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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03262020-183249


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
MINGOLLA, ANGELO RAFFAELE
URN
etd-03262020-183249
Titolo
Codice della crisi d'impresa e direttive europee: un'occasione mancata.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Cecchella, Claudio
Parole chiave
  • allerta
  • armonizzazione
  • concordato preventivo
  • crisi d'impresa
  • rescue culture
Data inizio appello
16/04/2020
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
Il presente contributo mira ad analizzare il grado di compatibilità del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (di cui al d. lgs. 14/2019) con la recente Direttiva (Ue) 2019/1023, che ha momentaneamente coronato il tentativo di armonizzazione inaugurato con la Raccomandazione 135/2014 ed il Regolamento 848/2015.
Il rinnovato interesse rivolto dalle istituzioni euro-unitarie alla materia che qui si esamina è stato innescato, secondo autorevoli interpreti, dalla recessione provocata dalla crisi finanziaria del 2007-08. La Commissione ed i co-legislatori hanno così fatto la loro apparizione su un campo già calcato dal nostro legislatore, che aveva da poco avviato un articolato processo di rimeditazione della legge fallimentare, risalente all'epoca fascista (R.D. 267/1942), che pur essendo dotata di coerenza sistematica era stata edificata su un complesso di valori divenuti progressivamente obsoleti nella cornice economica contemporanea.
La Direttiva incoraggia la predisposizione di strumenti di rilevazione tempestiva delle manifestazioni indiziarie della crisi, funzionali a coltivare strategie di ristrutturazione delle imprese che consentano di preservare il know-how e salvaguardare consistenti soglie occupazionali, ma non impone il risanamento delle imprese ad ogni costo. Nel testo, infatti, è suggerita l'immediata liquidazione dei complessi aziendali la cui permanenza nel mercato risulterebbe anti-economica, accompagnata dalla semplificazione dei requisiti d'accesso all'esdebitazione al fine di garantire l'immediato reinserimento nel circuito economico dell'imprenditore reduce da una sfortunata esperienza pregressa (cd. fresh start). Ragionando diversamente, si incrementerebbe ulteriormente la massa passiva, deprimendo le già precarie quote di soddisfacimento dei creditori. Da questo schema lineare si trae, dunque, un'implicazione centrale nel discorso che si sta svolgendo: benché circondato da altri valori, tradizionalmente estranei al perimetro delle procedure concorsuali, l'interesse creditorio resta la ''stella polare'', respingendo per il momento i dubbi che era stati fondatamente avanzati da attenti commentatori.
Il Codice, geneticamente vincolato ai più recenti approdi europei, fornisce una risposta ingannevole. Scorrendo superficialmente le norme, si potrebbe ricavare l'impressione di un perfetto allineamento, testimoniato da esempi apparentemente inoppugnabili: tra questi, la nuova definizione dello stato di crisi, l'introduzione delle procedure di allerta e composizione assistita, la valorizzazione della continuità aziendale, la definitiva soppressione delle ultime tracce di intenti afflittivi nelle procedure di liquidazione giudiziale, l'agevolazione dell'accesso all'esdebitazione.
L'importazione della cd. ''rescue culture'' sembra poi ulteriormente risaltare da alcune modifiche apportate alla disciplina del Libro V del Codice civile, che a differenza del Codice della crisi, sottoposto ad una vacatio di 18 mesi, sono entrate immediatamente in vigore. La nuova disciplina imporrà l'istituzione di assetti organizzativi, calibrati secondo il principio di adeguatezza sulla natura e le dimensioni dell'impresa, che consentano di rilevare con tempestività gli indicatori della crisi (art. 2086, 2° c., c.c.), riconducendo alla fisiologia dell'attività d'impresa la predisposizione di un apparato interno idoneo ad intercettare con prontezza gli andamenti degenerativi. Questa norma, ritagliata sul modello societario, nel quale si registra l'estensione del principio di esclusività della competenza gestoria degli amministratori (art. 2380-bis, 1° c., c.c.) anche ai tipi societari diversi dalla s.p.a. (art. 2257, 1° c, c.c.; art. 2475, 1° c, c.c.), vale anche per l'imprenditore individuale (art. 3, 1° c., del Codice della crisi).
Come si proverà a dimostrare con maggiore accuratezza nella trattazione, quello appena tratteggiato è un velo di Maya, che occulta una catena altrettanto lunga di mutamenti normativi che potrebbero determinare la scarsa appetibilità di alcuni strumenti di prevenzione della crisi e dell'insolvenza, con il conseguente serio rischio di un incremento del reflusso sulla liquidazione giudiziale di imprese recuperabili. Tra questi, in primo luogo, la maggiore selettività del concordato liquidatorio, modello largamente predominante in fase applicativa, reso meno appetibile dalla previsione di un apporto di risorse esterne che lo rendano più satisfattivo dell'alternativa liquidatoria nella misura del 10% (art. 84, 4° c., del Codice) e l'accoglimento della teoria della prevalenza quantitativa del ricavato nel concordato misto. Sempre in quest'ottica, alcune criticità ravvisabili nei meccanismi di segnalazione dell'allerta e nello sviluppo delle trattative con i creditori durante la fase di composizione assistita, vocata ad una segretezza del tutto estranea all'archetipo della Direttiva, esprimono una sensibile differenza di passo nel percorso di avvicinamento. Infine, la considerazione bifronte dell'autorità giudiziaria, incaricata della valutazione di fattibilità economica nel concordato, seccamente negata in precedenza da Cass. civ., Sez. Un., 1521/2013, ma estranea alla composizione assistita, disorienta gli interpreti, imponendo uno sforzo ricostruttivo non indifferente per ricondurre a coerenza l'itinerario scandito dal legislatore.
Concludendo, la combinazione di queste soluzioni potrebbe provocare lo spiacevole esito di incrementare l'incertezza dei mercati, ritenuta dalla Direttiva uno dei maggiori ostacoli alla scelta di investire, e, conseguentemente, comprimere le potenzialità espansive del mercato interno, obiettivo cardine dell'Unione che ha alimentato la spinta armonizzatrice da ultimo confluita nella Direttiva.
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