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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03282018-193650


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
DUSE, NICCOLO'
URN
etd-03282018-193650
Titolo
Big Data, mercato e amministrazione pubblica
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Passalacqua, Michela
Parole chiave
  • antitrust
  • big data
  • concorrenza
  • mercato
  • pubblica amministrazione
Data inizio appello
30/04/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
La diffusione delle tecnologie legate ai big data, cioè alla raccolta massiva di dati ed informazioni provenienti dalle più disparate fonti, induce a guardare alle realtà che ci circondano e ai mercati secondo modalità, per così dire rivoluzionarie, poiché pretendono di semplificare le procedure di analisi e di valutazione di qualsiasi evenienza fenomenica, in contrapposizione con le vecchie metodologie scientifiche improntate al principio di causalità.
Questa tendenza fornisce una chiave di lettura che si basa su un semplice principio di aggregazione di dati per la definizione di trend economici, in grado di pilotare le strategie imprenditoriali delle aziende che si servano degli strumenti di ICT (Information and Communications Technology), ma non solo. L’intento di questo lavoro è quello di comprendere come i meccanismi legati allo sfruttamento dei big data possano essere impiegati dalle amministrazioni pubbliche per incrementare i livelli di efficienza nell’erogazione dei propri servizi e, sempre in quest’ottica, per perfezionare le strategie regolatorie.
Gli stessi big data, intesi quale prodotto ineluttabile del ricorso alle nuove tecnologie informatiche e all’eversione digitale dell’Internet of Things, pongono non poche problematiche su due piani estremamente delicati e che in più occasioni si cercherà di analizzare simultaneamente, quali fossero le facce della stessa medaglia. Così, si parte spesso dallo strumentario posto a tutela della privacy degli individui per fornire degli spunti utili all’implementazione del vocabolario antitrust, il quale, inevitabilmente, deve essere preso in considerazione per comprendere l’evolversi delle classiche derive economiche di scala, calate, tuttavia, nella modernità dei sistemi multilaterali digitali.
Sebbene di per sé l’utilizzo dei big data, per definizione, non sembri arrecare particolari insidie per la concorrenza, dal momento in cui i dati, accumulati in grandi volumi eterogenei, possano considerarsi dei beni fungibili pressoché illimitati, e, quindi, in grado di superare qualsiasi prova di sostituibilità, non pochi problemi possono scaturire in relazione al processo di estrazione di valore aggiunto da parte di chi detenga le strumentazioni tecniche, atte ad interrogare gli stessi. La comprensione dell’uso e, soprattutto, del riuso di mastodontiche quantità di dati per la creazione di conoscenza, utile a sfruttare un potere informativo in grado di affermare posizioni egemoniche nel mercato, diventa la chiave di volta per analizzare e combattere eventuali abusi da parte di operatori economici particolarmente aggressivi o che attuino attività di profilazione dei dati personali degli individui.
La realizzazione di un “sistema di scatole nere”, che tracci le attività ed i comportamenti dei consumatori o degli utenti che si servano di prodotti e servizi erogati sia da parte del settore privato sia di quello pubblico, si appresta a modellare criteri per la predizione delle scelte future che questi intendano compiere. La creazione, pertanto, di profili altamente dettagliati degli individui fa sì che l’offerta si modelli sulle preferenze espresse dagli stessi. Se da un lato ciò assicura l’ottimizzazione dal punto di vista dell’efficienza della produzione, andando incontro ai bisogni avvertiti e presagiti degli utenti, dall’altro testimonia anche degli inevitabili profili concernenti, talvolta, indebite interferenze nella tutela della riservatezza dei cittadini o, ancora, delle pratiche poche igieniche per il mantenimento della salubrità nel panorama competitivo del mercato. Molto spesso i due profili corrono di pari passo. Significa, cioè, che la creazione di pacchetti di dati inerenti gli aspetti più intimi della vita quotidiana di ciascuno – rischiando perennemente di scadere in una violazione della privacy, tanto da richiedere una continua evoluzione del contesto normativo comunitario e nazionale di riferimento – possano provocare lo scaturire di una serie di insidie latenti per la concorrenza: dallo svilimento dell’effetto del multi-homing delle piattaforme multiservizio, al perseguimento di pratiche di lock-in dei consumatori, da cui dipenda anche la perdita di potere contrattuale degli stessi, alla personalizzazione dei prezzi applicati.
