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Tesi etd-03192014-183054


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
GHELARDINI, LUCA
URN
etd-03192014-183054
Titolo
La rappresentanza sindacale dei lavoratori in azienda: l'art. 19 st. lav. alla luce della giurisprudenza costituzionale.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Mazzotta, Oronzo
controrelatore Prof. Albi, Pasqualino
Parole chiave
  • Testo Unico del 10 gennaio 2014
  • sentenza 231/2013
  • Corte costituzionale
  • contrattazione collettiva
  • Accordo Interconfederale
  • sindacale
  • statuto dei lavoratori
  • Titolo III
  • art. 19
  • rappresentatività
  • rappresentanza
Data inizio appello
07/04/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Introduzione



Oggetto di studio di questo lavoro è il tema della rappresentanza sindacale dei lavoratori in azienda.
Il centro gravitazionale attorno a cui ruota tutta l’analisi che segue è costituito dall’art. 19 della l. 300/1970, nota come “statuto dei lavoratori”, che rappresenta ad oggi l’unico riferimento normativo in materia (quantomeno nel settore privato): si tratta di un argomento di ampio respiro, che ben può essere considerato l’anima del diritto sindacale.
Ripercorrendo le varie fasi evolutive della rappresentanza all’interno della realtà aziendale, convergeremo poi la nostra attenzione sulle innate problematiche strutturali dell’art. 19 st. lav. e sulle molteplici dinamiche conflittuali ad esso conseguenti.
Procedendo come dichiarato, si cercherà di fornire un quadro quanto più esaustivo della citata normativa alla luce dei principali interventi giurisprudenziali e degli ultimi eventi che hanno particolarmente interessato il panorama delle relazioni industriali.
Nello specifico, noteremo come la prolungata assenza di un (nuovo) intervento regolativo da parte del legislatore abbia contribuito a discostare sempre più l’applicazione pratica della norma in questione dalla sua originaria ratio legis: misurare la rappresentatività delle varie oo.ss., per poi garantire l’accesso al Titolo III dello statuto soltanto a quelle risultanti più “meritevoli”.
Il discorso è ovviamente più articolato, ma in pratica si permetteva al datore di lavoro di selezionare direttamente specifici sindacati senza una (preventiva) verifica della loro effettiva consistenza.
Il parametro selettivo di cui all’art. 19 st. lav., pertanto, risultava configurabile non tanto come indice “rilevatore” di rappresentatività, ma piuttosto quale meccanismo “rivelatore” di questa: considerato quanto detto, infatti, le oo.ss. che riuscivano a costituire una propria RSA finivano per essere ritenute solo “presuntivamente” più rappresentative.
Saranno poi esaminate le varie interpretazioni che nel corso degli anni hanno tentato di conciliare l’aspetto della rappresentanza con quello della rappresentatività, il cui rapporto conflittuale ha finito per dilaniare dall’interno lo stesso art. 19 st. lav. .
Particolare attenzione, quindi, sarà riservata alla disamina del “caso Fiat” e all’ultima pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 231/2013) che, cronologicamente, si pone a chiusura della vicenda: si tratta di una sentenza che per la portata del suo contenuto si può assumere come “storica”.
Nel terzo capitolo andremo ad approfondire un ulteriore aspetto: noteremo come le citate problematicità della norma in questione non esauriscano i loro effetti destabilizzanti all’interno dell’ordinamento generale, ma investano indirettamente anche quello intersindacale.
In entrambi i contesti, infatti, viene fortemente avvertita la mancanza di un oggettivo “criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini del riconoscimento della tutela privilegiata di cui al Titolo III dello statuto” : nonostante a seguito del referendum del 1995 la condicio sine qua non della “firma” premiasse l’effettività dell’azione sindacale, fondamentalmente non ci si discostava da quell’ordine di idee incentrato sulla “supposizione” della rappresentatività (deducibile, ex post, dalla firma stessa) piuttosto che su di una sua più concreta (e quindi più effettiva) misurazione.
Ponendo l’accento sull’estrema delicatezza della questione, quindi, si indagheranno i vari interventi di natura sindacale con cui si è cercato di contenere una situazione resa ancora più complicata dall’emanazione del d.l. 138/2011 : si parla dell’Accordo Interconfederale del 28 giungi 2011, del Protocollo d’Intesa del 31 maggio 2013e, da ultimo, del nuovo Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.
Benché la disciplina in essi contenuta sia sostanzialmente rivolta a regolamentare vari aspetti della contrattazione collettiva intro ed extra aziendale, è infatti possibile intravedere un “percorso di soluzione” intrapreso dalle parte sociali per quanto riguarda il problema della rappresentanza: una sorta di “surrogato convenzionale” dell’inattività normativa.
