Tesi etd-03192014-081005 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC5
Autore
RECCHIA, ARDUINO
URN
etd-03192014-081005
Titolo
RUOLO DEI POLIMORFISMI DI eNOS NELLA TOSSICITa ED EFFICACIA DEL TRATTAMENTO CON BEVACIZUMAB IN PAZIENTI CON CARCINOMA MAMMARIO METASTATICO
Dipartimento
FARMACIA
Corso di studi
CHIMICA E TECNOLOGIA FARMACEUTICHE
Relatori
relatore Prof. Danesi, Romano
correlatore Prof. Calderone, Vincenzo
correlatore Prof. Calderone, Vincenzo
Parole chiave
- Bevacizumab
- carcinoma mammario
- eNOS
Data inizio appello
09/04/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il tumore della mammella rappresenta la neoplasia più frequentemente diagnosticata e la
maggiore causa di morte del sesso femminile a livello mondiale. Nel panorama della
patologie oncologiche, il carcinoma della mammella viene considerato generalmente fra
le neoplasie a prognosi favorevole. Nonostante ciò, il 5%-10% delle pazienti si presenta
alla diagnosi ad uno stadio avanzato; in particolare il 10%-15% dei casi evolverà verso
un quadro di disseminazione metastatica entro due anni, con una sopravvivenza mediana
a cinque anni del 21%. Il trattamento del carcinoma della mammella metastatico si avvale
di molteplici strategie terapeutiche rispetto al passato in quanto, fino a poco tempo fa, la
malattia avanzata veniva considerata incurabile nella maggior parte dei casi e la scelta del
clinico aveva, come obbiettivo principale, la palliazione sintomatologica ed il
contenimento della crescita neoplastica. Nonostante la chemioterapia rappresenti la pietra
miliare nel trattamento di tale patologia, la loro elevata tossicità ed il frequente sviluppo
di resistenza limita spesso l’utilizzo degli antiblastici. Con la crescente comprensione alla
base della biologia delle patologie oncologiche, soprattutto in merito al processo di
neoangiogenesi tumorale, nonché l’avvento di sofisticate tecniche genomiche e
proteonomiche, si è resa possibile l’identificazione di nuove terapie. In particolare, i
farmaci inibenti il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), come Bevacizumab,
assumono un ruolo chiave fra le opzioni terapeutiche, in associazione a taxani, come
trattamento di prima linea nel setting metastatico del tumore della mammella. Questo
trattamento, denominato targeted teraphy, presenta una minore incidenza di eventi avversi
rispetto ai regimi chemioterapici tradizionale; tuttavia, l’ipertensione arteriosa è il più
comune effetto collaterale osservato nei pazienti che ricevono una terapia bevacizumab.
Le ragioni di tale meccanismo risiedono nel ruolo fondamentale svolto da VEGF
nell’angiogenesi tumorale, dove il letto vascolare neoformato è strutturalmente e
funzionalmente anomalo, caratterizzato da irregolarità perfusionale ed elevati livelli di
pressione interstiziale. VEGF può indurre la produzione di ossido nitrico (NO) agendo su
eNOS (endothelial nitric oxide synthase, NOS3) grazie ad un processo di up-regolation;
da qui si evince il ruolo fisiologicamente essenziale di quest’ultima sull’omeostasi della
pressione sanguigna e sull’integrità vascolare per mezzo del rilascio costitutivo di NO a
livello delle cellule endoteliali. La sovrapproduzione di ossido nitrico risultante sembra
essere associata ad alterazione della barriera endoteliale ed alla formazione di edema,
inficiando dunque la capacità dell’agente antiangiogenetico di agire all’interno della
formazione neoplastica. Recenti lavori hanno associato alcune varianti funzionali del
gene eNOS, come i polimorfismi -786C>T ed 894G>T, ad una ridotta produzione di NO
con conseguente aumentata incidenza di alterazioni dei valori pressori a livello ematico.
