Tesi etd-03042009-190937 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
RAIA, FRANCESCA
URN
etd-03042009-190937
Titolo
Lo status costituzionale del minore
Settore scientifico disciplinare
IUS/08
Corso di studi
GIUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI
Relatori
Relatore Prof.ssa Giardina, Francesca
Parole chiave
- diritti fondamentali
- diritto costituzionale
- diritto minorile
Data inizio appello
11/12/2008
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
11/12/2048
Riassunto
Lo status costituzionale del minore è tematica che, per quanto
riconducibile ad uno degli ambiti di elezione della dottrina costituzionalistica,
quale la tutela dei diritti, non sempre è stato oggetto di adeguato
approfondimento.
La condizione giuridica dei soggetti minori, infatti, è stata prevalentemente
presa in considerazione da parte della dottrina civilistica la quale ha
considerato le esigenze proprie di tali soggetti, principalmente (anche se non
esclusivamente) all’interno della famiglia. Ma un’approfondita considerazione
è venuta anche da parte degli studiosi del diritto penale, in particolare nel
momento in cui si sono trovati ad affrontare i problemi relativi all’imputabilità.
Il punto di partenza e di riferimento di qualsiasi lavoro che intenda
occuparsi dei diritti dei minori è, certamente, rappresentato dal fattore età
che sub specie juris viene definito, secondo quanto affermato da una ormai
risalente pronuncia della Corte di cassazione, come «uno stato naturale del
soggetto, un suo modo di essere nella progressione temporale del fenomeno
biologico tra il momento della nascita e quello della morte, che acquista
rilevanza per il diritto in quanto l’ordinamento positivo le attribuisce
determinati effetti sulla capacità della persona e nella sfera dei rapporti
giuridici che a questa fanno capo».
Data questa nozione di età, essa generalmente viene considerata (dal
diritto) sia per significare gli anni esatti di vita di una persona, sia, assai più
frequentemente, per indicare il tempo trascorso tra la nascita di una persona
ed il sorgere di un rapporto o di una situazione giuridicamente rilevante che
la riguarda. In quest’ultimo caso, ciò che viene in considerazione agli effetti
giuridici è, dunque, il raggiungimento della «maggiore età», nel momento
fissato dalla legge.
La prospettiva che interessa in questa sede è, però più ristretta,
intendendosi trattare della condizione di chi sia minore di età, non avendo
ancora raggiunto quel preciso punctum temporis a partire dal quale, come
detto, l’ordinamento ricollega determinati effetti.
La condizione di minore età comporta anch’essa alcune rilevanti
conseguenze, essendo frequentemente assunta dall’ordinamento come
condizione di incapacità del soggetto. In particolare, è nell’ambito del diritto
civile che si descrive compiutamente tale condizione, «questo perché – tra le
varie aree del diritto – è [quella] civile che si assume il compito di definire lo stato e la capacità delle persone, cioè la loro condizione e il loro ruolo
all’interno dell’ordinamento».
Più precisamente, come è noto, nell’ambito del diritto civile, alla minore
età, che dura fino al diciottesimo anno, l’ordinamento fa corrispondere una
condizione di incapacità di agire, cioè di compiere tutti gli atti per i quali non
sia stabilita un’età diversa (art. 2, 1° comma, cod. civ.).
Il raggiungimento del diciottesimo anno di età individua, pertanto, per tutti i
soggetti dell’ordinamento, una precisa linea di confine tra una precedente
condizione di incapacità legale assoluta di agire ed una successiva
condizione di piena capacità che sposta bruscamente il soggetto, una volta
oltrepassato quel limite convenzionalmente fissato dall’ordinamento, da una
situazione di inattività, motivata da ragioni di particolare protezione, ad una
situazione in cui gli si consente di porre in essere attività giuridicamente
rilevanti e di esprimere senza limiti la propria autonomia5. E ciò avviene
perché l’ordinamento ritiene, con valutazione astratta, non riferita al singolo
individuo – ma secondo l’id quod plerumque accidit – che il soggetto di età
inferiore ai diciotto anni non sia in grado di provvedere ai propri interessi, ed
altri, i genitori in primis, debbano, invece, rappresentarlo ed amministrare il
suo patrimonio.
Il tutto si ritiene possa farsi discendere dalla considerazione che è
connaturata all’uomo, in conseguenza della progressiva maturazione psicofisica,
un’acquisizione graduale nel tempo della sua attitudine ad agire nella
vita sociale con consapevolezza e responsabilità. Da qui deriva il rilievo che il
diritto conferisce all’età in ordine alla capacità.