Queste riflessioni si basano principalmente sul discernimento degli effetti collaterali di un impiego piuttosto spregiudicato delle tecnologie in grado di analizzare ed interrogare, in maniera del tutto innovativa rispetto al passato, enormi dataset in continua espansione. Un ragionamento più ampio potrebbe investire l’individuazione di un mercato rilevante dei big data, nel momento in cui questi vengano considerati quali input (o, quanto meno, parti di input) di mercato. Ne consegue che, a voler adottare questa visione – non unanimemente condivisa, a dire il vero – al pari di quanto venga fatto per qualsiasi altro fattore in un sistema economico di scambio, si possano operare le classiche considerazioni sull’acquisizione di vantaggi provenienti dall’implementazione di economie di scala, scopo e velocità, tenuto conto delle specifiche caratteristiche dei big data.
Ma anche a voler escludere una siffatta ricostruzione, parte della dottrina, come verrà evidenziato nel corso della trattazione, non è andata esente dal tracciare un ciclo dinamico di impiego e di estrazione di valore aggiunto dai big data. In questo si distinguono una serie di momenti e di intermediari economici in grado di suggere valore monetario dall’accesso e dall’analisi di banche dati interconnesse. Riconoscendo, dunque, l’attribuzione di un profitto legato al possesso di questo particolare vantaggio informativo, si crea, di conseguenza, una curva di domanda dei big data, che rinviene negli stessi, secondo determinate ricostruzioni (malviste dalla giurisprudenza europea e d’oltreoceano), particolari forme di barriere all’accesso al mercato.
Reale punto cardine nella filiera dello sfruttamento dei big data e dei risultati di analisi inferenziale, ad essi riferiti, risiede nell’erogazione di apposite licenze che ne consentano l’impiego per usi secondari e pressoché infiniti che si aggiungono a quello iniziale per il quale gli stessi erano stati raccolti. Ciò consente che i metadati e le informazioni possano – in spregio, talvolta, alle garanzie assicurate dalle formule di consenso informato – divenire oggetto di mercificazione.
Se, dunque, la “datificazione” del conosciuto e del conoscibile risulti essere la tendenza verso la quale si sta indirizzando il progresso sia tecnologico sia economico, non si può andare esenti dall’interrogarsi su quale debba considerarsi, invece, lo sviluppo dell’azione amministrativa in questo quadro evolutivo.
Il ricorso all’IT rappresenta il nucleo fondamentale delle strategie, europea e nazionale, di digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche. La creazione di un sistema di e-government rappresenta il primo passo verso una società improntata ai principi di inclusione digitale dei cittadini e di accesso elettronico ai servizi pubblici. Veicolo, questo, utile al perseguimento di tali obiettivi e che consiste nell’implementazione dell’interconnessione tra i sistemi informatici dei database pubblici attraverso il cloud computing.
Tale processo contribuisce ad accrescere il volume dei dati in possesso del settore pubblico, da considerarsi già di per sé, anche al netto dell’impiego delle nuove tecnologie, il principale produttore di dati nel panorama nazionale.
L’immenso patrimonio informativo pubblico, destinato costantemente ad espandersi in virtù della traduzione nella pratica delle strategie di crescita digitale, è sottoposto, tuttavia, a specifiche previsioni di trasparenza, che, nel loro complesso, compongono il più vasto quadro della disclosure regulation.
L’intento che si intende perseguire nelle pagine seguenti è anche quello di comprendere come l’ottemperanza agli obblighi informativi da parte delle amministrazioni pubbliche partecipi alla trasformazione o, meglio, all’integrazione dell’e-government in un regime di Open Government. Ciò significa che i dati di provenienza pubblica debbano considerarsi “open” e, quindi, liberamente accessibili da parte di chiunque senza alcuna discriminazione. L’ubiquità della disclosure regulation trascende, inevitabilmente, gli scopi per i quali essa era stata realizzata e investe, con i flussi informativi che ne scaturiscono, il mercato. Da una rilevanza meramente interna di controllo sull’operato della pubblica amministrazione si passa a dover analizzare – in una prospettiva, invece, “esterna” - l’impatto che gli scambi di informazioni abbiano nelle dinamiche concorrenziali tra gli operatori economici.
Comprendere come la regolazione in materia di trasparenza travalichi i confini propri dell’azione amministrativa fornisce lo spunto, anche, per riflettere sugli aspetti che ne determinano la fallacia.
Fintanto che i dati e le informazioni di provenienza pubblica, resi ostensibili e riutilizzabili per fini commerciali nel mercato, risultino essere semplicemente oggetto di regolazione, non si possono apprezzare i vantaggi che potrebbero scaturire dalla manipolazione degli stessi. I risultati dell’analisi inferenziale, ottenibili grazie al ricorso ai dispositivi di big data analytics, possono fungere da propulsore per il rinnovamento, almeno in termini di principio, dell’intervento regolatorio, permettendo, così, un’azione più rapida, efficiente e mirata.
I big data, diventano, ovvero, strumento di regolazione.
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