Thesis etd-02242016-230011 |
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Thesis type
Tesi di laurea specialistica LC6
Author
BACCI, MARCO
URN
etd-02242016-230011
Thesis title
Correlati clinici del lutto: confronto fra pazienti con Lutto Complicato sopravvissuti al suicidio di una persona cara rispetto ad altra causa di morte
Department
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Course of study
MEDICINA E CHIRURGIA
Supervisors
relatore Dell'Osso, Liliana
Keywords
- ICG
- lutto complicato
- sopravvissuti al lutto
- suicidio di una persona cara
Graduation session start date
15/03/2016
Availability
Withheld
Release date
15/03/2086
Summary
La morte rappresenta un evento ineluttabile, universale: ognuno di noi, nel corso della propria vita, si ritroverà ad affrontare il dolore derivato dalla perdita della persona amata e i cambiamenti che questa morte determina. Sebbene costituisca un evento universale, la reazione che ne consegue è assolutamente eterogenea e diversa per ogni essere umano, e può essere in grado di compromettere in modo significativo il benessere psicofisico e sociale (Heeke et al., 2015; Latham et al., 2004; Onrust et al., 2007; Shear, 2012; Stroebe et al., 1993a). Definendo col termine lutto il complesso delle risposte emozionali, cognitive, funzionali e comportamentali in risposta alla morte del proprio caro osserviamo che, per quanto doloroso, questo rappresenta una risposta fisiologica, istintiva, che solitamente, col trascorrere del tempo, si riduce in intensità e pervasività, parallelamente alla progressiva riorganizzazione emotiva e cognitiva dell’individuo verso la consapevolezza che la persona amata non tornerà più (Shear et al., 2013). Normalmente la risoluzione del lutto si esplica nell’arco di 6-12 mesi, ma in un 7-10% dei soggetti perdura, con i sintomi della fase acuta amplificati, cristallizzati e invalidanti anche per diversi anni, andando a costituire un quadro sintomatologico che è stato recentemente definito Lutto complicato (Complicated Grief – CG) (Kersting et al., 2011; Shear, 2012; Shear et al., 2013). Questo quadro clinico è stato correlato ad un aumento dei tassi di disabilità, uso di farmaci, mortalità e morbilità sia fisica che psichiatrica, e un elevato rischio di suicidio (Anonymous, 1996; Prigerson et al., 1995a; Schaefer et al., 1995; Shear, 2012; Stroebe et al., 2007b).
Un numero crescente di studi negli ultimi anni è stato incentrato sull’identificazione delle caratteristiche cliniche, sui correlati neurobiologici e sul trattamento del CG suggerendone, con evidenze sempre più numerose, un’autonomia nosografica rispetto a reazioni psicopatologiche che possono essere altresì scatenate da eventi di lutto quali il Disturbo Depressivo Maggiore e il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).
Il Lutto Complicato solo recentemente è diventato un’entità nosografica autonoma (Association, 2000), e ci sono evidenze sempre più numerose che permettono la diagnosi differenziale con altri disturbi a seguito della perdita della persona cara, come il PTSD ed il DDM (Dell'Osso et al., 2012; Shear et al., 2011b).
Lo strumento riconosciuto, ed utilizzato, a livello internazionale per porre la diagnosi di CG è l’Inventory of Complicated Grief (ICG, Prigerson et al., 1995), la cui traduzione nella lingua italiana, è stata recentemente convalidata sullo studio di 229 soggetti in lutto (Carmassi et al., 2014). L’ICG appare essere uno strumento di facile applicazione ed uso per valutare il CG. La soglia per tale diagnosi, nonostante inizialmente fosse posta a 25, recentemente è stata innalzata a ≥30.
