Tesi etd-03182024-121348 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
LODDO, GRAZIA
URN
etd-03182024-121348
Titolo
Un commento all'epistola XI delle Heroides: Canace a Macareo
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
FILOLOGIA E STORIA DELL'ANTICHITA'
Relatori
relatore Piazzi, Lisa
correlatore Russo, Alessandro
correlatore Russo, Alessandro
Parole chiave
- aborto
- Canace
- elegia
- Eolo
- fratello
- Heroides
- incesto
- Macareo
- padre
- prigionia
- sottomissione
- spada
- suicidio
- tragedia
- trasgressione
Data inizio appello
05/04/2024
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
05/04/2064
Riassunto
La tesi costituisce un commento all’epistola XI delle Heroides, in cui Canace si rivolge a suo fratello e amante Macareo. Protagonista di questa lettera è l’eroina della tragedia euripidea “Eolo”, colpevole di un amore incestuoso, non consentito da suo padre, il quale ha ordinato la morte della figlia e del nipote appena nato, frutto dell’unione illecita consumata tra i due. Il dramma, per quanto è possibile leggere dai pochi frammenti pervenutici, mette in risalto il personaggio di Macareo, soprattutto in contrapposizione a suo padre, e indaga il difficile rapporto tra un genitore e suo figlio. La figura della fanciulla non trova spazio, tant’è che il suo nome non compare nemmeno all’interno della tragedia e per conoscere la vicenda nella sua totalità sono fondamentali le fonti successive. Questo commento indaga le profonde differenze che sussistono tra il modello euripideo e la ripresa di Ovidio, che fa in modo che per la prima volta Canace emerga con la sua personalità e diventi protagonista e narratrice della sua stessa storia. La fanciulla vive un forte impulso verso il fratello e non si limita più ad essere semplicemente oggetto del desiderio di Macareo, ma ricambia una passione intensa e travolgente, simile a una fiamma. Tutto questo non accadrà impunemente. Il contenuto della vicenda resta quindi quasi invariato, a cambiare è il modo in cui viene raccontata. L’eroina è analizzata secondo una prospettiva elegiaca, ma senza che rinunci totalmente alla sua natura tragica originaria, in un gioco di rimandi e contaminazioni di stili e generi, assai caro al poeta, che gli permettono di instaurare un dialogo ironico con il modello di riferimento e con le altre influenze letterarie. Canace è dipinta in alcuni momenti come un’amante elegiaca, in altri come un eroina tragica vittima di un padre violento, che non può impedire la morte di suo figlio, e ancora come un eroe tragico o epico, che si trafigge il petto con la spada. Si tratta di un’epistola atipica all’interno della raccolta, che mostra delle peculiarità che non si rintracciano nelle altre lettere, incentrate sulla sofferenza e il dolore delle eroine, dovuto all’atteggiamento di infedeltà, crudeltà e indifferenza dei loro amanti. Canace, al contrario, rivolge il proprio biasimo e il proprio lamento nei confronti di suo padre, figura ingombrante che impedisce che le passioni della protagonista trovino compimento. Il ruolo di Macareo è, di conseguenza, fortemente ridimensionato e si limita ad essere esclusivamente il ricevente formale dell’epistola, mentre il destinatario reale è esclusivamente Eolo, padre insensibile e crudele, fedele al suo ruolo di re dei venti. Il tema non si risolve quindi nella sola dimensione erotica e questo determina un’importante innovazione all’interno del genere elegiaco, che da sempre aveva posto tale realtà in primo piano. Ovidio indaga il rapporto paradossale tra un padre spietato, desideroso di uccidere sua figlia e una fanciulla remissiva, prigioniera e totalmente sottoposta a lui, che ha pieno controllo anche sulla sua sfera sessuale. Non stupisce che nella lettera non venga dedicato spazio all’abominio dell’incesto, poiché l’obiettivo di Ovidio non è quello di approfondire i grovigli e il pathos di un amore illecito, ma rendere la sua eroina un simbolo di insubordinazione nei confronti della figura del pater familias, caposaldo dell’organizzazione sociale romana. Si nota infatti un atteggiamento polemico del poeta, che affiora in primo luogo nel rappresentare un’evidente disobbedienza verso l’autorità paterna, ma anche nell’assenza di qualsiasi presa di posizione e biasimo da parte dell’autore rispetto a temi esecrati dall’etica condivisa, quali l’incesto e il tentativo di aborto, per giunta all’insaputa del padre, i quali, se anche non venivano puniti legalmente, erano ritenuti universalmente riprovevoli ed erano scoraggiati da un’ideologia augustea conservatrice, che mirava a ripristinare i valori del mos maiorum.
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