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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03092023-205305


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
GIUNTINI, FRANCESCA
URN
etd-03092023-205305
Titolo
J.W.Waterhouse e le Metamorfosi di Ovidio: un'analisi iconografica
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA
Relatori
relatore Prof. Farinella, Vincenzo
Parole chiave
  • iconografia
  • Metamorfosi
  • mito
  • Preraffaellismo
Data inizio appello
13/04/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
13/04/2093
Riassunto
Il lavoro qui presentato si propone di analizzare il rapporto tra l’artista inglese John William Waterhouse (1849- 1917) e le Metamorfosi di Ovidio. Per attestarlo tenteremo di studiare, dal punto di vista iconografico, nove dipinti da lui realizzati tra il 1892 e il 1909.
D’altronde, le Metamorfosi del poeta sulmonese Publio Ovidio Nasone (43 a.C.- 17 d.C.), come opera estremamente vasta e complessa per il numero dei versi e per la molteplicità dei soggetti e dei temi trattati, continua a vivere nell’immaginario collettivo e nel nostro patrimonio culturale, confermando di essere un libro in grado di sfidare il tempo e lo spazio. Il mito e tutti i personaggi che in esso vivono ed agiscono siano essi divinità, eroi, o creature semi divine, infatti, rappresentano sempre un certo aspetto dell’esistenza, e rivestono significati ben precisi, anche se di volta in volta adattati alle necessità dei differenti contesti socioculturali in cui operano.
È proprio per questa ragione che si è reso necessario, nel primo capitolo, trattare, anche se in modo non approfondito, del quadro storico, culturale e artistico in cui Waterhouse visse e lavorò. In Inghilterra, il regno della regina Vittoria, caratterizzato da un forte moralismo, dovette affrontare i drastici mutamenti socioeconomici e tecnologici che la rivoluzione industriale apportò. Forse è proprio perché non ancora pronti al progresso, che gli artisti vittoriani si rifugiarono in quelle antiche vicende, fondamenti della nostra cultura, popolate da affascinanti donne che, a differenza della società, resero protagoniste, celebrandone bellezza e sensualità.
Inoltre, è all’interno di questo contesto che nacquero e si svilupparono movimenti o correnti artistiche spesso in contrasto tra loro, ai quali Waterhouse, pur elaborando uno stile unico, si rivolse. L’artista, infatti, viene, a seconda dei casi, accostato al Preraffaellismo, al Romanticismo, al Neoclassicismo, al Decadentismo. Forse bisognerebbe considerarlo come una sorta di stella cometa nell’arte, che è riuscita ad attraversare stili, periodi, storie creandone una sintesi autonoma e intessuta di una vena di bellezza eterna ed intramontabile.
Come illustreremo nel secondo capitolo, il pittore, figlio d’arte, nato a Roma negli anni in cui i fondatori della Confraternita dei Preraffaelliti iniziavano ad esporre le proprie opere, venne incoraggiato dai suoi genitori a frequentare in Inghilterra scuole di disegno prima di entrare, nel 1871, alla prestigiosa Royal Academy of Arts nella quale iniziò ad esporre dal 1874. All’inizio scelse di realizzare opere orientalistiche e scene tratte dal mondo greco e romano. Spesso, quest’ultime, ambientate in Italia, erano influenzate da quelle pompeiane dipinte dal tanto ammirato Lawrence Alma-Tadema (1836-1912).
Tuttavia, se pur con un tocco pittorico leggermente diverso, più ricco e sensuale, questi quadri lasceranno il posto a scene legate all’occultismo e ai soggetti letterari e mitici che popoleranno le sue sempre più grandi tele fino alla sua morte. Waterhouse, considerato “Preraffaellita moderno” per i suoi lavori che risalgono a qualche decennio dopo lo scioglimento della Confraternita (1853), eredita da essa, dal punto di vista figurativo, la grande passione per la letteratura. Come i suoi esponenti, anche lui volle celebrare le meravigliose (spesso tragiche) storie narrate da John Keats, William Shakespeare, Alfred Tennyson, Percy Bysshe Shelley, Giovanni Boccaccio., Dante Alighieri.
È nel 1891, però, che l’artista tornò, dopo la morte del padre, ad esibire i suoi lavori alla Royal Academy of Arts con una palette di colori più arricchita e dimostrando uno spiccato interesse per Omero e Ovidio.
È nel terzo capitolo, infatti, che, in ordine cronologico e dopo aver introdotto il mito in questione, saranno esaminati, dal punto di vista iconografico, Circe Invidiosa (1892), Ariadne (1898), The Awakening of Adonis (1899), Nymphs Finding the Head of Orpheus (1900), Boreas (1902-1903), Echo and Narcissus (1903), Jason and Medea (1907), Apollo and Daphne (1908) e Thisbe (1909). Anche se in modo non del tutto fedele e tentando di assecondare la sua spiccata immaginazione, l’artista interpreta magistralmente, attraverso queste tele, dai titoli esplicativi, intrise di elementi simbolici e dall’ atmosfera nostalgica, magica e misteriosa, alcuni dei miti narrati dal poeta sulmonese nelle Metamorfosi. Lo fa, come riassumeremo nelle conclusioni, restituendocene l’essenza, l’umanità, dando rilievo soprattutto a eteree donne, incarnazione di grazia e sensualità, celebrando, con grande sensibilità, il binomio amore-morte e infondendovi, attraverso i colori e la sue abilita illustrativa, quel fascino che, da secoli, anche il capolavoro ovidiano è in grado di instillare.
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