Alla luce di questi studi oggi il DSM-5 annovera nella sezione III, ovvero all’interno della sezione dei disturbi in cui sono necessari ulteriori studi, il Disturbo da Lutto Persistente Complicato per individuare le reazioni di lutto patologico. Il DSM-IV-TR, infatti, non contemplava una diagnosi di questo tipo: in seguito ad un lutto, infatti, prevedeva essenzialmente la possibilità di sviluppare o un Episodio Depressivo Maggiore (EDM) o un quadro post-traumatico. Nella definizione di Depressione Maggiore, in particolare, il DSM-IV indicava che: “dopo la perdita di una persona amata, anche se i sintomi depressivi sono sufficienti per durata e per numero a soddisfare i criteri per EDM, essi dovrebbero essere attribuiti al Lutto”. Quindi la diagnosi di Depressione Maggiore dopo un evento di lutto veniva presa in considerazione solo se si verificavano anche specifici sintomi aggiuntivi, riassunti nel criterio E, quali: una durata equivalente o maggiore a due mesi, una compromissione marcata del funzionamento ed ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio. (American Psychiatric et al., 2000). Nel Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) viene minacciata la propria integrità fisica, a differenza del lutto, e ciò provoca un’intensa paura, ansia e attiva una reazione di costante vigilanza. L’evento è circoscritto nello spazio e nel tempo, e la risposta adattativa richiede una rielaborazione della minaccia subita ed una rivalutazione delle aspettative relative al pericolo e alla sicurezza. La morte di una persona cara, invece, cambia in modo indelebile e per sempre la vita dell’individuo: questo instaura una risposta adattativa in cui il soggetto deve assimilare la perdita e intraprendere un percorso di vita in cui non sarà presente la persona amata.
I fattori di rischio per CG sono stati individuati in: modalità di decesso, implicazioni socio-economiche, le caratteristiche personologiche del soggetto, il supporto familiare e sociale dell’individuo.
La decisione di togliersi la vita è incomprensibile per la gran parte delle persone. Anche se sottostimato, si calcola che avvengano ogni anno almeno un milione di morti per suicidio.
È stato stimato che almeno una persona su quattro conosca qualcuno che ha tentato il suicidio e che ogni evento di suicidio coinvolga almeno sei altre persone in qualche modo legate affettivamente al suicida, anche se le persone direttamente coinvolte possono essere molte di più (Anonymous, 2009; Shneidman et al., 1973). Molti studi affermano che la vita di queste persone cambi in modo permanente.
Risulta chiaro, quindi, come il suicidio del caro possa rappresentare un importante fattore di rischio per lo sviluppo di CG. I pochi studi di prevalenza hanno dimostrato che il CG si sviluppa in circa il 20%-40% dei sopravvissuti al suicidio, quindi circa una percentuale due volte maggiore, rispetto a coloro che sperimentano il lutto per la morte del proprio caro avvenuta cause naturali (Shear et al., 2014). Un crescente numero di studi si è interessato a differenziare il lutto per suicidio rispetto alle altre cause di morte ma i risultati sono stati controversi: da una parte sembra che differenzi qualitativamente con una maggiore espressione di sentimenti quali rabbia, colpa, rifiuto, vergogna e una maggior morbilità psichiatrica e fisica (Cvinar, 2005; Groot et al., 2006; Harwood et al., 2002; Tal Young et al., 2012); dall’altra sembra simile alla reazione da lutto dovuta a cause improvvise e violente, tanto da indirizzare alcuni autori a ricercare la morte improvvisa in generale come causa di una possibile associazione con una reazione post-traumatica e del possibile sviluppo del Lutto complicato (Begley et al., 2007; Dyregrov et al., 2003).
Lo scopo di questa tesi, alla base delle considerazioni descritte sopra, è quello di comparare, sulla base del profilo sintomatologico correlato al lutto e indagato mediante l’Inventory of Complicated Grief (ICG), i soggetti sopravvissuti al suicidio di una persona cara rispetto ai soggetti che abbiano perso un caro per qualsiasi causa di morte eccetto il suicidio. L’obiettivo di questa tesi è inoltre di confrontare, nei soggetti dei due gruppi che presentano una diagnosi di CG (ICG≥30), il profilo sintomatologico qui riportato.
