Tesi etd-03052021-170731 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
ANDREANI, ARIANNA
URN
etd-03052021-170731
Titolo
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
ITALIANISTICA
Relatori
relatore Prof. Ciccuto, Marcello
correlatore Prof. Pacca, Vinicio
correlatore Prof. Pacca, Vinicio
Parole chiave
- Alfieri Vittorio
- arti figurative
- Illuminismo
- Neoclassicismo
- pittura
- poesia
- rivoluzione francese
- Rococò
- Romanticismo
- storia dell'arte
Data inizio appello
26/04/2021
Consultabilità
Completa
Riassunto
Accostare Vittorio Alfieri alle arti figurative non è per niente un’impresa facile ed è forte la tentazione di far piacere per forza a questo autore, così tanto complesso, la pittura. Chi ha letto la Vita sa che all’Alfieri dell’arte pittorica interessava ben poco e che, anzi, tutta l’opera stessa è un lungo percorso per innalzare e nobilitare
un’altra arte, quella letteraria. L’autobiografia si configura, in effetti, come un viaggio introspettivo per scovare dentro di sé il perfetto poeta, che si concluderà con il raggiungimento di un agognato traguardo e cioè entrare a far parte del circolo dei più grandi poeti mai esistiti. Certamente l’enfasi con cui l’astigiano insiste nella Vita riguardo il disinteresse per l’arte, fa anche parte di quella finzione autoriale che regge l’impianto narrativo dell’opera stessa. Ma, se rivolgiamo lo sguardo all’esistenza reale dell’autore, questa tesi viene ampliamente supportata: in tutte le sue abitazioni sono stati rinvenuti pochissimi esemplari artistici, quasi nessun quadro; tra quelli ritrovati la maggior parte era di proprietà della contessa d’Albany o, più semplicemente, doni che lei stessa aveva fatto all’amato poeta. L’interesse dell’Alfieri verte per lo più attorno ad oggetti di uso quotidiano
e personale come, ad esempio, bastoni da passeggio, spadini, carrozze e tutto ciò che si confaceva alla perfetta vita di un nobile settecentesco. Nella disputa intellettuale che l’Alfieri ebbe con l’amico Ranieri de’ Calzabigi, e su cui mi soffermerò particolarmente all’interno di questo lavoro, emerge perfettamente l’idea che l’autore aveva delle arti figurative: indubbiamente, opere di menti eccelse, degne di lode e riconoscimenti, ma completamente lontane dall’unica vera arte che era disposto a perseguire e cioè la letteratura. Quando il livornese espone al suo interlocutore la possibile strada da intraprendere nella creazione della perfetta tragedia contemporanea, coniando l’espressione di «pittor poeta» e l’idea della rappresentazione «per quadri», sta suggerendo un percorso lontano anni luce dalla concezione tragica dell’autore. L’Alfieri, nonostante le sue opere siano, per certi aspetti, delle “pitture su pagina”, vuole soltanto sentir parlare di scrittura e, con una lapidaria domanda retorica («ma le parole si vedono elle, o si ascoltano?»), chiarisce immediatamente quale sia la sua idea in fatto di stile tragico: pulito, scarno, privo di eccessivi decorativismi formali. Sono tutti elementi, questi, che hanno portato i critici letterari alfieriani (in particolar modo Di Benedetto2) ad accostare la sua poetica alla corrente artistica del Neoclassicismo. Ancora una volta, dunque, l’autore viene inserito all’interno di un contesto figurativo.