Attualmente non è possibile disporre di biomarcatori predittivi di efficacia e tossicità
validati per quanto riguarda bevacizumab. Questo studio retrospettivo, il primo nel
tumore della mammella in cui in cui sono stati studiati i polimorfismi di eNOS -786C>T
e 894G>T, come potenzialmente in grado di predire la risposta al trattamento con
bevacizumab in termini di efficacia e tossicità, in particolare l’incidenza di ipertensione,
nel tumore della mammella metastatico trattato con tale farmaco. In totale sono state
arruolate 65 pazienti presso la U.O.di Oncologia Medica di Pisa. Le caratteristiche delle
pazienti, tutte di sesso femminile ed HER2 negative, sono le seguenti: età mediana di 59
anni ( range 29-73), performance status (ECOG PS) 0-1=61/4,recettori ormonali
positivi/negativi=56/7, precedente chemioterapia adiuvante con taxani=12/65,pazienti
sottoposte ad ormonoterapia adiuvante (40/65), età mediana diagnosi fase metastatica 43
anni (range 34-74),intervallo libero da malattia (DFI) mediano 39mesi (range 0 – 22
anni), DFI < />12 mesi =17/48 12 mesi, numero mediano di sedi metastatiche</>3=26/39,
con mediana= 3 (range 1-7), malattia viscerale/scheletro=52/3. Per quanto concerne il
trattamento: pazienti che hanno ricevuto una chemioterapia di prima linea con paclitaxel
in associazione a bevacizumab per una durata mediana di circa 6 mesi (range 2-24+), in
seguito bevacizumab di mantenimento(48/65) per una durata mediana di circa 8 mesi
(range 1-29+),pazienti che hanno eseguito una seconda linea di trattamento(30/65).In
generale la mediana delle linee di trattamento utilizzate nelle pazienti analizzate risulta
corrispondere a 2 (range 1-5). Il DNA germinale utilizzato è stato estratto da campioni di
sangue periferico e l’analisi dei polimorfismi è stata eseguita con la metodica della real
time PCR ed il sequenziamento automatico. Nell’ambito degli eventi avversi registrati,
quello riscontrato con maggiore frequenza, è stato rappresentato dallo sviluppo di
ipertensione arteriosa globalmente in 46 pazienti (71%), di grado 1-3 (secondo NTC-
CTCAE), rispettivamente 20% per il grado 1, 43% per il grado 2 ed 8% per il grado 3. Il
tasso di risposte oggettiva corrisponde al 59%; dopo follow-up mediano di 35 mesi (95%
CI 21-50), il 71 % delle pazienti (46/65) risulta progredito mentre sono stati registrati 31
decessi (48 %). Globalmente la PFS mediana risulta essere di 14 mesi (95% CI 10-17),
mentre la sopravvivenza globale medina è di 39 mesi (95% CI 28-48). Le pazienti che
hanno proseguito bevacizumab di mantenimento ammontano al 74% (48/65), la PFS
mediana di questo gruppo corrisponde a 14 mesi (95% CI 13-16) rispetto ai 3 mesi (95%
CI 3-16; p<0.001 log-Rank). Nei pazienti che hanno proseguito terapia di mantenimento
con l’anticorpo monoclonale è stata evidenziata anche una migliore OS mediana di 42
mesi ( 95% CI 36-48) rispetto ai pazienti non sottoposti a tale trattamento per i quali è
stata registrata una OS mediana di 15 mesi (95% CI 12-18). Dai risultati ottenuti è stato
osservato che il genotipo -786TT, in comparazione con gli altri, è associato ad un
beneficio in termini di PFS mediana (9 mesi dei genotipi CC/CT vs 12 mesi del genotipo
TT; p=0.0066; log-rank test). Anche i genotipi -894GT e TT sono risultati associati ad
una più lunga PFS mediana rispetto al genotipo omozigote wild-type GG (10 mesi vs 7.5
mesi; p=0.0497; Log-rank test). Per quanto riguarda l’incidenza e la severità
dell’ipertensione, non sono state evidenziate associazioni significative. In conclusione,
questa analisi retrospettiva, nonostante i risultati non ancora definitivi, suggerisce che, la
casistica delle pazienti portatrici di mutazione allelica dei due polimorfismi esaminati,
non presenta, per quanto riguarda il profilo della tossicità, un rischio aumentato di
incidenza o severità ipertensiva ma, anzi, rispetto a quelle con genotipo wild-type, può
beneficiare di un migliore outcome clinico in termini di PFS.La natura retrospettiva e
l’assenza di un braccio di controllo, non permettono di trarre conclusioni definitive ed i
risultati sono comunque da intendersi come del tutto preliminari. Abbiamo infatti
intenzione di ampliare la casistica delle pazienti da esaminare e di aggiungere altri due
polimorfismi oltre a quelli già in studio. Se i risultati ottenuti fossero in seguito confermati
in modo prospettico, consentirebbero di identificare in maniera più accurata possibile i
pazienti maggiormente responsivi ad un trattamento di prima linea con bevacizumab,
permettendo un utilizzo più razionale delle risorse ed un approccio terapeutico
personalizzato sul paziente.
