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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-02252011-122418


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
DONATIO, DEBORAH
URN
etd-02252011-122418
Titolo
Amianto nelle rocce e problematiche ambientali: metodologie integrate per la valutazione qualitativa e quantitativa dei minerali fibrosi
Settore scientifico disciplinare
GEO/03
Corso di studi
SCIENZE DELLA TERRA
Relatori
correlatore Prof. Rocchi, Sergio
commissario Crispini, Laura
commissario Principi, Gianfranco
commissario Pandolfi, Luca
tutor Prof. Marroni, Michele
Parole chiave
  • amianto da fonte naturale
  • minerali fibrosi
  • ofioliti
Data inizio appello
04/03/2011
Consultabilità
Completa
Riassunto
Con il termine “amianto” viene indicato comunemente un gruppo di silicati caratterizzati da abito fibroso, ampiamente sfruttati per scopi industriali e applicazioni tecnologiche. L’estrazione, l’utilizzo e la commercializzazione di tali minerali sono stati vietati sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti d’America, a causa dei comprovati effetti dannosi, prevalentemente a carico dell’apparato respiratorio, che le fibre di amianto possono causare. Attualmente i rischi derivanti dall’esposizione ambientale a tali fibre provengono dalla impropria conservazione di manufatti che sono tuttora installati in ambienti di vita e lavoro e dalla perturbazione di rocce che per loro natura contengono minerali fibrosi classificabili come amianto.
Gli affioramenti ofiolitici costituiscono siti in cui possono essere presenti minerali fibrosi potenzialmente dannosi per la salute, alcuni dei quali classificati come amianto. I minerali fibrosi occupano prevalentemente il riempimento di macro- e micro-fratture della roccia che li ospita. Processi naturali di alterazione chimico-fisica o attività antropiche in questi siti possono contribuire a rilasciare in atmosfera fibre minerali respirabili. In natura esistono inoltre decine di specie mineralogiche aventi abito fibroso, che non necessariamente hanno avuto un impiego industriale e che, pertanto, non vengono considerate amianto dalla normativa vigente. Alcuni di questi minerali possono avere rilevanza ambientale, in quanto è stato dimostrato che sono in grado di indurre le stesse patologie attribuibili all’esposizione a fibre di amianto.
La normativa nazionale, nonostante sia conforme alle direttive comunitarie che vietano l’estrazione, l’utilizzo e la commercializzazione dei minerali classificati come amianto, consente l’estrazione e la commercializzazione di materiali in breccia, lastre e blocchi derivanti da rocce che possono contenere tali specie minerali. L’estrazione di queste rocce in Italia è regolamentata dal D.M. del 14 Maggio 1996. Questo decreto fornisce un elenco di rocce che possono contenere amianto e stabilisce che, ove interessate da attività estrattive, devono essere sottoposte ad indagini per la valutazione del contenuto in minerali fibrosi, ma manca di precise disposizioni per la regolamentazione di queste indagini. Tale decreto costituisce l’unico testo normativo che si occupa di amianto proveniente da fonte naturale, ma limitatamente ad attività estrattive. Il rischio che si può generare dalla movimentazione di rocce contenenti minerali fibrosi, però, non è legato soltanto ad attività estrattive, ma anche a scavi e sbancamenti per la costruzione di infrastrutture come strade e gallerie.
Gli affioramenti ofiolitici degli Appennini costituiscono aree in cui sono presenti rocce che possono contenere minerali fibrosi, anche classificati come amianto, che possono avere rilevanza ambientale. Pertanto da diversi anni tali rocce sono oggetto di studio, sia dal punto di vista geologico che sanitario, per riuscire a caratterizzare le matrici ambientali al fine di fornire un contributo alla conoscenza di questi ambienti e definirne, se sussiste, il rischio associato ad esse.