In questo quadro, allora, i concetti appena focalizzati possono servire per
sviluppare un’indagine volta a verificare se sia possibile liberare il soggetto
minore dalla tradizionale condizione di incapacità in cui è stato per lungo
tempo relegato, riconoscendogli, invece, spazi di autonomia e di
partecipazione che consentano di ridisegnare il suo status giuridico all’interno
dell’ordinamento, fino ad attribuirgli i diritti soggettivi che sono riconosciuti a
tutti gli individui, a prescindere dall’età.
riconducibile ad uno degli ambiti di elezione della dottrina costituzionalistica,
quale la tutela dei diritti, non sempre è stato oggetto di adeguato
approfondimento.
La condizione giuridica dei soggetti minori, infatti, è stata prevalentemente
presa in considerazione da parte della dottrina civilistica la quale ha
considerato le esigenze proprie di tali soggetti, principalmente (anche se non
esclusivamente) all’interno della famiglia. Ma un’approfondita considerazione
è venuta anche da parte degli studiosi del diritto penale, in particolare nel
momento in cui si sono trovati ad affrontare i problemi relativi all’imputabilità.
Il punto di partenza e di riferimento di qualsiasi lavoro che intenda
occuparsi dei diritti dei minori è, certamente, rappresentato dal fattore età
che sub specie juris viene definito, secondo quanto affermato da una ormai
risalente pronuncia della Corte di cassazione, come «uno stato naturale del
soggetto, un suo modo di essere nella progressione temporale del fenomeno
biologico tra il momento della nascita e quello della morte, che acquista
rilevanza per il diritto in quanto l’ordinamento positivo le attribuisce
determinati effetti sulla capacità della persona e nella sfera dei rapporti
giuridici che a questa fanno capo».
Data questa nozione di età, essa generalmente viene considerata (dal
diritto) sia per significare gli anni esatti di vita di una persona, sia, assai più
frequentemente, per indicare il tempo trascorso tra la nascita di una persona
ed il sorgere di un rapporto o di una situazione giuridicamente rilevante che
la riguarda. In quest’ultimo caso, ciò che viene in considerazione agli effetti
giuridici è, dunque, il raggiungimento della «maggiore età», nel momento
fissato dalla legge.
La prospettiva che interessa in questa sede è, però più ristretta,
intendendosi trattare della condizione di chi sia minore di età, non avendo
ancora raggiunto quel preciso punctum temporis a partire dal quale, come
detto, l’ordinamento ricollega determinati effetti.
La condizione di minore età comporta anch’essa alcune rilevanti
conseguenze, essendo frequentemente assunta dall’ordinamento come
condizione di incapacità del soggetto. In particolare, è nell’ambito del diritto
civile che si descrive compiutamente tale condizione, «questo perché – tra le
varie aree del diritto – è [quella] civile che si assume il compito di definire lo stato e la capacità delle persone, cioè la loro condizione e il loro ruolo
all’interno dell’ordinamento».
Più precisamente, come è noto, nell’ambito del diritto civile, alla minore
età, che dura fino al diciottesimo anno, l’ordinamento fa corrispondere una
condizione di incapacità di agire, cioè di compiere tutti gli atti per i quali non
sia stabilita un’età diversa (art. 2, 1° comma, cod. civ.).
Il raggiungimento del diciottesimo anno di età individua, pertanto, per tutti i
soggetti dell’ordinamento, una precisa linea di confine tra una precedente
condizione di incapacità legale assoluta di agire ed una successiva
condizione di piena capacità che sposta bruscamente il soggetto, una volta
oltrepassato quel limite convenzionalmente fissato dall’ordinamento, da una
situazione di inattività, motivata da ragioni di particolare protezione, ad una
situazione in cui gli si consente di porre in essere attività giuridicamente
rilevanti e di esprimere senza limiti la propria autonomia5. E ciò avviene
perché l’ordinamento ritiene, con valutazione astratta, non riferita al singolo
individuo – ma secondo l’id quod plerumque accidit – che il soggetto di età
inferiore ai diciotto anni non sia in grado di provvedere ai propri interessi, ed
altri, i genitori in primis, debbano, invece, rappresentarlo ed amministrare il
suo patrimonio.
Il tutto si ritiene possa farsi discendere dalla considerazione che è
connaturata all’uomo, in conseguenza della progressiva maturazione psicofisica,
un’acquisizione graduale nel tempo della sua attitudine ad agire nella
vita sociale con consapevolezza e responsabilità. Da qui deriva il rilievo che il
diritto conferisce all’età in ordine alla capacità.
In questo quadro, allora, i concetti appena focalizzati possono servire per
sviluppare un’indagine volta a verificare se sia possibile liberare il soggetto
minore dalla tradizionale condizione di incapacità in cui è stato per lungo
tempo relegato, riconoscendogli, invece, spazi di autonomia e di
partecipazione che consentano di ridisegnare il suo status giuridico all’interno
dell’ordinamento, fino ad attribuirgli i diritti soggettivi che sono riconosciuti a
tutti gli individui, a prescindere dall’età.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
La tesi non è consultabile. |