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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03222023-214613


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
BROCHADO NETO, DJALMA ALVAREZ
URN
etd-03222023-214613
Titolo
MASSIVE DAMAGE TO THE ENVIRONMENT: THE CONSTRUCTION OF ECOCIDE IN THE INTERNATIONAL CRIMINAL SYSTEM
Settore scientifico disciplinare
IUS/13
Corso di studi
SCIENZE GIURIDICHE
Relatori
tutor Dott. Pasquali, Leonardo
tutor Dott. Machado Cabral, Gustavo César
Parole chiave
  • Ecocide
  • ecocidio
  • International Criminal Court
  • international criminal system
  • massive damage to the environment
Data inizio appello
29/03/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
29/03/2026
Riassunto
Questo lavoro indaga l'evoluzione dell'idea di ecocidio - come crimine estremo contro l'ambiente - in parallelo con lo sviluppo del diritto penale internazionale, al fine di valutare se il crimine, precedentemente relegato all'ambito accademico tra gli anni '70 e '90, trovi oggi una struttura tecnica e una rilevanza pratica tali da essere incluso nella Corte penale internazionale, uno dei principali riferimenti del sistema penale internazionale. In questo contesto, abbiamo cercato di contribuire alle questioni aperte che circondano l'iniziativa dell'"ecocidio" come crimine internazionale, partendo dalla ripercussione data ai principali disastri ambientali degli ultimi anni, dalle leggi e dai disegni di legge esistenti sull'ecocidio nel mondo e dall'analisi della CPI come Corte appropriata per perseguire il crimine. L'approccio, pur raccogliendo elementi di diritto interno (quando si discutono i casi e la responsabilità penale), è internazionale, concentrandosi sui meccanismi e le istituzioni esistenti del diritto penale internazionale e di quelli correlati. Il lavoro, attraverso il metodo induttivo, utilizza ricerche documentarie e bibliografiche, norme e procedure nazionali e internazionali. L'ecocidio è emerso come attacco sistematico all'ambiente durante la guerra del Vietnam. Ma, come si è visto nei decenni successivi, l'uso di erbicidi non è stato l'unico mezzo per provocare ingenti danni ambientali, come nel caso delle esplorazioni petrolifere nel Delta del Niger e nelle sabbie bituminose dell'Alberta, dell'inquinamento chimico di Bhopal e del crollo delle dighe di contenimento degli sterili a Brumadinho e Mariana, tutti commessi tra la negligenza, con assunzione di rischio, e il dolo diretto. In comune, si è percepita una risposta giuridica diffusa, con difficoltà nel determinare le responsabilità individuali e collettive, nazionali e internazionali, anche sul tema del cambiamento climatico. È stato quindi necessario analizzare l'ecocidio come crimine in sé e il suo sviluppo concettuale e pratico, dalla bozza del Codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità, elaborato dalla Commissione di diritto internazionale, alle definizioni penali consolidate in Paesi come la Colombia e la Francia, nonché a disegni di legge, come Cile e Brasile. Lo sviluppo della nozione di ecocidio è stato evidente, partendo da un vago crimine esclusivo delle situazioni di guerra negli anni '70, evolvendosi come strumento, fino ad allora inesistente, contro la pratica di danni massicci all'ambiente. Il livello di dettaglio raggiunto oggi ci permette di intendere l'ecocidio come un crimine valido al pari di altri crimini internazionali, come il genocidio o i crimini contro l'umanità. Infine, in relazione agli ostacoli all'iniziativa "ecocidio" presso la Corte penale internazionale, sono state esaminate le critiche esistenti in merito alle prestazioni della Corte, la ricerca di legittimità, tra i sistemi giuridici di common law e di civil law, e l'analisi degli elementi volitivi (mens rea), della sovranità, della giurisdizione universale e dell'ecocidio come norma di jus cogens. La conclusione è che l'ecocidio è un crimine fattibile, con una maturità tecnica e un'ampiezza di discorso in vari forum sufficienti a considerarlo una condotta relativamente ben definita. Si è anche constatato che la Corte penale internazionale è il luogo più appropriato per accogliere il nuovo crimine nella pratica, simboleggiando un limite legale e universale alla distruzione massiccia dell'ambiente.

This work investigates the evolution of the idea of ecocide - as the ultimate crime against the environment - in parallel with the development of international criminal law, in order to assess whether the crime, previously relegated to the academic field between the 1970s and 1990s, finds today a technical structure and practical relevance to be included in the International Criminal Court, a major reference of the international criminal system. In this context, we sought to contribute to the open questions surrounding the 'ecocide' initiative as an international crime, starting with the repercussion given to major environmental disasters in recent years, the existing laws and bills on ecocide in the world, and the analysis of the ICC as the appropriate Court to prosecute the crime. The approach, despite gathering elements of domestic law (when discussing cases and criminal liability), is international, focusing on the existing mechanisms and institutions of international criminal law and related ones. The research, through the inductive method, uses documentary and bibliographic research, national and international rules and procedures. Ecocide emerged as a systematic attack on the environment during the Vietnam War. But, as we saw in the following decades, the use of herbicides was not the only means of causing massive environmental damage, as in the case of oil exploration in the Niger Delta and Alberta tar sands, the chemical pollution of Bhopal, and the collapse of tailings dams in Brumadinho and Mariana, all of which were committed between negligence, with assumption of risk, and direct intent. In common, a diffuse legal response was perceived, with difficulties in determining individual and collective, national and international responsibilities, including on the issue of climate change. It was then necessary to analyze ecocide as a crime itself and its conceptual and practical development, from the draft of the Code of Crimes against the Peace and Security of Mankind, developed by the International Law Commission, to the criminal definitions consolidated in countries like Colombia and France, as well as a bills, such as Chile and Brazil. The development of the notion of ecocide was clear, starting from a vague crime exclusive to war situations in the 1970s, evolving as a tool, nonexistent until then, against the practice of massive damage to the environment. The level of detail reached today allows us to understand ecocide as a viable crime on par with other international crimes, such as genocide or crimes against humanity. Finally, in relation to the obstacles to the 'ecocide' initiative at the ICC, the existing criticisms regarding the Court's performance, the search for legitimacy, between the common law and civil law legal systems, and the analysis of the volitive elements (mens rea), sovereignty, universal jurisdiction, and ecocide as a jus cogens norm were pondered. The conclusion is that ecocide is a viable crime, with sufficient technical maturity and breadth of discourse in various forums to consider it a relatively well-defined conduct. It has also been found that the ICC is the most appropriate place to accommodate the new crime in practice, symbolizing a legal and universal limit to the massive destruction of the environment.
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