maggiore causa di morte del sesso femminile a livello mondiale. Nel panorama della
patologie oncologiche, il carcinoma della mammella viene considerato generalmente fra
le neoplasie a prognosi favorevole. Nonostante ciò, il 5%-10% delle pazienti si presenta
alla diagnosi ad uno stadio avanzato; in particolare il 10%-15% dei casi evolverà verso
un quadro di disseminazione metastatica entro due anni, con una sopravvivenza mediana
a cinque anni del 21%. Il trattamento del carcinoma della mammella metastatico si avvale
di molteplici strategie terapeutiche rispetto al passato in quanto, fino a poco tempo fa, la
malattia avanzata veniva considerata incurabile nella maggior parte dei casi e la scelta del
clinico aveva, come obbiettivo principale, la palliazione sintomatologica ed il
contenimento della crescita neoplastica. Nonostante la chemioterapia rappresenti la pietra
miliare nel trattamento di tale patologia, la loro elevata tossicità ed il frequente sviluppo
di resistenza limita spesso l’utilizzo degli antiblastici. Con la crescente comprensione alla
base della biologia delle patologie oncologiche, soprattutto in merito al processo di
neoangiogenesi tumorale, nonché l’avvento di sofisticate tecniche genomiche e
proteonomiche, si è resa possibile l’identificazione di nuove terapie. In particolare, i
farmaci inibenti il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), come Bevacizumab,
assumono un ruolo chiave fra le opzioni terapeutiche, in associazione a taxani, come
trattamento di prima linea nel setting metastatico del tumore della mammella. Questo
trattamento, denominato targeted teraphy, presenta una minore incidenza di eventi avversi
rispetto ai regimi chemioterapici tradizionale; tuttavia, l’ipertensione arteriosa è il più
comune effetto collaterale osservato nei pazienti che ricevono una terapia bevacizumab.
Le ragioni di tale meccanismo risiedono nel ruolo fondamentale svolto da VEGF
nell’angiogenesi tumorale, dove il letto vascolare neoformato è strutturalmente e
funzionalmente anomalo, caratterizzato da irregolarità perfusionale ed elevati livelli di
pressione interstiziale. VEGF può indurre la produzione di ossido nitrico (NO) agendo su
eNOS (endothelial nitric oxide synthase, NOS3) grazie ad un processo di up-regolation;
da qui si evince il ruolo fisiologicamente essenziale di quest’ultima sull’omeostasi della
pressione sanguigna e sull’integrità vascolare per mezzo del rilascio costitutivo di NO a
livello delle cellule endoteliali. La sovrapproduzione di ossido nitrico risultante sembra
essere associata ad alterazione della barriera endoteliale ed alla formazione di edema,
inficiando dunque la capacità dell’agente antiangiogenetico di agire all’interno della
formazione neoplastica. Recenti lavori hanno associato alcune varianti funzionali del
gene eNOS, come i polimorfismi -786C>T ed 894G>T, ad una ridotta produzione di NO
con conseguente aumentata incidenza di alterazioni dei valori pressori a livello ematico.
