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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-03052024-183404


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BASTIANELLI, FEDERICO
URN
etd-03052024-183404
Titolo
Ponte Stura: Lalla Romano tra fotografia e letteratura
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
ITALIANISTICA
Relatori
relatore Savettieri, Cristina
Parole chiave
  • Fotografia
  • Lalla Romano
  • Letteratura
Data inizio appello
05/04/2024
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
05/04/2094
Riassunto
La presente ricerca concentra l’attenzione sui fototesti di Lalla Romano, con l'intento di esplorare il dialogo intermediale tra la parola scritta e l'immagine fotografica, ponendo un'attenzione particolare all'infanzia dell'autrice trascorsa nel suo paese natale.
Si prendono a riferimento gli studi di Michele Cometa e Michele Vangi, i quali hanno identificato specifiche modalità di interazione tra fotografia e letteratura, e hanno fornito, insieme a Giuseppe Carrara, gli strumenti critici per produrre questo lavoro.
La ricerca inizia con una riflessione sul concetto di fototesto, adottando la definizione proposta da Peter Wagner, che vede il fototesto come un artefatto in cui segni verbali e visuali si mescolano.
Il primo capitolo si concentra sulla vita e sull'evoluzione artistica di Lalla Romano, evidenziando il passaggio dalla pittura alla narrativa e alla poesia come un'evoluzione del suo linguaggio artistico. La sua infanzia, trascorsa in un ambiente familiare ricco di stimoli artistici, e il suo percorso formativo, dal liceo classico all'Università di Torino, sono delineati per contestualizzare la sua sensibilità artistica. L'influenza di figure come Cesare Pavese e l'amicizia con Felice Casorati sono sottolineate per mostrare come questi incontri abbiano contribuito alla sua transizione verso la narrativa e la poesia, nonché al suo interesse per la fotografia come forma espressiva.
Il secondo capitolo esamina "La penombra che abbiamo attraversato" (1964), si focalizza sul ritorno dell'autrice al paese natale e sul suo tentativo di recuperare l'immagine della madre attraverso la memoria. Centrali nell’opera sono i temi del vestiario, delle fiabe e della fine dell'infanzia emergono come fili conduttori che intrecciano memorie personali a riflessioni più ampie sull'esistenza.
Il tempo è un altro tema ricorrente, introdotto dall’autrice con una distinzione fondamentale tra il "tempo di prima" e il "dopo", concetti che vanno oltre la semplice sequenza cronologica per acquisire una profondità emotiva e simbolica. Il "tempo di prima" rappresenta un periodo idilliaco e quasi mitico dell'infanzia dell'autrice, un'epoca caratterizzata da una felicità pura e semplice, nonché da una visione del mondo ancora incantata e ingenua. Questo tempo racchiude in sé la vita dei genitori, prima che lei nascesse, e la sua prima infanzia. L’epoca del “prima” trova appunto il suo epilogo con la nascita della sorellina, la quale segna un punto di svolta decisivo, in quanto con il suo arrivo si ha la rottura dell’equilibrio familiare. Il "dopo” segna una cesura netta con questo passato, caratterizzato da sfumature negative e cambiamenti, il cui apice coincide con il trasferimento della famiglia a Cuneo.
La distinzione tra questi due periodi è enfatizzata dalla narrazione attraverso l'uso di ecfrasi, in particolare nell'analisi delle fotografie. L'autrice, mediante l'ecfrasi di fotografie conservate in un album di famiglia, confronta costantemente il presente con il passato, ricorrendo alle immagini laddove la memoria fallisce. La memoria diventa un dialogo continuo con le esperienze infantili e, dove essa vacilla, interviene la verità fotografica.
Si può osservare come l'ecfrasi, usata per evidenziare l'immagine fotografica in Penombra, si divida sostanzialmente in due categorie. La prima, di natura introspettiva, permette all'autrice di riconoscere aspetti della propria personalità nelle foto di famiglia, la seconda di natura denotativa, la quale riflette sulla personalità del fotografo.
Nel terzo capitolo si concentra invece l’attenzione sulla triade di romanzi dell’autrice Lettura di un’immagine, Romanzo di figure e Nuovo romanzo di figure. Queste opere, pur essendo prodotte in anni diversi, formano un continuum narrativo che riflette il percorso di ritorno dell'autrice al suo paese natale, Ponte Stura, e la sua ricerca delle figure genitoriali, con un focus particolare sulla figura del padre e sulla propria infanzia.