Il presente progetto di ricerca si inserisce nel quadro delle problematiche legate alla presenza nell’ambiente di rocce contenenti minerali fibrosi (classificati amianto e non) e intende proporre un approccio alternativo, a quello disposto dalla normativa, per la valutazione del contenuto in minerali fibrosi nella roccia. Il progetto si propone di studiare le caratteristiche peculiari e distintive di alcuni affioramenti ofiolitici dell’Appennino Settentrionale in cui sono naturalmente presenti minerali fibrosi, effettuando indagini di terreno e di laboratorio, allo scopo di determinare l’eventuale presenza e quindi la natura, la quantità e la distribuzione nello spazio dei minerali fibrosi, sia classificati come amianto che non. I casi di studio su cui è basato il lavoro di ricerca sono cave dismesse aperte in serpentiniti.
Le finalità del lavoro svolto nei siti di studio sono le seguenti:
• valutazione della presenza di minerali fibrosi sia classificati che non classificati amianto;
•identificazione dei minerali fibrosi e determinazione della loro giacitura all’interno dell’ammasso roccioso;
•analisi degli elementi utili a fornire i presupposti per delineare una procedura che permetta una corretta quantificazione del materiale potenzialmente pericoloso presente in affioramenti ofiolitici;
•utilizzo e verifica critica di metodi e tecniche analitiche in grado di fornire supporto e validazione nella quantificazione dei minerali fibrosi.
L’obiettivo finale del presente lavoro è quello di delineare una procedura di indagine che permetta un’adeguata e corretta caratterizzazione geologica di siti in cui sono presenti minerali dannosi per la salute, utile ad ulteriori valutazioni in merito ai rischi generabili da eventuali perturbazioni di carattere ambientale o antropico. La necessità di elaborare tale procedura nasce dall’evidente inadeguatezza della normativa in vigore e dall’esigenza di conoscere approfonditamente gli ambienti che possono costituire un rischio per la salute in presenza di recettori sensibili.
Sono state studiate tre cave dismesse ubicate nel territorio della Regione Toscana e aperte in affioramenti ofiolitici appartenenti a tre contesti tettonici differenti dell’Appennino Settentrionale. Nelle aree di studio è stata impostata un’indagine multi-scala per determinate la presenza, la natura, la distribuzione nello spazio e la quantità di minerali fibrosi eventualmente contenuti nelle rocce.
Le indagini di terreno hanno permesso di identificare e localizzare i litotipi presenti in ciascun sito, di individuare alla mesoscala le mineralizzazioni aventi morfologia fibrosa e definire la giacitura di entrambi gli elementi. Nelle aree di studio le serpentiniti sono il litotipo dominante, ma in due casi su tre, sono presenti altri litotipi (gabbri, rodingiti e cataclasiti) a cui sono associate mineralizzazioni fibrose di interesse ambientale. Pertanto è stato effettuato un campionamento ragionato in base alla varietà dei litotipi, alla tipologia di vene, mineralizzazioni e discontinuità, in modo da caratterizzare tutti gli elementi rappresentativi delle aree esaminate.
I campioni prelevati sono stati sottoposti ad indagini petrografiche mineralogiche. L’osservazione delle sezioni sottili dei campioni delle rocce ha permesso, non solo di studiare la microstruttura e la composizione, ma anche di determinare la presenza di fasi fibrose. Infatti, non in tutti i litotipi presenti nelle cave studiate, sono presenti fasi minerali caratterizzate da morfologia fibrosa.
Le indagini di laboratorio effettuate sono state molteplici. L’impostazione di tali indagini è stata modificata durante l’avanzamento dei lavori; infatti, sulla base dei risultati parziali, sono state selezionate quelle tecniche maggiormente immediate, di facile accesso per gli operatori del settore. Tali indagini hanno permesso di identificare i minerali aventi morfologia fibrosa e quindi di localizzarne la fonte nei siti di studio.
Le tre cave esaminate versano in differenti condizioni di conservazione e presentano differenze in merito alla tipologia e alla giacitura dei minerali fibrosi.