Attualmente non è possibile disporre di biomarcatori predittivi di efficacia e tossicità
validati per quanto riguarda bevacizumab. Questo studio retrospettivo, il primo nel
tumore della mammella in cui in cui sono stati studiati i polimorfismi di eNOS -786C>T
e 894G>T, come potenzialmente in grado di predire la risposta al trattamento con
bevacizumab in termini di efficacia e tossicità, in particolare l’incidenza di ipertensione,
nel tumore della mammella metastatico trattato con tale farmaco. In totale sono state
arruolate 65 pazienti presso la U.O.di Oncologia Medica di Pisa. Le caratteristiche delle
pazienti, tutte di sesso femminile ed HER2 negative, sono le seguenti: età mediana di 59
anni ( range 29-73), performance status (ECOG PS) 0-1=61/4,recettori ormonali
positivi/negativi=56/7, precedente chemioterapia adiuvante con taxani=12/65,pazienti
sottoposte ad ormonoterapia adiuvante (40/65), età mediana diagnosi fase metastatica 43
anni (range 34-74),intervallo libero da malattia (DFI) mediano 39mesi (range 0 – 22
anni), DFI < />12 mesi =17/48 12 mesi, numero mediano di sedi metastatiche</>3=26/39,
con mediana= 3 (range 1-7), malattia viscerale/scheletro=52/3. Per quanto concerne il
trattamento: pazienti che hanno ricevuto una chemioterapia di prima linea con paclitaxel
in associazione a bevacizumab per una durata mediana di circa 6 mesi (range 2-24+), in
seguito bevacizumab di mantenimento(48/65) per una durata mediana di circa 8 mesi
(range 1-29+),pazienti che hanno eseguito una seconda linea di trattamento(30/65).In
generale la mediana delle linee di trattamento utilizzate nelle pazienti analizzate risulta
corrispondere a 2 (range 1-5). Il DNA germinale utilizzato è stato estratto da campioni di
sangue periferico e l’analisi dei polimorfismi è stata eseguita con la metodica della real
time PCR ed il sequenziamento automatico. Nell’ambito degli eventi avversi registrati,
quello riscontrato con maggiore frequenza, è stato rappresentato dallo sviluppo di
ipertensione arteriosa globalmente in 46 pazienti (71%), di grado 1-3 (secondo NTC-
CTCAE), rispettivamente 20% per il grado 1, 43% per il grado 2 ed 8% per il grado 3. Il
tasso di risposte oggettiva corrisponde al 59%; dopo follow-up mediano di 35 mesi (95%
CI 21-50), il 71 % delle pazienti (46/65) risulta progredito mentre sono stati registrati 31
decessi (48 %). Globalmente la PFS mediana risulta essere di 14 mesi (95% CI 10-17),
mentre la sopravvivenza globale medina è di 39 mesi (95% CI 28-48). Le pazienti che
hanno proseguito bevacizumab di mantenimento ammontano al 74% (48/65), la PFS
mediana di questo gruppo corrisponde a 14 mesi (95% CI 13-16) rispetto ai 3 mesi (95%
CI 3-16; p<0.001 log-Rank). Nei pazienti che hanno proseguito terapia di mantenimento
con l’anticorpo monoclonale è stata evidenziata anche una migliore OS mediana di 42
mesi ( 95% CI 36-48) rispetto ai pazienti non sottoposti a tale trattamento per i quali è
stata registrata una OS mediana di 15 mesi (95% CI 12-18). Dai risultati ottenuti è stato
osservato che il genotipo -786TT, in comparazione con gli altri, è associato ad un
beneficio in termini di PFS mediana (9 mesi dei genotipi CC/CT vs 12 mesi del genotipo
TT; p=0.0066; log-rank test). Anche i genotipi -894GT e TT sono risultati associati ad
una più lunga PFS mediana rispetto al genotipo omozigote wild-type GG (10 mesi vs 7.5
mesi; p=0.0497; Log-rank test). Per quanto riguarda l’incidenza e la severità
dell’ipertensione, non sono state evidenziate associazioni significative. In conclusione,
questa analisi retrospettiva, nonostante i risultati non ancora definitivi, suggerisce che, la
casistica delle pazienti portatrici di mutazione allelica dei due polimorfismi esaminati,
non presenta, per quanto riguarda il profilo della tossicità, un rischio aumentato di
incidenza o severità ipertensiva ma, anzi, rispetto a quelle con genotipo wild-type, può
beneficiare di un migliore outcome clinico in termini di PFS.La natura retrospettiva e
l’assenza di un braccio di controllo, non permettono di trarre conclusioni definitive ed i
risultati sono comunque da intendersi come del tutto preliminari. Abbiamo infatti
intenzione di ampliare la casistica delle pazienti da esaminare e di aggiungere altri due
polimorfismi oltre a quelli già in studio. Se i risultati ottenuti fossero in seguito confermati
in modo prospettico, consentirebbero di identificare in maniera più accurata possibile i
pazienti maggiormente responsivi ad un trattamento di prima linea con bevacizumab,
permettendo un utilizzo più razionale delle risorse ed un approccio terapeutico
personalizzato sul paziente.
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