Tesi etd-02282013-163047 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica LC6
Autore
GIGLIO, ELISABETTA
URN
etd-02282013-163047
Titolo
Studio retrospettivo per la valutazione dei fattori di progressione del danno renale nella malattia policistica renale
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Tramonti, Gianfranco
Parole chiave
- fattori di progressione danno renale
- malattia policistica renale
- studio retrospettivo
Data inizio appello
19/03/2013
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
19/03/2053
Riassunto
RIASSUNTO
La malattia policistica è la più frequente patologia ereditaria renale e rappresenta la quarta causa di malattia terminale, costituendo l’8% dei trattamenti dialitici sostitutivi.
Si caratterizza per la presenza di numerose cisti di dimensioni differenti, che interessano il parenchima di entrambi i reni. La formazione delle cisti avviene gradualmente e comporta la progressiva distruzione del parenchima, con conseguente riduzione della funzionalità renale, fino all’insufficienza renale cronica.
Sono note due diverse forme di malattia: quella di gran lunga più frequente, con un’incidenza di un caso ogni 400-1.000 soggetti, è la forma a trasmissione autosomica dominante (ADPKD).
ADPKD è una malattia caratteristica ma non esclusiva dell’adulto; è infatti ormai noto che può manifestarsi anche nei bambini di tutte le età, dalla vita intrauterina fino all’adolescenza, nonostante la maggior parte dei casi venga diagnosticata in età adulta.
A partire dai 30 ai 40 anni la malattia diventa sintomatica, manifestandosi in genere con dolore al fianco, ipertensione, infezioni urinarie ricorrenti, possibili episodi di macroematuria ed urolitiasi. Si possono riscontrare anche cisti in altri organi, in particolare nel fegato ed alterazioni a carico del sistema cardiocircolatorio quali valvulopatie e aneurismi cerebrali o aortici.
A partire dalla quarta-quinta decade compaiono invece le alterazioni della funzionalità renale. Il decorso della malattia presenta una notevole variabilità interindividuale; difatti mentre alcuni pazienti mostrano una progressione piuttosto lenta nel tempo, altri sembrano manifestare un più rapido deterioramento della funzione renale. In ogni caso le alterazioni del filtrato glomerulare conducono invariabilmente alla malattia renale terminale (ESRD).
Attualmente non è possibile fermare la progressione della malattia, ma è comunque auspicabile riuscire a rallentarne il decorso. Per far ciò è importante identificare i fattori di progressione del danno renale e trattarli adeguatamente.
Il nostro studio retrospettivo ha lo scopo di analizzare le modalità di declino della funzione renale in una ampia casistica di pazienti seguiti presso la U.O. di Nefrologia Universitaria, con l’intento di evidenziare eventuali fattori in grado di rallentare o accelerare il decorso della malattia.
Sono stati valutati 23 pazienti adulti affetti da ADPKD, seguiti mediante ricoveri ricorrenti per un tempo medio di 8 anni; in particolare si tratta di 12 donne e 11 uomini di varie età (da 43 a 83, in media 63 anni) non ancora in terapia sostitutiva.
Il parametro considerato è l’inverso della creatininemia (1/Cr) che è un buon indicatore della funzionalità renale di un paziente nel tempo. Sulla base dei valori ricavati dalle cartelle cliniche dei pazienti abbiamo costruito una curva che descrive la progressione della malattia e definisce quella che potrebbe essere la funzione d’organo a 15 anni dall’inizio del deterioramento renale. Abbiamo poi analizzato alcuni potenziali fattori di progressione per valutare la loro influenza sul declino del tasso di filtrazione glomerulare: macroematuria, proteinuria, numero di gravidanze, ipertensione e sesso del paziente.
I risultati hanno evidenziato innanzitutto una notevole variabilità nella progressione della malattia; si osservano infatti pazienti in cui il deterioramento della funzione renale è molto lento ed altri in cui appare invece decisamente più rapido.
In particolare due pazienti mostrano una prognosi particolarmente severa; analizzando più nel dettaglio la loro storia clinica, si è riscontrato che a differenza degli altri pazienti, la prima manifesta una proteinuria costantemente > 2 g/24h, mentre la seconda presenta ricorrenti episodi di macroematuria associati a proteinuria patologica (valori medi di 0.8 g/24h). La gravidanza invece non pare influenzare la storia naturale della malattia; nella nostra casistica infatti le pazienti con un maggior numero di figli non mostrano una prognosi peggiore rispetto a coloro che non ne hanno avuti. L’ipertensione si è rivelata una manifestazione estremamente frequente nel nostro studio: infatti tutti i pazienti sono risultati ipertesi, ad eccezione di uno. Il controllo dei valori pressori appare una condizione necessaria per rallentare la progressione del danno renale, indipendentemente dal tipo di terapia praticata per ottenerlo. Nella nostra casistica sono presenti pazienti che effettuano monoterapia ed altri che devono ricorrere alla politerapia, ma il numero di farmaci utilizzati non sembra influenzare la prognosi.
Infine analizzando separatamente il decorso clinico della malattia negli uomini e nelle donne, è stato possibile osservare che queste ultime mostrano un deterioramento della funzione renale più lento rispetto agli uomini. Si è potuto inoltre riscontrare come la presenza di importanti fattori di progressione, possa cambiare drasticamente la prognosi rispetto a quanto atteso.
Dal punto di vista terapeutico attualmente l’obiettivo è quello di minimizzare il danno renale ed extrarenale, al fine di rallentare la progressione verso l’uremia e prevenire le complicanze legate alla malattia; è importante inoltre il trattamento delle condizioni patologiche associate, che potrebbero accelerare il declino della funzione renale o aggravare il rischio cardiovascolare, già di per sé alto, dei pazienti.