In questo lavoro, perciò, cercherò di esplorare in che modo l’Alfieri si confrontò con l’arte, sia come uomo sia come poeta, in un percorso che prenderà avvio dal contesto politico e culturale in cui si trovò a vivere, facendo particolare riferimento alla condizione sociale nobiliare, che influenzò inevitabilmente la sua visione del
mondo; mi soffermerò, poi, su tutte quelle esperienze, su tutti quei fecondi contatti intellettuali, che contribuirono ad avvicinare un Alfieri chiuso e restìo al senso del bello, al mondo dell’arte; mi addentrerò, successivamente, nella parte più teorica di questo studio, cercando di analizzare il pensiero critico dell’autore, attraverso le coordinate di due dei più grandi pensatori a lui contemporanei nel campo dell’estetica e dell’arte; concluderò prendendo in esame alcune delle più importanti opere teatrali dell’Alfieri, perché è impensabile, se non addirittura impossibile, tralasciare il mondo del teatro, nell’intenzione di trovare un punto di contatto tra questo autore e le arti figurative.
un’altra arte, quella letteraria. L’autobiografia si configura, in effetti, come un viaggio introspettivo per scovare dentro di sé il perfetto poeta, che si concluderà con il raggiungimento di un agognato traguardo e cioè entrare a far parte del circolo dei più grandi poeti mai esistiti. Certamente l’enfasi con cui l’astigiano insiste nella Vita riguardo il disinteresse per l’arte, fa anche parte di quella finzione autoriale che regge l’impianto narrativo dell’opera stessa. Ma, se rivolgiamo lo sguardo all’esistenza reale dell’autore, questa tesi viene ampliamente supportata: in tutte le sue abitazioni sono stati rinvenuti pochissimi esemplari artistici, quasi nessun quadro; tra quelli ritrovati la maggior parte era di proprietà della contessa d’Albany o, più semplicemente, doni che lei stessa aveva fatto all’amato poeta. L’interesse dell’Alfieri verte per lo più attorno ad oggetti di uso quotidiano
e personale come, ad esempio, bastoni da passeggio, spadini, carrozze e tutto ciò che si confaceva alla perfetta vita di un nobile settecentesco. Nella disputa intellettuale che l’Alfieri ebbe con l’amico Ranieri de’ Calzabigi, e su cui mi soffermerò particolarmente all’interno di questo lavoro, emerge perfettamente l’idea che l’autore aveva delle arti figurative: indubbiamente, opere di menti eccelse, degne di lode e riconoscimenti, ma completamente lontane dall’unica vera arte che era disposto a perseguire e cioè la letteratura. Quando il livornese espone al suo interlocutore la possibile strada da intraprendere nella creazione della perfetta tragedia contemporanea, coniando l’espressione di «pittor poeta» e l’idea della rappresentazione «per quadri», sta suggerendo un percorso lontano anni luce dalla concezione tragica dell’autore. L’Alfieri, nonostante le sue opere siano, per certi aspetti, delle “pitture su pagina”, vuole soltanto sentir parlare di scrittura e, con una lapidaria domanda retorica («ma le parole si vedono elle, o si ascoltano?»), chiarisce immediatamente quale sia la sua idea in fatto di stile tragico: pulito, scarno, privo di eccessivi decorativismi formali. Sono tutti elementi, questi, che hanno portato i critici letterari alfieriani (in particolar modo Di Benedetto2) ad accostare la sua poetica alla corrente artistica del Neoclassicismo. Ancora una volta, dunque, l’autore viene inserito all’interno di un contesto figurativo.
In questo lavoro, perciò, cercherò di esplorare in che modo l’Alfieri si confrontò con l’arte, sia come uomo sia come poeta, in un percorso che prenderà avvio dal contesto politico e culturale in cui si trovò a vivere, facendo particolare riferimento alla condizione sociale nobiliare, che influenzò inevitabilmente la sua visione del
mondo; mi soffermerò, poi, su tutte quelle esperienze, su tutti quei fecondi contatti intellettuali, che contribuirono ad avvicinare un Alfieri chiuso e restìo al senso del bello, al mondo dell’arte; mi addentrerò, successivamente, nella parte più teorica di questo studio, cercando di analizzare il pensiero critico dell’autore, attraverso le coordinate di due dei più grandi pensatori a lui contemporanei nel campo dell’estetica e dell’arte; concluderò prendendo in esame alcune delle più importanti opere teatrali dell’Alfieri, perché è impensabile, se non addirittura impossibile, tralasciare il mondo del teatro, nell’intenzione di trovare un punto di contatto tra questo autore e le arti figurative.
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