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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-03062016-171255


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BOSELLI, ORIANA
URN
etd-03062016-171255
Titolo
Parole in conflitto: 20 anni di narrazione del conflitto israelo-palestinese sui quotidiani italiani
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
SCIENZE PER LA PACE: COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E TRASFORMAZIONE DEI CONFLITTI
Relatori
relatore Prof.ssa Gallo, Giorgio
Parole chiave
  • Palestina
  • Israele
  • comunicazione
  • giornalismo
Data inizio appello
23/05/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il conflitto israelo-palestinese è sin dal suo scoppio uno dei temi più trattati dai media occidentali; con una cadenza costante, che diventa quotidiana durante le frequenti fasi di crisi, Palestina e Israele entrano nelle nostre vite attraverso le immagini trasmesse dalla televisione, le analisi radiofoniche, i lunghi articoli stampati sui giornali.
Attraverso l’analisi degli articoli comparsi sui due maggiori quotidiani italiani, La Repubblica e Il Corriere della Sera, nel ventennio compreso tra il 1993, anno della conclusione degli Accordi di Oslo, e il 2014, anno della morte di Ariel Sharon, questo lavoro tenta di comprendere quali siano stati i termini utilizzati dalla stampa italiana per narrare il conflitto israelo-palestinese.
Partendo dal presupposto che la lingua utilizzata dai media non sia mai neutrale e la narrazione abbia un’influenza sulla realtà, si analizzano in queste pagine parole e concetti che, con cadenza regolare, sono stati scelti per descrivere il conflitto nel ventennio, e che, per il loro utilizzo, possono essere ritenuti fuorvianti o partigiani dopo essere stati contestualizzati.

Per effettuare l’analisi, sono stati consultati e catalogati circa quattordicimila articoli, settemila per testata.

Nel primo capitolo, “Un ventennio in Israele e Palestina attraverso i quotidiani italiani”, seguendo un percorso cronologico che si sviluppa dall’agosto ‘93 al gennaio 2014, vengono accennate le problematicità riscontrate nell’utilizzo di alcuni termini, poi approfondite nei successivi tre capitoli.

Nel secondo capitolo, “Religione, Olocausto, conflitto: una narrazione complessa”, l’attenzione si concentra sui riferimenti alla Shoah e al nazismo all’interno della stampa italiana, uso da considerarsi strumentale in quanto volto a supportare la tesi della ricerca di “sicurezza” da parte di Israele e a perorare il progetto sionista della creazione di uno “Stato Ebraico”.

Nel terzo capitolo, “Narrare il terrorismo nel conflitto israelo-palestinese”, si accenna alla complessità nell’affrontare l’argomento del terrorismo quando ci si trova coinvolti all’interno di un conflitto asimmetrico. Mentre il termine “terrorista” è utilizzato frequentemente in riferimento ai palestinesi, esso viene sostituito o ignorato nel caso l’esecutore di atti di terrore sia lo Stato israeliano o un ebreo israeliano. Particolare attenzione è qui riservata agli atti di terrorismo perpetuati dai coloni israeliani.

Nel quarto capitolo, “Il caso Shalit e la comunicazione deviata”, si deduce come, durante il sequestro del caporale israeliano, tenuto prigioniero cinque anni all’interno della Striscia di Gaza, non esistesse proporzione tra l’interesse mediatico per una vita umana dai tratti occidentali e quello per migliaia di palestinesi morti durante attacchi militari nella Striscia, definiti spesso “rappresaglie” a causa del lancio di razzi qassam. Come se il valore della vita umana fosse differente, a seconda dell’etnia di appartenenza.

Questa tesi, nata da una riflessione sulla parte che può avere nell’evoluzione di un conflitto la parzialità dell'informazione, in particolar modo rispetto alla percezione del pubblico sulle crisi estere, per loro stessa natura distanti dal contesto quotidiano dello stesso e per questo motivo più complesse da comprendere, vuole essere solo un primo passo verso l’utilizzo di un linguaggio corretto e specialistico all’interno dei media nella narrazione dei conflitti odierni.

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