Tesi etd-03242023-182417 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DEL PRETE, GIANLUCA
URN
etd-03242023-182417
Titolo
Figure dell’io e rapporto con la lingua nella poesia di Giovanni Giudici
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
ITALIANISTICA
Relatori
relatore Prof. Casadei, Alberto
Parole chiave
- Autobiologia
- Giovanni Giudici
- La Vita In Versi
- Poesia Italiana
Data inizio appello
13/04/2023
Consultabilità
Completa
Riassunto
Riassunto
A partire dal contesto storico della vita e delle opere del poeta Giovanni Giudici si segue lo sviluppo della sua prima grande opera, La vita in versi, un classico del Novecento di un autore che per l'originalissima visione del mondo e per il mosaico di personaggi da lui creati, merita sicuramente di essere studiato e riscoperto molto di più rispetto a quanto non accaduto sino ad oggi. Giudici andrebbe posto in un'ottica canonizzante, ritenendolo come uno dei grandi intellettuali del secondo Novecento. Sulla scia della dissoluzione novecentesca dell'io lirico in poesia, alla luce della pluralità di voci e della molteplicità degli strati di una poesia talmente scenografica da essere definibile come teatrale e metalinguistica, si colloca l'invenzione di Giudici che ha creato una fitta schiera di pantomime e di figure costruite sul protagonista dell'uomo medio, dell'impiegato vittima delle "impiegatizie frustrazioni" che si scherma dietro le vesti dell'autore.
Il nesso tra biografia e poesia è la costante dell'opera di Giudici, specialmente nelle prime due raccolte intitolate La vita in versi (1965) e Autobiologia (1969). Il protagonista delle poesie di Giudici è un antieroe, un inetto che non agisce in alcun modo per uscire dalla propria condizione psicologica statica che si ripete dentro di lui ciclicamente. Allo stesso tempo è un personaggio malleabile, che può coincidere con l’autore o a tratti distanziarsene. Il lettore riceve un’opera multiforme che gli mette davanti, ad ogni testo, la domanda su chi sia che pronunci determinate parole. Secondo Andrea Zanzotto Giudici fornisce con la sua gamma di variazioni sul tema “dell’uomo impiegatizio” un vasto repertorio poetico di controfigure e di doppi che parlano e agiscono sulla scena. Siamo posti di fronte all'«identikit di un quasi tutti». Esistono ne La vita in versi anche personaggi secondari come quelli del contesto familiare e del gruppo di colleghi del protagonista, ma essi rimangono puri interlocutori che si stagliano sullo sfondo del racconto. Pur trattandosi di opere in versi Giudici è un autore che tende a narrare secondo modalità che lo accostano alla prosa, al racconto in versi o ai racconti brevi, di cui è stato anche autore.
Nel corso della sua vita Giudici ha conosciuto Umberto Saba, che è stato il suo primo maestro e il primo grande scrittore a incoraggiarlo quando era un giovane poeta agli esordi. Inoltre Giudici ha stretto lunghe amicizie con Vittorio Sereni, Andrea Zanzotto, Giorgio Caproni e Franco Fortini, compagno di scrivania e collega negli anni dell’impiego alla Olivetti, prima a Ivrea e poi a Milano. Fondamentali sono state per Giudici poi le esperienze di militanza politica, del giornalismo durato cinquant’anni e della critica letteraria a partire dal caso della rivista “Quaderni piacentini” dove era nata negli anni Sessanta un’altra lunga amicizia ,tra le altre, con la scrittrice Grazia Cherchi.
Secondo la metodologia di un'analisi metrica, stilistica e tematica di approccio ai componimenti, si fornisce una visione d'insieme dei concetti chiave dell'autore come il "civico decoro", le "imposture", "il senso di colpa" e l'idea di servire "una doppia chiesa"; dopodiché si segue la difesa di Giudici del valore etico della poesia contro le accuse di inutilità.
La realtà e la finzione della poesia si intrecciano senza distinzioni nette, sino alle estreme conseguenze dell'autore che in Autobiologia, in Andare in Cina a Piedi, negli scritti saggistici indaga la lingua come se fosse un corpo vivente, a sé stante, e viceversa viviseziona metaforicamente il proprio corpo di uomo per indagare ogni possibile istanza di Verità.
L’io è continuamente schermato, riprodotto in evanescenti rifrazioni che non trovano destinatari, isolato nell’atomizzazione degli individui ridotti a esseri umani svuotati del senso della storia, privi di valori identitari di ormai scomparse comunità, un uomo qualunque completamente assorbito nel ritmo frenetico di produzione-lavoro e di un tempo libero soltanto inteso al consumo delle merci e delle persone.