Sono in corso numerosi studi clinici che hanno lo scopo di testare nuovi farmaci capaci di interferire con il meccanismo patogenetico alla base della formazione e dell’accrescimento delle cisti.
La malattia policistica è la più frequente patologia ereditaria renale e rappresenta la quarta causa di malattia terminale, costituendo l’8% dei trattamenti dialitici sostitutivi.
Si caratterizza per la presenza di numerose cisti di dimensioni differenti, che interessano il parenchima di entrambi i reni. La formazione delle cisti avviene gradualmente e comporta la progressiva distruzione del parenchima, con conseguente riduzione della funzionalità renale, fino all’insufficienza renale cronica.
Sono note due diverse forme di malattia: quella di gran lunga più frequente, con un’incidenza di un caso ogni 400-1.000 soggetti, è la forma a trasmissione autosomica dominante (ADPKD).
ADPKD è una malattia caratteristica ma non esclusiva dell’adulto; è infatti ormai noto che può manifestarsi anche nei bambini di tutte le età, dalla vita intrauterina fino all’adolescenza, nonostante la maggior parte dei casi venga diagnosticata in età adulta.
A partire dai 30 ai 40 anni la malattia diventa sintomatica, manifestandosi in genere con dolore al fianco, ipertensione, infezioni urinarie ricorrenti, possibili episodi di macroematuria ed urolitiasi. Si possono riscontrare anche cisti in altri organi, in particolare nel fegato ed alterazioni a carico del sistema cardiocircolatorio quali valvulopatie e aneurismi cerebrali o aortici.
A partire dalla quarta-quinta decade compaiono invece le alterazioni della funzionalità renale. Il decorso della malattia presenta una notevole variabilità interindividuale; difatti mentre alcuni pazienti mostrano una progressione piuttosto lenta nel tempo, altri sembrano manifestare un più rapido deterioramento della funzione renale. In ogni caso le alterazioni del filtrato glomerulare conducono invariabilmente alla malattia renale terminale (ESRD).
Attualmente non è possibile fermare la progressione della malattia, ma è comunque auspicabile riuscire a rallentarne il decorso. Per far ciò è importante identificare i fattori di progressione del danno renale e trattarli adeguatamente.
Il nostro studio retrospettivo ha lo scopo di analizzare le modalità di declino della funzione renale in una ampia casistica di pazienti seguiti presso la U.O. di Nefrologia Universitaria, con l’intento di evidenziare eventuali fattori in grado di rallentare o accelerare il decorso della malattia.
Sono stati valutati 23 pazienti adulti affetti da ADPKD, seguiti mediante ricoveri ricorrenti per un tempo medio di 8 anni; in particolare si tratta di 12 donne e 11 uomini di varie età (da 43 a 83, in media 63 anni) non ancora in terapia sostitutiva.
Il parametro considerato è l’inverso della creatininemia (1/Cr) che è un buon indicatore della funzionalità renale di un paziente nel tempo. Sulla base dei valori ricavati dalle cartelle cliniche dei pazienti abbiamo costruito una curva che descrive la progressione della malattia e definisce quella che potrebbe essere la funzione d’organo a 15 anni dall’inizio del deterioramento renale. Abbiamo poi analizzato alcuni potenziali fattori di progressione per valutare la loro influenza sul declino del tasso di filtrazione glomerulare: macroematuria, proteinuria, numero di gravidanze, ipertensione e sesso del paziente.
I risultati hanno evidenziato innanzitutto una notevole variabilità nella progressione della malattia; si osservano infatti pazienti in cui il deterioramento della funzione renale è molto lento ed altri in cui appare invece decisamente più rapido.
In particolare due pazienti mostrano una prognosi particolarmente severa; analizzando più nel dettaglio la loro storia clinica, si è riscontrato che a differenza degli altri pazienti, la prima manifesta una proteinuria costantemente > 2 g/24h, mentre la seconda presenta ricorrenti episodi di macroematuria associati a proteinuria patologica (valori medi di 0.8 g/24h). La gravidanza invece non pare influenzare la storia naturale della malattia; nella nostra casistica infatti le pazienti con un maggior numero di figli non mostrano una prognosi peggiore rispetto a coloro che non ne hanno avuti. L’ipertensione si è rivelata una manifestazione estremamente frequente nel nostro studio: infatti tutti i pazienti sono risultati ipertesi, ad eccezione di uno. Il controllo dei valori pressori appare una condizione necessaria per rallentare la progressione del danno renale, indipendentemente dal tipo di terapia praticata per ottenerlo. Nella nostra casistica sono presenti pazienti che effettuano monoterapia ed altri che devono ricorrere alla politerapia, ma il numero di farmaci utilizzati non sembra influenzare la prognosi.
Infine analizzando separatamente il decorso clinico della malattia negli uomini e nelle donne, è stato possibile osservare che queste ultime mostrano un deterioramento della funzione renale più lento rispetto agli uomini. Si è potuto inoltre riscontrare come la presenza di importanti fattori di progressione, possa cambiare drasticamente la prognosi rispetto a quanto atteso.
Dal punto di vista terapeutico attualmente l’obiettivo è quello di minimizzare il danno renale ed extrarenale, al fine di rallentare la progressione verso l’uremia e prevenire le complicanze legate alla malattia; è importante inoltre il trattamento delle condizioni patologiche associate, che potrebbero accelerare il declino della funzione renale o aggravare il rischio cardiovascolare, già di per sé alto, dei pazienti.
Sono in corso numerosi studi clinici che hanno lo scopo di testare nuovi farmaci capaci di interferire con il meccanismo patogenetico alla base della formazione e dell’accrescimento delle cisti.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
La tesi non è consultabile. |