviluppo psico-fisico dei bambini. Tutto ciò, invece, non accade negli istituti di pena classicamente intesi.
Se l’Italia avesse a cuore le sorti di questi bambini, darebbe loro la possibilità di crescere insieme alla madri in un luogo diverso dalla prigione. Perché mettere la certezza della pena davanti al diritto di un bambino di crescere sereno? Va trovata una via d’uscita, una soluzione che possa assicurare una condizione di maternità quanto più possibile vicino alla normalità.
Il lavoro in questione dunque si propone di ripercorrere le tappe storiche-normative di una vicenda complessa e delicata come questa, analizzandone i profili attinenti.








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