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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03262024-103537


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
BERTONELLI, ELENA
URN
etd-03262024-103537
Titolo
Il salario minimo legale: un'opportunità per una retribuzione proporzionata e sufficiente
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Galardi, Raffaele
Parole chiave
  • azione sindacale
  • contrattazione collettiva
  • dir. n. 2022/2041
  • quadro comparato
  • salario minimo legale
Data inizio appello
15/04/2024
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il presente elaborato muove dalla presa di coscienza del dilagare del fenomeno della “povertà nonostante il lavoro” e della crescita delle disuguaglianze retributive, interrogandosi sull’opportunità dell’introduzione di un salario minimo legale nell’ordinamento domestico. All’indomani dell’emanazione della Direttiva Salari n. 2022/2041, di cui si chiede il recepimento entro Novembre 2024, il dibattito sul salario minimo è ritornato in auge nella dottrina giuslavorista, conscia dell’urgenza di affrontare il bisogno di salari adeguati come strumento per migliorare le condizioni di vita e di lavoro nei Paesi dell’Unione Europea. Il panorama sul quale la Direttiva Salari si affaccia è ampiamente diversificato e frastagliato nel tessuto economico e sociale: dei ventisette Stati membri, solo sei Paesi (Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria, Italia e Cipro) confermano, attualmente, il rifiuto per un salario minimo legale che governi la materia salariale. Inoltre, gli Stati membri hanno tassi di crescita non uniformi e anche gli interventi che sostengono la disoccupazione involontaria sono talvolta più penetranti e talvolta assenti, a seconda del paese di riferimento. Tuttavia, nell’ottica di una possibile introduzione del salario minimo nel nostro ordinamento, analizzare le esperienze di Stati quantomeno a noi vicini, potrebbe essere d’aiuto per studiare e per prevenire eventuali esiti negativi, e, al contempo, per sfruttare gli esiti positivi derivanti dal trapianto di un istituto di regolazione eteronoma della materia salariale. Più precisamente, il quadro comparato europeo ci offre una possibile e necessaria integrazione tra fonte autonoma e fonte eteronoma. Avendo come premessa la Direttiva Salari, che invoca il principio di adeguatezza nella questione salariale, è opportuno, ad oggi, pensare ad un’azione coordinata e sincronizzata da parte del legislatore e della contrattazione collettiva, volta ad ottenere una retribuzione tanto adeguata quanto equa. L’ordinamento domestico odierno vanta non solo l’assenza di una contrattazione collettiva con efficacia erga omnes, ma anche il rifiuto di una legislazione sui minimi salariali. In un quadro così delineato, la giurisprudenza ha svolto l’azione di supplenza atta a garantire ai lavoratori una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., avendo come parametro le tabelle salariali previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro, risultando la natura di quest’ultimo maggiormente confacente alle dinamiche del mercato del lavoro, e con l’aiuto di opportune precisazioni atte a non valicare il confine imposto dalla valenza negativa dell’art. 39 Cost. Nonostante la presunzione di adeguatezza della contrattazione collettiva nel garantire un adeguato trattamento salariale, l’attività suppletoria della giurisprudenza si è dovuta scontrare, in diverse recenti pronunce di merito, con la difficoltà della contrattazione collettiva a risultare idonea a garantire un trattamento retributivo corrispondente ai principi della sufficienza e della proporzionalità, avendo a riferimento gli indicatori economici e statistici utilizzati per misurare la soglia di povertà, il salario medio e il salario mediano – in linea con quanto previsto dalla Direttiva Salari. Se è vero che la contrattazione collettiva, ad oggi, sembra non godere di ottima salute, anche a causa del diffondersi dei cd. contratti pirata e, pertanto, del crescente manifestarsi del dumping salariale, sarebbe opportuno interrogarsi sull’opportunità di un salario minimo legale anche nel nostro ordinamento. Il presente elaborato si premura di vagliare i vari timori legati ad una legislazione sui minimi, frutto di una diffidenza remota che invoca la pietra miliare della contrattazione collettiva ad unica autorità salariale. In particolare, analizzando gli studi empirici che l’esperienza comparata ci offre, l’elaborato indaga le argomentazioni che si stagliano contro l’introduzione di un salario minimo legale, quali il timore del pregiudizio che quest’ultimo potrebbe arrecare alla forza imperativa dell’azione sindacale; il pericolo di fuga dalla contrattazione collettiva; la difficoltà per le piccole imprese del tessuto economico italiano nel sostenere il salario minimo; l’impoverimento dei lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva. In luogo di un’opinione, erroneamente formulata, che vede la contrattazione collettiva in perdurante antitesi rispetto al salario minimo, dovremmo visualizzare una più proficua e possibile convivenza tra salario minimo e contrattazione collettiva: questi, in realtà, costituiscono un binomio capace di rafforzarsi a vicenda, attraverso la fissazione di parametri oggettivi che abbiano il condiviso scopo di tutelare ogni singolo lavoratore, nessuno escluso. L’azione sindacale e la garanzia prestata dal legislatore attraverso una legislazione sui minimi salariali corrono su due binari paralleli: senza che l’uno possa invadere lo spazio e l’autonomia dell’altro, entrambi volgono la propria destinazione verso una meta comune, quale una retribuzione proporzionata e sufficiente, ai sensi dell’art. 36 Cost.
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