La prima opera, Lettura di un’immagine (1975), introduce il lettore al concetto di fotografia come testo da leggere e interpretare, ponendo le basi per un'esplorazione visiva che si sviluppa ulteriormente nei romanzi successivi. Romanzo di figure (1986) approfondisce questa indagine, offrendo una qualità visiva superiore delle immagini grazie al ritrovamento di lastre fotografiche che permettono una lettura più dettagliata e coinvolgente per il lettore. Quest'opera si distingue per la sua capacità di narrare attraverso le immagini, dando precedenza alla fotografia rispetto al testo scritto e introducendo una nuova disposizione visiva che influenzerà anche Nuovo romanzo di figure (1997). Quest'ultimo rappresenta un punto di arrivo nella produzione dell'autrice, con l'introduzione di un nuovo apparato di immagini che amplia ulteriormente la narrazione.
L’analisi di queste immagini attraverso il lavoro di Roland Barthes offre una lente critica preziosa per comprendere il rapporto tra immagine fotografica e testo in queste opere. Barthes, nel suo saggio La camera chiara, fornisce concetti chiave come lo studium e il punctum, che permettono di analizzare come le fotografie possano evocare emozioni, suscitare interpretazioni personali e fungere da catalizzatori per la memoria e la narrazione. Attraverso il concetto di studium, si considera l'interesse generale o culturale che una fotografia può suscitare, mentre il punctum, quel dettaglio che colpisce lo spettatore in modo personale e inaspettato, illumina la capacità unica delle immagini di Romano di evocare ricordi personali e suscitare riflessioni profonde.
Particolare attenzione viene data al modo in cui i brevi appunti di Romano accanto alle immagini collaborano alla creazione di un nuovo significato, guidando l'interpretazione del lettore e sottolineando dettagli o aspetti emotivi che potrebbero altrimenti passare inosservati: l'interazione tra testo e immagine nei romanzi di Romano diventa un dialogo complesso, dove le fotografie non solo illustrano ma amplificano il tessuto narrativo, introducendo nuove dimensioni di significato.
Il quarto capitolo, "Ritorno a Ponte Stura" (2000), segna la conclusione del percorso narrativo e fotografico di Lalla Romano. Nel suo ultimo ritorno, l'autrice non osserva il paese con gli occhi di bambina o di un'osservatrice esterna, ma come una donna che contempla un passato così remoto da sembrare quasi irraggiungibile, al punto che lei stessa può essere una delle ultime testimoni di quella memoria. La storia di ciò che è stato non è più suddivisa tra il "tempo di prima" e il "dopo”, ormai è diventata solo leggenda.
La struttura dell'opera stessa si trasforma: a differenza delle opere precedenti, Ritorno a Ponte Stura si distacca dalla formula del romanzo “visivo collaborativo” per adottare una struttura definita di "riproduzione semplice". In questo contesto, le fotografie non sono più direttamente intrecciate al testo per generare nuovi significati, ma sono organizzate in gruppi preceduti da testi descrittivi. Questo cambiamento enfatizza una narrazione più guidata, una composizione dove le parole di Lalla Romano precedono le fotografie del padre, le descrivono e le narrano, focalizzandosi sui dettagli significativi che l'autrice intende evidenziare. In quest'ultimo libro, le didascalie accanto alle fotografie non sono più formulate dall'autrice, ma dal fotografo, a volte ricostruite, e sono queste a guidare Lalla Romano nella loro interpretazione. Ciò che da quest’opera è una celebrazione del lavoro paterno, con l'intento di narrare al lettore un'ultima storia di Demonte, quel paese che può perpetuarsi eternamente sotto il nome di Ponte Stura. A enfatizzare questo concetto è l'immagine finale di Zio Carmelo, caduto nella Prima guerra mondiale.
Lo zio Carmelo emerge non solo come personaggio reale, ma come simbolo di un passato collettivo che persiste nella memoria e nell'immaginario dell'autrice.
La fotografia, accompagnata dal testo introduttivo, si propone di dimostrare come gli eventi umani, accaduti quasi un secolo prima, possano assumere le sembianze di leggende, pur essendo stati reali. Continuare a narrare queste storie consente di conservarne la vitalità e di trasmetterle alle generazioni future, sottolineando l'importanza della memoria e del racconto nella preservazione dell'esperienza umana.
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