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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-02282018-113722


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
RUBEIS, FRANCESCA
URN
etd-02282018-113722
Titolo
La crisi di impresa e tutela del rapporto di lavoro: tra soluzioni liquidatorie e conservative dell'azienda.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Cecchella, Claudio
correlatore Prof. Buoncristiani, Dino
tutor Avv.ssa Agostini, Maria
Parole chiave
  • crisi impresa
  • liquidazione
  • ristrutturazione
  • tutela giurisdizionale
Data inizio appello
30/04/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
L’intenzione di questo elaborato è di individuare le capacità di ciascuna autonoma branca del diritto, rispettivamente del lavoro e commerciale- fallimentare, in un potenziale dialogo su una de-terminata e specifica situazione di fatto che inevitabilmente richiede l’attenzione critica di entrambe. Se fosse l’insolvenza o la crisi di impresa, quale situazione di fatto, oggetto di una teoria copernicana, come il sole al centro del sistema solare e dell’universo, questa attrarrebbe le prospettive, ideologie e ambizioni delle due discipline giuridiche autonome e indipendenti. Perché si realizzi un’effettiva composizione degli interessi in gioco, inequivocabilmente contrapposti e di cui ciascuna materia è portatrice, è inevitabile che il diritto del lavoro da un lato, e il diritto fallimentare dall’altro, <<cedano qualcosa>> al fine ideale di <<superare>> una situazione patologica e di evitare una deflagrazione tale per cui, alla fine dei giochi, entrambe risulterebbero perdenti. Orbene, nello schema tipico del rapporto giuridico obbligatorio tra un comune debitore e creditore, ciascuno dei quali titolare di una situazione giuridica, rispettivamente di svantaggio e di vantaggio, la relazione tra le due è funzionale e strumentale, tale che il debitore deve agire per il soddisfacimento(e perciò stesso mezzo di realizzazione) dell’interesse del creditore, la cui pretesa sottende il potere di attivarsi affinché ottenga la prestazione dovutagli. In questo quadro, quando l’interesse del creditore non venga in tutto o in parte soddisfatto attraverso l’esatta esecuzione della prestazione dovuta da parte del debitore, è consentito al primo la possibilità di aggredire il patrimonio del secondo, facendo espropriare e vendere coattivamente, cioè in via giudiziale e contro la volontà del debitore stesso, i beni che lo compongono per poter conseguire sul ricavato quanto, sia pure in via sostitutiva e per equivalente, dovutogli. Quindi, i beni che costituiscono il patrimonio del debitore rappresentano una garanzia generica del credito, come si deduce dall’art. 2740 c.c.. Se questo è vero, tuttavia esiste anche una garanzia patrimoniale specifica finalizzata all’adempimento delle obbligazioni del debitore la quale, invece di costituirsi sull’intero patrimonio del debitore, si forma su determinati beni ad esso appartenenti. In altre parole, i beni singolarmente individuati, pur rimanendo di proprietà del debitore, vengono destinati a soddisfare, in caso di inadempimento, gli interessi del creditore. Tale garanzia si realizza mediante le cc.dd. cause legittime di prelazione, che rappresentano una delle limitazioni ex lege alla responsabilità patrimoniale del debitore. Cosa accade quando intorno al debitore orbita una pluralità di creditori? La soluzione è rinvenibile nell’art 2741 c.c., che sancisce al contempo un principio generale e un’eccezione, nella prima direzione si parla di parità di trattamento tra gli stessi sul patrimonio del debitore, espressa dal brocardo latino par condicio creditorum, proprio perché il patrimonio è garanzia ge-nerica per tutti i creditori di quel debitore. Tra questi però, godono di una particolare preferenza nel soddisfacimento i cc.dd. creditori privilegiati, in quanto diversamente dai chirografari, il loro credito è assistito da una particolare garanzia. Fatta questa premessa, cosa accade, a questo punto, quando nella figura del debitore e creditore astrattamente previsti, siano sussumibili rispettivamente un imprenditore-datore di lavoro e la pluralità di suoi creditori, questi ultimi qualitativamente scelti, nella molteplicità, e per il fine che qui interessa, nella persona del prestatore di lavoro subordinato? . Qui si inserisce la quaestio del bilanciamento tra gli interessi potenzialmente <<in conflitto>> del diritto commerciale-fallimentare e del diritto del lavoro. Il datore di lavoro è imprenditore quando, ex art 2082 c.c., esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Nella modalità di svolgimento, si tratta di un’attività che si avvale di un apparato produttivo stabile e complesso ri-conducibile alla nozione di azienda di cui all’art 2555 c.c.. Fondamentale a questo punto la Corte di Giustizia , per la quale l’azienda si identifica con << un’entità economica organizzata in modo stabile, complesso, organizzato di persone e di elementi patrimoniali materiali e immateriali che consente l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo >>. In questa organizzazione è stabilmente inserito il prestatore di opera che in virtù di un vincolo di natura personale, <<dipende gerarchicamente>> ed è assoggettato ad un <<potere direttivo>> del datore di lavoro-capo dell’impresa, con conseguente