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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03282023-171218


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
BECONCINI, MARGHERITA
URN
etd-03282023-171218
Titolo
Il controllo del g.i.p. sulle attività del p.m.: profili sistematici, percorsi giurisprudenziali ed approdi normativi
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
  • circolare Pignatone
  • criterio archiviativo
  • giudice istruttore
  • giudice per le indagini preliminari
  • imputazione coatta
  • indagini coatte
  • indagini preliminari
  • notizia di reato
  • parte imparziale
  • principio di completezza
  • principio di ragionevole durata
  • pubblico ministero
  • registro delle notizie di reato
  • riforma Cartabia
  • riforma Orlando
  • stasi decisionale
Data inizio appello
17/04/2023
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il presente elaborato reca con sé l’intitolazione “Il controllo del g.i.p. sulle attività del p.m.: profili sistematici, percorsi giurisprudenziali ed approdi normativi”. Il titolo esordisce racchiudendo il proposito della trattazione: quello di sondare la funzione di controllo che il giudice per le indagini preliminari è chiamato ad effettuare in una fase – tanto delicata, quanto dirimente – quale quella delle indagini preliminari, della quale il pubblico ministero ne costituisce dominus indiscusso e, sovente, incontrollato. Tale fine viene raggiunto attraverso un iter logico-argomentativo nel quale ad essere attenzionati sono diversi aspetti (scelte sistematiche, attività pretoria e novità legislative) scanditi all’interno di quattro capitoli. Statica è la prospettiva nel quale si calano i primi due, dinamica è quella che attraversa i restanti.

Chiarita la premessa teleologica e metodologica cui si è fatto seguito nella trattazione, occorre precisare che il primo capitolo è dedicato a ripercorrere l’excursus storico-sistematico per mezzo del quale il codice di rito del 1988 è addivenuto all’introduzione del g.i.p., a partire dalla figura del giudice istruttore, cifra distintiva del previgente codice di rito. Senza troppo sottilizzare, si può senz’altro asserire che il g.i.p. sta al codice Vassalli come il giudice istruttore sta al codice di rito Rocco. Il percorso che ha visto il nostro ordinamento abbandonare il sistema inquisitorio per accogliere quello (misto) accusatorio è, infatti, parso necessario nella prospettiva di comprendere quando l’intervento del g.i.p. – alla luce dell’attuale assetto codicistico – possa dirsi rispettoso del principio "ne procedat iudex ex officio", ignorato nella vigenza del codice di rito fascista. Vigente il codice processuale del 1930, investigazione e giurisdizione albergavano sinergicamente all’interno del giudice istruttore. In tale contesto, la reductio ad unum dell’azione e della decisione in una sola figura, era poi accentuata dalla presenza di un p.m., longa manus del potere esecutivo e, per questo, privato di qualsivoglia garanzia di indipendenza.

Il secondo capitolo è, invece, impegnato nel delineare il p.m. alla luce dell’attuale disciplina costituzionale e codicistica. Com’è noto, la Legge fondamentale esalta – a partire dalla sua entrata in vigore – l’indipendenza della magistratura inquirente attraverso una serie di previsioni ad essa dedicate. Tra queste spicca l’art. 112 Cost., «rara avis nel panorama delle Costituzioni moderne». Mentre un indice normativo di preziosa importanza è quello costituito dall’art. 358 c.p.p., a norma del quale «Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Da ciò deriva l’esistenza del dovere, per il titolare della domanda penale, di agire nella duplice direzione dell’accusatore e dell’accusato. Dovere che, se violato, può essere fonte di responsabilità disciplinare, mentre nessuna sanzione processuale viene prevista allorquando la disposizione venga disattesa. Ad ogni buon conto, tale norma viene utilizzata per valorizzare il ruolo di «parte imparziale» che il magistrato inquirente è chiamato a rivestire proprio nella fase investigativa.