Nella cava di Pomaia sono stati individuati serpentiniti, gabbri e cataclasiti. Allo scopo di determinare la presenza e la natura di minerali fibrosi, sono state usate diverse tecniche analitiche (microscopia ottica, XRD, SEM-EDS, spettroscopia micro-Raman). Sono stati identificati: crisotilo, minerale considerato amianto, e antigorite e sepiolite, minerali non normati, ma ugualmente pericolosi per la salute. Il crisotilo è presente nelle serpentiniti in vene di spessore da sub-millimetrico a centimetrico e nelle cataclasiti, sia nei clasti di serpentinite che, diffusamente, nella matrice; l’antigorite è presente in vene nelle serpentiniti in prossimità delle zone di taglio; la sepiolite nelle cataclasiti e al contatto tra le serpentiniti massive e le fasce cataclastiche.
Nella cava di Sasso Cinturino i litotipi identificati sono: serpentiniti e rodingiti. Le serpentiniti sono estremamente tettonizzate e presentano differenti tipologie di vene, sia di carattere fibroso che massivo, i cui rapporti reciproci sono rilevabili anche alla scala dell’affioramento. I minerali fibrosi identificati, tramite analisi di laboratorio (XRD e SEM-EDS), sono crisotilo e actinolite-tremolite, entrambi considerati amianto. Il crisotilo è presente nelle serpentiniti in vene di spessore variabile da sub-millimetrico a millimetriche, mentre la tremolite-actinolite è presente in vene, che si sovraimpongono a quelle di serpentino, di dimensioni centimetriche.
Nella cava di Monte Fico sono presenti quasi esclusivamente serpentiniti fratturate, caratterizzate dalla presenza di vene e spalmature costituite da fasi minerali attribuibili al serpentino. Dalle analisi in diffrattometria a raggi X la maggior parte delle vene sono risultate essere composte da crisotilo, minerale classificato amianto. Tali vene sono maggiormente frequenti a ridosso delle zone di taglio.
Identificate le fasi fibrose, limitatamente alle serpentiniti, è stata circoscritta la loro localizzazione tramite l’analisi di immagine. Per la cava di Pomaia è stato possibile impostare quest’analisi a più scale. Mentre negli altri siti, a causa delle condizioni degli affioramenti non è stato possibile effettuare l’analisi d’immagine alla mesoscala. La localizzazione degli elementi potenzialmente fonte di fibre minerali è stata circoscritta con l’ausilio dell’analisi d’immagine alla microscala, ovvero effettuata su scansioni di sezioni sottili.
Dai risultati della caratterizzazione dei tre affioramenti ofiolitici, appartenenti a diversi contesti tettonici, si evince come questi siti, che la normativa in vigore considererebbe omogenei rispetto al litotipo dominante, presentano associazioni litologiche differenti, a loro volta contenenti minerali fibrosi di diversa natura e con diverse giaciture. È possibile quindi ipotizzare una relazione tra il contesto geologico-strutturale e le caratteristiche delle mineralizzazioni fibrose; tale ipotesi va verificata a scala regionale e con ulteriori analisi di terreno e di laboratorio. Sono stati rilevati sia minerali fibrosi classificati amianto, che minerali fibrosi non regolamentati, aspetto importante, perché evidenzia i limiti della definizione legislativa di amianto.
I risultati della quantificazione degli elementi che, in base alle analisi mineralogiche, sono risultati sede di minerali fibrosi, sono paragonabili in tutti i siti di studio; le percentuali risultano variabili dal 20% al 64% e, pertanto, elevate nei valori massimi. Le elevate percentuali di materiale potenzialmente fonte di fibre dimostrano come la normativa necessiti di regolamentare una procedura di studio preliminare alle valutazioni che prevede.
La procedura impostata nel presente lavoro, finalizzata all’identificazione e alla quantificazione preliminare dei minerali fibrosi in ammassi rocciosi, si può sintetizzare come di seguito:
•lavoro di terreno:
-individuazione dei litotipi,
-individuazione delle fasi fibrose alla mesoscala,
-misurazione della giacitura degli elementi presenti,
-campionamento rappresentativo;
•caratterizzazione mineralogica e petrografica:
-studio delle sezioni sottili dei campioni di roccia,
-analisi mineralogiche integrate per l’identificazione delle fasi fibrose;
•quantificazione delle fasi potenzialmente fonti di fibre:
-analisi di immagine a più scale.