Giudici ha avuto l’audacia di porre in poesia l’impoetico, di creare tramite un abbassamento dei toni lirici, anti-lirici, un’elegia rovesciata che mette in scena la vita qualunque di un uomo qualunque, inquadrato da vicino negli elementi più triviali e disforici della routine, delle abitudini e dei vizi atavici del quotidiano. Giovanni Giudici poeta della Vita in versi.
A partire dal contesto storico della vita e delle opere del poeta Giovanni Giudici si segue lo sviluppo della sua prima grande opera, La vita in versi, un classico del Novecento di un autore che per l'originalissima visione del mondo e per il mosaico di personaggi da lui creati, merita sicuramente di essere studiato e riscoperto molto di più rispetto a quanto non accaduto sino ad oggi. Giudici andrebbe posto in un'ottica canonizzante, ritenendolo come uno dei grandi intellettuali del secondo Novecento. Sulla scia della dissoluzione novecentesca dell'io lirico in poesia, alla luce della pluralità di voci e della molteplicità degli strati di una poesia talmente scenografica da essere definibile come teatrale e metalinguistica, si colloca l'invenzione di Giudici che ha creato una fitta schiera di pantomime e di figure costruite sul protagonista dell'uomo medio, dell'impiegato vittima delle "impiegatizie frustrazioni" che si scherma dietro le vesti dell'autore.
Il nesso tra biografia e poesia è la costante dell'opera di Giudici, specialmente nelle prime due raccolte intitolate La vita in versi (1965) e Autobiologia (1969). Il protagonista delle poesie di Giudici è un antieroe, un inetto che non agisce in alcun modo per uscire dalla propria condizione psicologica statica che si ripete dentro di lui ciclicamente. Allo stesso tempo è un personaggio malleabile, che può coincidere con l’autore o a tratti distanziarsene. Il lettore riceve un’opera multiforme che gli mette davanti, ad ogni testo, la domanda su chi sia che pronunci determinate parole. Secondo Andrea Zanzotto Giudici fornisce con la sua gamma di variazioni sul tema “dell’uomo impiegatizio” un vasto repertorio poetico di controfigure e di doppi che parlano e agiscono sulla scena. Siamo posti di fronte all'«identikit di un quasi tutti». Esistono ne La vita in versi anche personaggi secondari come quelli del contesto familiare e del gruppo di colleghi del protagonista, ma essi rimangono puri interlocutori che si stagliano sullo sfondo del racconto. Pur trattandosi di opere in versi Giudici è un autore che tende a narrare secondo modalità che lo accostano alla prosa, al racconto in versi o ai racconti brevi, di cui è stato anche autore.
Nel corso della sua vita Giudici ha conosciuto Umberto Saba, che è stato il suo primo maestro e il primo grande scrittore a incoraggiarlo quando era un giovane poeta agli esordi. Inoltre Giudici ha stretto lunghe amicizie con Vittorio Sereni, Andrea Zanzotto, Giorgio Caproni e Franco Fortini, compagno di scrivania e collega negli anni dell’impiego alla Olivetti, prima a Ivrea e poi a Milano. Fondamentali sono state per Giudici poi le esperienze di militanza politica, del giornalismo durato cinquant’anni e della critica letteraria a partire dal caso della rivista “Quaderni piacentini” dove era nata negli anni Sessanta un’altra lunga amicizia ,tra le altre, con la scrittrice Grazia Cherchi.
Secondo la metodologia di un'analisi metrica, stilistica e tematica di approccio ai componimenti, si fornisce una visione d'insieme dei concetti chiave dell'autore come il "civico decoro", le "imposture", "il senso di colpa" e l'idea di servire "una doppia chiesa"; dopodiché si segue la difesa di Giudici del valore etico della poesia contro le accuse di inutilità.
La realtà e la finzione della poesia si intrecciano senza distinzioni nette, sino alle estreme conseguenze dell'autore che in Autobiologia, in Andare in Cina a Piedi, negli scritti saggistici indaga la lingua come se fosse un corpo vivente, a sé stante, e viceversa viviseziona metaforicamente il proprio corpo di uomo per indagare ogni possibile istanza di Verità.
L’io è continuamente schermato, riprodotto in evanescenti rifrazioni che non trovano destinatari, isolato nell’atomizzazione degli individui ridotti a esseri umani svuotati del senso della storia, privi di valori identitari di ormai scomparse comunità, un uomo qualunque completamente assorbito nel ritmo frenetico di produzione-lavoro e di un tempo libero soltanto inteso al consumo delle merci e delle persone.
Giudici ha avuto l’audacia di porre in poesia l’impoetico, di creare tramite un abbassamento dei toni lirici, anti-lirici, un’elegia rovesciata che mette in scena la vita qualunque di un uomo qualunque, inquadrato da vicino negli elementi più triviali e disforici della routine, delle abitudini e dei vizi atavici del quotidiano. Giovanni Giudici poeta della Vita in versi.
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