Nel terzo capitolo viene attenzionato il controllo giurisdizionale del g.i.p. sul p.m. alla luce di due principi che caratterizzano la fase delle indagini preliminari: quello della tendenziale completezza e quello della loro ragionevole durata; entrambi corollari di un più generale principio di legalità investigativa. Il primo impone all’organo inquirente di sondare ogni pista investigativa, in un senso e nell’altro, cosicché la decisione (inazione vs azione) che egli è chiamato ad effettuare all’esito della fase sia effettivamente consapevole. Allo stesso modo, egli deve svolgere le investigazioni e assumere le conseguenti decisioni in un segmento procedimentale parametrato – quanto meno sulla carta – a dei termini ben precisi.
Così, il codice di rito ha predisposto dei meccanismi di controllo affidati a un giudice che, nel suo essere comprimario, è chiamato a valutare che quella completezza e quella temporalità, legalmente predeterminata, siano state rispettate. Se nell’un caso il g.i.p. dispone di poteri non poco incisivi (indagini coatte e imputazione coatta) – talché si è a lungo dibattuto in dottrina della loro compatibilità rispetto ad un sistema prevalentemente adversary – nell’altro caso il controllo demandato al giudice è stato, pressoché, mortificato da una giurisprudenza granitica nel riconoscere la supremazia del p.m., dominus dei tempi. Nell’originaria disciplina del codice del 1988 il timing delle indagini era reso evanescente dall’assenza di un controllo sull’iscrizione della notitia criminis, da un lato, e, dall’altro, da un meccanismo di proroga delle indagini (art. 406 c.p.p.) rimesso – de facto – all’esclusiva valutazione del controllato.

Il quarto capitolo si occupa, in definitiva, di illustrare le novità intervenute sul punto dalla cd. riforma Cartabia (d. lgs. n. 150/2022), la quale rappresenta la tanto augurata occasio legis perché il g.i.p. possa assumere un ruolo più decisivo in una fase altrimenti rimessa alla (smisurata) supremazia del p.m. Pertanto, il paragrafo in esordio all’ultimo capitolo effettua una ricognizione delle malpractices che, nel tempo, si sono verificate. Trattasi di “usanze” procedimentali che hanno visto il g.i.p. rivestire un ruolo “gregario”, perché incapace di svolgere la funzione di controllo sulle scelte e sulle impostazioni d’accusa di un p.m., sfuggente a quello stesso monitoraggio. Del resto, questo non stupisce: il legislatore, dal canto suo, non era mai riuscito a portare a compimento proposte di legge che irrobustissero il ruolo del g.i.p., mentre la giurisprudenza aveva, di contro, accresciuto il titanismo inquirente per mezzo di pronunce con le quali convalidava l’attività svolta ante inscriptionem, ovvero consentiva l’utilizzo di atti d’indagine compiuti a termine scaduto. Nella specie, l'opinabile tendenza mostrata dalla giurisprudenza ad affievolire il regime giuridico della sanzione dell'inutilizzabilità si scorge(va) nella eccentrica lettura offerta dell'art. 407, 3 comma c.p.p., in ordine agli atti compiuti oltre il termine – ordinario o prorogato – di durata delle indagini preliminari. Quantunque la norma contenga al proprio interno un'ipotesi tassativa di inutilizzabilità, la stessa veniva ignorata ex professo nella prassi applicativa.
Ecco che, in tale contesto, la riforma Cartabia apre delle finestre giurisdizionali, spalancate le quali ospitare l’intervento del g.i.p. in funzione di scrutinatore sui tempi e sulla completezza delle indagini. Per questa ragione, i paragrafi diversi dal primo sono volti a introdurre le novità concernenti il controllo del g.i.p. sulle attività del p.m.: da quelle intervenute in tema di notizia di reato, a quella invece dedicata all’introduzione della nuova (ma non inedita) regola di giudizio della «ragionevole previsione di condanna», passando dall'intervento del g.i.p. nelle ipotesi di stasi decisionale del magistrato inquirente.
La fase pre-processuale è ora percorsa da attività investigative che sono assoggettate ad un controllo, non più endogeno – perché affidato alle procure o comunque rimesso a conseguenze di natura disciplinare – ma attribuito ad un organo adesso dotato di non pochi poteri di intervento. Com’era stato rilevato in dottrina, temporibus illis, l’odio teologico nei confronti del giudice istruttore aveva condotto al conio di una figura di garante non solo «senza braccia», ma anche «senza occhi». Ebbene, dopo quasi trentacinque anni dall’entrata in vigore del codice di rito Vassalli, si affida al g.i.p. il compito di valutare la correttezza e la tempestività dell’iscrizione della notizia di reato, di svolgere un ruolo propulsivo nelle ipotesi di stallo procedimentale e, infine, di valutare diversamente l’istanza di inazione avanzata dal titolare della domanda penale.
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