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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03172016-182357


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
BUSDRAGHI, LUISA
URN
etd-03172016-182357
Titolo
LA TUTELA DELLE VITTIME VULNERABILI "DAL" PROCESSO PENALE. UNA LETTURA DELL'ORDINAMENTO ITALIANO ALLA LUCE DEGLI INTERVENTI NORMATIVI EUROPEI.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Bonini, Valentina
Parole chiave
  • processo
  • testimonianza
  • vittima
  • vulnerabile
Data inizio appello
18/04/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Lo spazio giuridico europeo ha costituito il palcoscenico sul quale, a partire dagli anni Ottanta, si è innescato un processo di riscoperta della vittima del reato, ormai divenuta la “nouvelle étoile de la scène penale”.
In questo fenomeno di crescente interesse per la vittima, hanno avuto un peso fondamentale alcuni documenti normativi adottati prima nell'ambito del Consiglio d'Europa e successivamente nella cornice dell'Unione Europea.
Da un lato, la Raccomandazione (85) 11 sulla posizione della vittima nella sfera del diritto e della procedura penale e la Convenzione europea sul risarcimento alle vittime di reati violenti hanno affermato un importante principio, in base al quale la tutela della vittima rappresenta un dovere imprescindibile di solidarietà sociale; dall'altro, la Decisione quadro 2001/220/GAI ha tradotto le norme di soft law in regole cogenti per gli Stati europei. Ruolo ancor più importante per la valorizzazione della vittima come soggetto meritevole di protezione nell'ambito del processo penale è stato, ed è tuttora, quello della giurisprudenza delle due Corti europee.
Le pronunce della Corte di giustizia hanno contribuito a definire la nozione di vittima e i contorni dei suoi diritti nel procedimento, mentre le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno delineato le coordinate di un delicato equilibrio tra i diritti della vittima, soprattutto quella vulnerabile, e quelli dell’imputato.
La Corte di giustizia in particolare è intervenuta più volte sui temi della vittima del reato, riconoscendo espressamente che la Decisione quadro del 2001 si limitava a fissare norme minime, lasciando poi alle autorità nazionali un ampio potere discrezionale circa le concrete modalità di conseguimento degli obiettivi con essa perseguiti. Tuttavia, sono sorti parecchi dubbi circa la compatibilità delle soluzioni normative nazionali rispetto alle indicazioni fissate dalla fonte europea.
L'Unione aveva dunque cercato di armonizzare i diversi sistemi processuali allo scopo di fornire un trattamento omogeneo alle vittime di reato nel territorio europeo, ma con parziale insuccesso. La poca incisività della Decisione quadro e le nuove possibilità offerte dal Trattato di Lisbona hanno spinto il legislatore europeo a tornare sul tema, con la Direttiva 2012/29/UE. Concepita come strumento di ampio respiro, valido per tutte le vittime di reato, essa rappresenta una vera pietra miliare nella definizione di uno statuto europeo della vittima, stabilendo all’art. 2 che “Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo ed appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento”.
Da subito è apparso chiaro come il nuovo intervento avrebbe avuto il suo trionfo solo tramite una concreta e uniforme implementazione in tutti gli Stati membri, i quali hanno il compito di trasformare il linguaggio dei principi (tipico delle fonti sovranazionali) in regole precise, di possibile applicazione in un preciso contesto normativo.
All'interno della Direttiva, recepita in Italia piuttosto di recente (e non senza ritardo) tramite il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, emerge tra i problematici temi affrontati anche quello riguardante il trattamento della “vittima vulnerabile”, ovvero di chi, per le caratteristiche legate al soggetto o al tipo di violenza, ha subito un trauma in conseguenza del reato.
La posizione di vulnerabilità, peraltro, è connessa al rischio della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, cioè il patimento di un nuovo trauma causato dal processo e connesso alla riedizione del ricordo.
Soggetti per antonomasia riconducibili alla categoria sono il minore e l'infermo di mente, ma la Direttiva offre in realtà indicazioni aperte, evitando cataloghi chiusi e suggerendo, piuttosto, una valutazione individuale della vittima.
Se da un lato la disciplina nazionale appare lacunosa e disorganica, la particolare attenzione data alla testimonianza della vittima vulnerabile nell’incidente probatorio “speciale” e nelle dichiarazioni in sede dibattimentale rappresenta una significativa evoluzione rispetto al passato, viste le particolari modalità di “audizione protetta”, alla luce anche degli ultimi interventi riformatori del legislatore che hanno modificato alcune norme del codice di procedura penale.
È quindi opportuno individuare i soggetti annoverabili nella suddetta categoria, sondando l'ordinamento giuridico italiano per verificare il corretto recepimento della normativa europea, e, soprattutto, per individuare le accortezze che il codice di rito dedica all'individuo più fragile inserito nel complesso circuito processuale.
Con questa operazione sarà forse possibile ricostruire uno “statuto della vittima vulnerabile”, sistema apprezzabile ma non privo di ombre.
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