Il campione reclutato nel presente studio ha incluso 214 adulti che, al momento del reclutamento, sperimentavano un lutto di una persona cara da almeno 6 mesi prima, in accordo con i recenti studi relativi al profilo sintomatologico del CG (H. G. Prigerson et al., 2009; Shear et al., 2011b), escludendo però coloro che presentavano disturbi neurologici e/o psicotici e/o cognitivi che impedivano la compilazione del questionario ICG.
Il campione è stato suddiviso in due gruppi di soggetti in base alla causa che ha portato al decesso del caro: 107 soggetti sopravvissuti al suicidio (SS) e 107 soggetti che avevano perso la persona amata per altre cause di morte eccetto il suicidio (noSS). Dicotomizzando i campioni per il grado di parentela, stretta (coniugi, genitori, figli e germani) e non stretta (nonni, nipoti, altro parente, altro significativo partner/fidanzato/amico/altro), i primi erano 98 (91%) nel gruppo SS e 38 (37%) nel gruppo noSS; mentre i secondi 9 (9%) nel gruppo SS e 66 (63%) nel gruppo noSS. Andando a esaminare il punteggio medio all’ICG, abbiamo rilevato come il gruppo noSS abbia ottenuto un punteggio di 13,17±14,47, mentre il gruppo SS un punteggio di 30,41±13,36 (p<.001). In particolare le donne hanno un punteggio medio significativamente più alto dei maschi solo nel gruppo SS (36.08 ± 11.92 vs 18.24 ± 6.31, p<.001); mentre nel gruppo noSS non rileviamo una differenza statisticamente significativa (14.70 ± 15.01 vs 10.14±12.97, p=.124).
In questi due gruppi, è stato ricercato il sottogruppo dei pazienti che presentassero diagnosi di CG secondo un punteggio all’ICG≥30, con il risultato di: 48 pazienti con CG nel primo gruppo (CG-SS) e 26 nel secondo (CG-noSS). Abbiamo quindi valutato, sia nei campioni totali che nei sottogruppi con diagnosi di CG, la percentuale di risposta ai singoli items della ICG per confrontare gli eventuali profili di risposta sintomatologica. Per far ciò abbiamo dicotomizzato le cinque tipologie di risposta all’ICG (da 0 a 4) di ognuno dei 19 items considerando come 0, le risposte da 0 a 2, e 1, le risposte 3 e 4. Osservando i singoli punteggi, è interessante notare come i pazienti con CG nel grupo no-SS, mostrasse una maggior predominanza nei sentimenti di invidia, rispetto al gruppo CG-SS. Il gruppo CG-SS, invece mostra un’inclinazione maggiore a senimenti di rifiuto, rabbia, vergogna, incredulità, sfiducia, risentimento, rispetto al gruppo CG-noSS.
Nel nostro studio è inoltre emerso, mediante un’analisi three-way ANOVA, come il genere, e il grado di relazione hanno un ruolo sulla possibile positività all’ICG nel campione dei sopravvissuti al suicidio, mentre non sono emerse differenze significative nel gruppo no-SS, in accordo con i dati della letteratura.
Un numero crescente di studi negli ultimi anni è stato incentrato sull’identificazione delle caratteristiche cliniche, sui correlati neurobiologici e sul trattamento del CG suggerendone, con evidenze sempre più numerose, un’autonomia nosografica rispetto a reazioni psicopatologiche che possono essere altresì scatenate da eventi di lutto quali il Disturbo Depressivo Maggiore e il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).
Il Lutto Complicato solo recentemente è diventato un’entità nosografica autonoma (Association, 2000), e ci sono evidenze sempre più numerose che permettono la diagnosi differenziale con altri disturbi a seguito della perdita della persona cara, come il PTSD ed il DDM (Dell'Osso et al., 2012; Shear et al., 2011b).