limitazione della sua libertà . Questa, la ricognizione sommaria, per i individuare i punti di contatto tra due materie giuridiche assolutamente autonome. Da questo raccordo eminentemente strutturale ne discende uno di tipo sistematico laddove tanto la disciplina de <<l’imprenditore>> quanto quella <<dei collaboratori dell’impresa>> sono due sezioni del Titolo II, <<Del lavoro nell’impresa>>, quale articolazione del Libro V <<Del lavoro>> del codice civile. Ciascuna delle due sezioni è ulteriormente integrata da legislazioni speciali che concorrono a renderle scientifiche branche del diritto. Un secondo momento di contatto, tra il mondo del lavoro e quello dell’impresa, si realizza allorché quest’ultima si trovi a dover fronteggiare una particolare situazione economica e/o struttura-le, ed il legislatore giuslavorista predisponga l’operatività di una serie di istituti giuridici volti a <<sostenere>> o ulteriormente tutelare la condizione del prestatore di lavoro subordinato. Si pensi alla CIG quale istituto di sostegno al reddito del lavoratore, ovvero al sistema di garanzie di cui all’art 2112 c.c. in caso di trasferimento di azienda (in bonis) derogando alla disciplina di diritto comune della cessione del contratto, oppure ancora in caso di licenziamento del datore di lavoro quale regolamentazione ulteriormente protettiva del prestatore di lavoro subordinato rispetto alla disciplina generale del recesso dal contratto. Quindi il diritto del lavoro si contraddistingue per la particolare attenzione che l’ordinamento riconosce alla parte contrattuale sensibilmente più debole sviluppando un’articolazione normativa tendenzialmente derogatoria al diritto comune. Allo stesso modo però, quando l’impresa versa in una condizione di incapacità reddituale tale che la prosecuzione <<incontrollata>> dell’attività da parte dell’imprenditore sia particolarmente rischiosa in termini di una ripercussione sulla stabilità delle realtà patrimoniali di soggetti terzi, il legislatore ritiene che le <<azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore>>, quali strumenti che il diritto comune riconosce a ciascun creditore, si rivelano strumenti inadeguati. Il principio della par condicio creditorum assurge a ragione esclusiva, tale che per la stabilità del mercato e del sistema economico è opportuno che l’insolvenza dell’imprenditore si distribuisca in maniera equa e proporzionale sul patrimonio di tutti i creditori. Si tratta di un principio di ordine pubblico che necessita di un’effettività che prescinde da un’iniziativa spontanea del creditore perché costituisce la finalità principale dell’azione dell’organo fallimentare. Perciò la crisi di impresa e l’incapacità del datore di lavoro-imprenditore(commerciale non piccolo ) di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, è gestita attraverso specifici istituti giuridici, le cc.dd. procedure concorsuali. Il diritto concorsuale si atteggia, principalmente, in modo diverso a seconda che la crisi manifestata dall’impresa sia o meno <<reversibile>>. Nel primo caso l’imprenditore ben può, liberamente, accedere alla procedura di concordato preventivo, nelle sue particolari strutturazioni sostanziali, in vista della conservazione finale dell’impresa. Diversamente, diventa necessaria la <<soluzione concorsuale ex lege>> della liquidazione giudiziale dell’impresa. In linea generale, prendendo in esame, quale paradigma delle procedure concorsuali, il fallimento (rectius liquidazione giudiziale),ciò che contraddistingue il diritto concorsuale come diritto speciale rispetto alla disciplina comune in materia di responsabilità patrimoniale, è che la sentenza dichiarativa di fallimento è costitutiva del diritto al concorso, quale, cioè, diritto di tutti i creditori e del debitore di beneficiare del regime speciale dell’amministrazione e liquidazione dell’impresa. In questo regime rientrano quattro dimensioni:
1)del fallito, nella sua realtà personale, patrimoniale e penale;
2)dei creditori, e nello specifico che qui interessa, del prestatore di lavoro subordinato.
3)della sorte degli atti pregiudizievoli nei confronti dei creditori;
4)della sorte dei contratti pendenti, ed in particolare del con-tratto di lavoro subordinato.
Quindi, in questa cornice del diritto delle procedure concorsua-li, ciascuna con le proprie caratteriste, presupposti e finalità, la legislazione speciale giuslavoristica individua, ulteriormente, il proprio ruolo al fine di apprestare maggiore protezione al <<collaboratore>> nell’impresa. Quindi si parla di <<sospensione del contratto di lavoro pendente>> attraverso o meno l’accesso alla Cassa integrazioni guadagni straordinaria, nella sua evoluzione fino alla recente riforma; si parla del trasferimento di azienda o ramo d’azienda con contestuale <<disapplicazione>> o <<flessibilizzazione>> delle garanzie di cui al 2112 c.c.; o ancora in materia di <<scioglimento>> del contratto di lavoro nella forma dei licenziamenti individuali plurimi o soggettivi, fino ad approdare alla tutela giurisdizionale del diritto di credito da lavoro, nonché dell’eventuale illegittimo potere di recesso del curatore o del commissario straordinario, il tutto comportando un’attenzione sulla vexata quaestio della <<competenza>> tra Tribunale fallimentare e Giudice del lavoro.
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