Tesi etd-03252020-194737 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
BELCARO, FEDERICA
URN
etd-03252020-194737
Titolo
Il riconoscimento della Kafala islamica e la protezione internazionale dei minori
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Marinai, Simone
Parole chiave
- adozione internazionale
- adozioni miti
- best interest of the child
- cedu
- convenzioni internazionali
- corte di giustizia
- giurisprudenza
- kafala
- kafil
- makfoul
- oper adoption
- ordine pubblico
- ricongiungimento familiare
- riconoscimento
- unione europea
Data inizio appello
16/04/2020
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
16/04/2090
Riassunto
La tesi in oggetto si propone come obiettivo quello di focalizzare l'attenzione sulla kafala islamica, attualmente unica forma di protezione del minore abbandonato nei paesi islamici. Si tratta di un istituto che coniuga la necessità di fornire una tutela al minore in stato di abbandono con il divieto di adozione previsto dal Corano, prevedendo una forma di tutela che consenta a un kafil, inteso come un soggetto maggiorenne tendenzialmente di religione musulmana, di farsi carico, attraverso un accordo giudiziale o notarile, di un makfoul (un minore abbandonato), di educarlo, mantenerlo ed istruirlo fino alla maggiore età, come se fosse un proprio figlio, sebbene questi non ne acquisisca il cognome e i diritti ereditari. Pertanto, dopo un'accurata premessa relativa all'evoluzione normativa della protezione internazionale dei minori e della rilevanza del principio del best interest of the Child, come punto cardine della disciplina e come "controlimite" all'ordine pubblico, si passano in rassegna tutte le pronunce giurisprudenziali intervenute in materia di kafala, sia in ambito nazionale che europeo, fino ad arrivare alla recente pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. L'analisi della disciplina fa, infatti, emergere le difficoltà applicative che si pongono spesso davanti ai singoli Stati, a causa anche dei costanti flussi migratori, con riferimento sia al riconoscimento dell'istituto in contesti diversi da quelli di origine che al ricongiungimento familiare dei minori sub kafala al cittadino di Stato terzo ovvero al cittadino italiano. I timori di aggiramento della disciplina nazionale in materia di adozione internazionale, così come emergente dalla legge n. 184/1983 e dalle successive modificazioni, e di quella in materia di immigrazione, come emergente dal coordinamento tra fonti europee e interne, prime fra tutte il TU immigrazione ovvero il d.lgs. 286/1998 e la direttiva 2003/86/CE, non giustificano una considerazione dell'istituto solo nell'ottica di una sua esclusione sulla base dell'ordine pubblico internazionale. La strada seguita nel riconoscimento della kafala all'interno dell'ordinamento italiano è andata spesso nella direzione di assimilare l'istituto a quelli già noti nel mondo latu sensu occidentale, con la possibilità di inquadrarla, di volta in volta, nell'adozione non legittimante o in casi particolari, nell'affidamento, ovvero di trovare quantomeno dei punti di contatto tra gli stessi, con riferimento agli effetti o ai presupposti. Tuttavia, l'ottica nella quale la kafala può essere letta, ai sensi delle Convenzioni internazionali che espressamente la riconoscono, è quella di un istituto che in realtà è collocabile a metà strada tra gli altri strumenti di protezione del minore già noti. Rilevanti appaiono anche le pronunce in materia della Corte Europea dei diritti dell'uomo in due casi, il caso Harroudj c. Francia e il caso Chibhi Loudoudi c. Belgio, in cui emergono chiaramente le difficoltà di inquadramento dell'istituto negli ordinamenti giuridici occidentali, alla luce di un complesso bilanciamento tra i diversi interessi in gioco e la ricerca di un equilibrio tra gli stessi. Emblematica delle difficoltà derivanti dall'assenza di una normativa che regolamenti in maniera chiara l'istituto, risulta essere anche la problematica relativa al ricongiungimento del minore sub kafala. A tal proposito la giurisprudenza italiana ha seguito orientamenti talvolta discordanti riguardo la possibilità di concedere il visto di ingresso, con soluzioni inizialmente diverse in base alla nazionalità dei familiari richiedenti e il consequenziale rischio di far prevalere interessi diversi rispetto al superiore interesse del minore. Rilevante in tal senso è stata dapprima una decisione della Corte di Cassazione a Sezione Unite, e successivamente la pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che, a seguito di un rinvio pregiudiziale effettuato dalla Supreme Court del Regno Unito, si è espressa per la prima volta sulla possibilità del ricongiungimento familiare di una minore affidata in kafala a cittadini europei e sull'interpretazione di "familiare" come risultante dalla direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini e dei loro familiari di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri.
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