Una ricostruzione avvalorata dal fatto che l’ultimo Accordo citato, risolvendo gran parte di quelle problematiche che avevano congelato per anni i rapporti intersindacali, simboleggia la conclusione di questo percorso.
Questa particolare impostazione ci permette di cogliere un vero e proprio cambio di prospettiva nell’approccio all’art. 19 st. lav. conseguente alla citata modifica referendaria: tutto ciò derivava dalla necessità di trovare un’alternativa per la costituzione di RSA data l’impraticabilità della “via ordinaria” basata esclusivamente sull’imprescindibile requisito della firma che, di fatto, non lasciava spazio alla rappresentatività effettiva di un sindacato.
Preso atto che costituire una RSA non era più il punto di partenza da cui un sindacato “maggiormente rappresentativo” sarebbe dovuto partire per poter poi stipulare un contratto, bensì il traguardo da raggiungere per il tramite della firma stessa, l’unica soluzione resta(va) quella di sfruttare la citata “componente contrattuale” della norma per far valere la loro effettiva rappresentatività .
Senza qui aggiungere altro, basti precisare che si tratta di un’argomentazione che viene corroborata da alcune importanti teorie: più specificamente si fa riferimento a quella parte della dottrina che dal recepimento dell’A.I. del 2011 da parte dell’art. 8 del d.l. 138/2011 sostiene di poter evincere quel valido criterio oggettivo (per di più di generale efficacia) in grado di supplire all’inefficacia dell’art. 19 st. lav. .
Pare necessario fin da ora, però, anticipare una considerazione riguardo alla validità della “soluzione” appena prospetta.
Sebbene da un punto di vista logico si tratti di una ricostruzione che può effettivamente essere ritenuta pertinente, confermando la possibilità di intravedere negli Accordi citati qualcosa di più di “semplici” riferimenti alla disciplina contrattuale, incontra però un limite essenziale: aver elaborato un risultato “pratico” (rectius di pratica applicabilità) portando a termine un ragionamento che, per quanto razionale, restava sempre (e solo!) di natura strettamente logica .
Nonostante fosse già possibile ipotizzare la praticabilità di un percorso che avrebbe condotto, poi, alla decodificazione di un nuovo oggettivo parametro selettivo, al momento, infatti, gli Accordi facevano espresso riferimento a una rappresentatività puramente “negoziale” (rectius ai fini dell’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale), risultando ogni interpretazione diversa un chiaro tentativo di “forzare la mano”
(comunque sia, ciò non toglie che gli Accordi citati possono essere letti sotto questa lente d’ingrandimento).
In conclusione, poi, si cercherà di fare il punto della situazione chiedendosi se la sentenza costituzionale n. 231/2013 abbia potuto finalmente mettere la parola “fine” a questa lunga e travagliata vicenda che ha interessato la rappresentanza dei lavoratori in azienda.
In particolar modo si procederà analizzando quelli che sono stati gli effetti indiretti della sentenza: l’aver modificato sensibilmente lo stutus quo ante su cui le parti sociali avevano fatto legittimo affidamento durante la stipulazione dell’ultimo Accordo Interconfederale (al tempo, quello del 2013), ha, infatti, avuto delle ricadute sullo stesso.
D’altro canto, però, in un certo senso possiamo dire che questo abbia contribuito alla rapida stesura del nuovo Testo Unico del 10 gennaio 2014: vedremo che, al pari della sentenza 231/2013 della Consulta, anche il citato Testo Unico rappresenta una svolta di portata storica.
Finalmente un’o.s. che vanti un (pre)determinato consenso tra i lavoratori potrà validamente costituire una propria RSA e accedere ai diritti del Titolo III senza essere condizionata da qual si voglia vincolo esterno (i.e. la firma).
Tuttavia, tralasciando per il momento le ulteriori argomentazioni a riguardo, dobbiamo ritenere negativo l’esito della domanda formulata: è bene ricordare, infatti, che quanto espresso dall’ultimo Accordo citato può valere esclusivamente entro i confini dell’ordinamento intersindacale.
L’art. 19 st. lav., dunque, resta inefficace filtro selettivo nonostante l’intervento della sentenza n. 231/2013 che finisce per essere più un “palliativo” che una vera e propria cura per i suoi “mali”: come ci tiene a ricordare la Corte stessa, infatti, affinché la soluzione ottimale raggiunta in ambito sindacale possa pienamente considerarsi definitiva, occorre inesorabilmente un intervento del legislatore che, ad oggi, quantomeno recepisca all’interno dell’ordinamento civile quanto appena fatto in quello intersindacale.
Non resta che aspettare e, nel frattempo, godersi questo importantissimo risultato che restituisce dignità a un art. 19 st. lav. stravolto nel suo reale significato e rispetto a tutte quelle oo.ss. alle quali era stata negata la propria rappresentatività.
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