Fondamentali, per effettuare una corretta caratterizzazione dei siti oggetto di studio, sono:
•un campionamento rappresentativo dei litotipi presenti nel sito di studio,
•l’analisi dell’affioramento a differenti scale,
•l’identificazione dei minerali fibrosi,
•l’opportuna integrazione e selezione delle metodologie di analisi utilizzate ai fini di una corretta stima del materiale in grado di rilasciare fibre.
L’integrazione dei dati ottenuti ha permesso di determinare la quantità di materiale potenzialmente in grado di rilasciare fibre minerali tramite l’analisi d’immagine. Ma il metodo utilizzato presenta dei limiti legati sia al fatto che la quantificazione è frutto di una valutazione in due dimensioni, che alla difficile riproducibilità. Infatti non sempre è possibile disporre di siti che presentano esposizioni di roccia su cui si può operare un’analisi di immagine. I risultati della quantificazione risultano comunque validi per una caratterizzazione preliminare degli ammassi rocciosi, ma hanno significato se validati da analisi mineralogiche.
Un altro limite è costituito dall’accessibilità, sia economica che tecnica, di strumenti di indagine per gli operatori del settore. Pertanto la tecnica maggiormente utilizzata per le analisi mineralogiche è stata la diffrattometria a raggi X; tale tecnica risulta tra le più utilizzate e accessibili e, permette un’identificazione efficace e relativamente economica delle fasi minerali che presentano criticità dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente e la salute.
L’approccio metodologico utilizzato è risultato idoneo a caratterizzare il contenuto in amianto di un ammasso roccioso. Il confronto con la normativa mette in evidenza come questa sia carente e necessiti di dotarsi di una procedura maggiormente dettagliata, soprattutto ai fini di un corretto campionamento finalizzato alla valutazione dell’effettivo contenuto in amianto di una roccia (indice di rilascio). Se la normativa, nel disporre i criteri per le indagini di terreno, considera le rocce oggetto di studio dei corpi omogenei, il presente lavoro dimostra come sia importante identificare e localizzare tutti gli elementi di variabilità, soprattutto per eseguire un adeguato campionamento.
Da ciò si può dedurre come l’unico testo normativo presente nel nostro paese che si occupa, anche se limitatamente all’ambito di attività estrattive, della gestione di ambienti caratterizzati da rocce contenenti amianto, sia inadeguato alla valutazione del rischio associato alla mobilitazione di fibre asbestiformi provenienti da sorgenti naturali. Come già evidenziato nel presente lavoro, valutare adeguatamente il contenuto di minerali fibrosi e la quantità degli stessi in grado di essere potenzialmente immessa nell’ambiente, non può esimersi dall’effettuare uno studio preliminare e di dettaglio che si occupi della geologia di un sito a rischio. La normativa italiana e, nello specifico, il già citato D.M. 14 Maggio 1996, manca di una procedura efficiente che definisca una tale tipologia di studio.
L’approccio metodologico delineato in questo lavoro intende essere un contributo per migliorare la regolamentazione nella gestione di siti in cui sono presenti rocce contenenti minerali pericolosi per la salute, in quanto non andrebbero regolamentati solo i siti interessati da attività di carattere estrattivo, ma anche tutti quei siti interessati da attività di natura infrastrutturale o interventi di ripristino e protezione ambientale di zone degradate (cave, affioramenti, ecc.) in cui sono presenti rocce contenenti minerali fibrosi.
Caratterizzare preliminarmente dal punto di vista geologico aree che presentano affioramenti di roccia contenente minerali fibrosi, come per le ofioliti, è molto utile per la loro gestione, in presenza o meno di perturbazioni di origine antropica, ed è un importante ausilio, non solo per una valutazione della pericolosità di ambienti in cui sono presenti minerali dannosi per la salute, ma anche per un’oculata pianificazione dell’uso del territorio.
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