Lo strumento riconosciuto, ed utilizzato, a livello internazionale per porre la diagnosi di CG è l’Inventory of Complicated Grief (ICG, Prigerson et al., 1995), la cui traduzione nella lingua italiana, è stata recentemente convalidata sullo studio di 229 soggetti in lutto (Carmassi et al., 2014). L’ICG appare essere uno strumento di facile applicazione ed uso per valutare il CG. La soglia per tale diagnosi, nonostante inizialmente fosse posta a 25, recentemente è stata innalzata a ≥30.
Alla luce di questi studi oggi il DSM-5 annovera nella sezione III, ovvero all’interno della sezione dei disturbi in cui sono necessari ulteriori studi, il Disturbo da Lutto Persistente Complicato per individuare le reazioni di lutto patologico. Il DSM-IV-TR, infatti, non contemplava una diagnosi di questo tipo: in seguito ad un lutto, infatti, prevedeva essenzialmente la possibilità di sviluppare o un Episodio Depressivo Maggiore (EDM) o un quadro post-traumatico. Nella definizione di Depressione Maggiore, in particolare, il DSM-IV indicava che: “dopo la perdita di una persona amata, anche se i sintomi depressivi sono sufficienti per durata e per numero a soddisfare i criteri per EDM, essi dovrebbero essere attribuiti al Lutto”. Quindi la diagnosi di Depressione Maggiore dopo un evento di lutto veniva presa in considerazione solo se si verificavano anche specifici sintomi aggiuntivi, riassunti nel criterio E, quali: una durata equivalente o maggiore a due mesi, una compromissione marcata del funzionamento ed ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio. (American Psychiatric et al., 2000). Nel Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) viene minacciata la propria integrità fisica, a differenza del lutto, e ciò provoca un’intensa paura, ansia e attiva una reazione di costante vigilanza. L’evento è circoscritto nello spazio e nel tempo, e la risposta adattativa richiede una rielaborazione della minaccia subita ed una rivalutazione delle aspettative relative al pericolo e alla sicurezza. La morte di una persona cara, invece, cambia in modo indelebile e per sempre la vita dell’individuo: questo instaura una risposta adattativa in cui il soggetto deve assimilare la perdita e intraprendere un percorso di vita in cui non sarà presente la persona amata.
I fattori di rischio per CG sono stati individuati in: modalità di decesso, implicazioni socio-economiche, le caratteristiche personologiche del soggetto, il supporto familiare e sociale dell’individuo.
La decisione di togliersi la vita è incomprensibile per la gran parte delle persone. Anche se sottostimato, si calcola che avvengano ogni anno almeno un milione di morti per suicidio.
È stato stimato che almeno una persona su quattro conosca qualcuno che ha tentato il suicidio e che ogni evento di suicidio coinvolga almeno sei altre persone in qualche modo legate affettivamente al suicida, anche se le persone direttamente coinvolte possono essere molte di più (Anonymous, 2009; Shneidman et al., 1973). Molti studi affermano che la vita di queste persone cambi in modo permanente.
Risulta chiaro, quindi, come il suicidio del caro possa rappresentare un importante fattore di rischio per lo sviluppo di CG. I pochi studi di prevalenza hanno dimostrato che il CG si sviluppa in circa il 20%-40% dei sopravvissuti al suicidio, quindi circa una percentuale due volte maggiore, rispetto a coloro che sperimentano il lutto per la morte del proprio caro avvenuta cause naturali (Shear et al., 2014). Un crescente numero di studi si è interessato a differenziare il lutto per suicidio rispetto alle altre cause di morte ma i risultati sono stati controversi: da una parte sembra che differenzi qualitativamente con una maggiore espressione di sentimenti quali rabbia, colpa, rifiuto, vergogna e una maggior morbilità psichiatrica e fisica (Cvinar, 2005; Groot et al., 2006; Harwood et al., 2002; Tal Young et al., 2012); dall’altra sembra simile alla reazione da lutto dovuta a cause improvvise e violente, tanto da indirizzare alcuni autori a ricercare la morte improvvisa in generale come causa di una possibile associazione con una reazione post-traumatica e del possibile sviluppo del Lutto complicato (Begley et al., 2007; Dyregrov et al., 2003).
Lo scopo di questa tesi, alla base delle considerazioni descritte sopra, è quello di comparare, sulla base del profilo sintomatologico correlato al lutto e indagato mediante l’Inventory of Complicated Grief (ICG), i soggetti sopravvissuti al suicidio di una persona cara rispetto ai soggetti che abbiano perso un caro per qualsiasi causa di morte eccetto il suicidio. L’obiettivo di questa tesi è inoltre di confrontare, nei soggetti dei due gruppi che presentano una diagnosi di CG (ICG≥30), il profilo sintomatologico qui riportato.
Il campione reclutato nel presente studio ha incluso 214 adulti che, al momento del reclutamento, sperimentavano un lutto di una persona cara da almeno 6 mesi prima, in accordo con i recenti studi relativi al profilo sintomatologico del CG (H. G. Prigerson et al., 2009; Shear et al., 2011b), escludendo però coloro che presentavano disturbi neurologici e/o psicotici e/o cognitivi che impedivano la compilazione del questionario ICG.
Il campione è stato suddiviso in due gruppi di soggetti in base alla causa che ha portato al decesso del caro: 107 soggetti sopravvissuti al suicidio (SS) e 107 soggetti che avevano perso la persona amata per altre cause di morte eccetto il suicidio (noSS). Dicotomizzando i campioni per il grado di parentela, stretta (coniugi, genitori, figli e germani) e non stretta (nonni, nipoti, altro parente, altro significativo partner/fidanzato/amico/altro), i primi erano 98 (91%) nel gruppo SS e 38 (37%) nel gruppo noSS; mentre i secondi 9 (9%) nel gruppo SS e 66 (63%) nel gruppo noSS. Andando a esaminare il punteggio medio all’ICG, abbiamo rilevato come il gruppo noSS abbia ottenuto un punteggio di 13,17±14,47, mentre il gruppo SS un punteggio di 30,41±13,36 (p<.001). In particolare le donne hanno un punteggio medio significativamente più alto dei maschi solo nel gruppo SS (36.08 ± 11.92 vs 18.24 ± 6.31, p<.001); mentre nel gruppo noSS non rileviamo una differenza statisticamente significativa (14.70 ± 15.01 vs 10.14±12.97, p=.124).
In questi due gruppi, è stato ricercato il sottogruppo dei pazienti che presentassero diagnosi di CG secondo un punteggio all’ICG≥30, con il risultato di: 48 pazienti con CG nel primo gruppo (CG-SS) e 26 nel secondo (CG-noSS). Abbiamo quindi valutato, sia nei campioni totali che nei sottogruppi con diagnosi di CG, la percentuale di risposta ai singoli items della ICG per confrontare gli eventuali profili di risposta sintomatologica. Per far ciò abbiamo dicotomizzato le cinque tipologie di risposta all’ICG (da 0 a 4) di ognuno dei 19 items considerando come 0, le risposte da 0 a 2, e 1, le risposte 3 e 4. Osservando i singoli punteggi, è interessante notare come i pazienti con CG nel grupo no-SS, mostrasse una maggior predominanza nei sentimenti di invidia, rispetto al gruppo CG-SS. Il gruppo CG-SS, invece mostra un’inclinazione maggiore a senimenti di rifiuto, rabbia, vergogna, incredulità, sfiducia, risentimento, rispetto al gruppo CG-noSS.
Nel nostro studio è inoltre emerso, mediante un’analisi three-way ANOVA, come il genere, e il grado di relazione hanno un ruolo sulla possibile positività all’ICG nel campione dei sopravvissuti al suicidio, mentre non sono emerse differenze significative nel gruppo no-SS, in accordo con i dati della letteratura.
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