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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-02242016-110224


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
SALERNO, TINA
URN
etd-02242016-110224
Titolo
TERAPIA DI MANTENIMENTO CON BEVACIZUMAB OPPURE BEVACIZUMAB E CHEMIOTERAPIA METRONOMICA DOPO TRATTAMENTO DI INDUZIONE CON FOLFOXIRI + BEVACIZUMAB IN PAZIENTI AFFETTI DA CARCINOMA DEL COLON-RETTO METASTATICO: RISULTATI PRELIMINARI DELLO STUDIO DI FASE II RANDOMIZZATO MOMA
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof. Falcone, Alfredo
Parole chiave
  • CARCINOMA DEL COLON-RETTO METASTATICO
  • TERAPIA DI MANTENIMENTO
Data inizio appello
15/03/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
Negli ultimi dieci anni la sopravvivenza mediana dei pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico (mCRC) è notevolmente migliorata, passando da durate intorno all’anno a circa 30 mesi, grazie all’introduzione di tecniche chirurgiche innovative, ma soprattutto grazie all’incremento delle possibili strategie terapeutiche da utilizzare in prima linea. Una comune scelta terapeutica consiste nell’associazione del farmaco anti-angiogenico bevacizumab, un anticorpo monoclonale che inibisce il fattore di crescita vascolo-endoteliale (VEGF), con un regime chemioterapico. Lo studio TRIBE ha recentemente dimostrato come in pazienti ben selezionati dal punto di vista clinico l’intensificazione del regime chemioterapico nella tripletta FOLFOXIRI in associazione a bevacizumab, migliori la sopravvivenza dei pazienti con mCRC rispetto al trattamento standard con FOLFIRI e bevacizumab.
La durata ottimale del trattamento di prima linea è oggetto di dibattito. Se infatti la prosecuzione del trattamento nella sua interezza fino al momento della progressione di malattia, ovvero finchè si dimostrava efficace, era la strategia proposta in tutti gli studi sull’uso della chemioterapia, l’introduzione dei farmaci biologici ha reso attuale il concetto di mantenimento. Diversi studi hanno quindi studiato diverse strategie di depotenziamento del trattamento dopo una fase iniziale di induzione più intensiva, con lo scopo di consolidare i risultati ottenuti nella prima fase e di prolungare il più possibile l’intervallo di tempo tra la fine del trattamento di induzione e la progressione di malattia. Intervalli liberi da terapia o periodi di trattamento meno intenso consentono di assicurare meno tossicità e migliore qualità di vita.

Sebbene oggi l’alternanza di periodi ‘chemioterapia free’ o chemioterapia a dosaggi ridotti, dopo una serie di cicli pre-pianificati di induzione, sia considerata sempre più un’opzione fattibile e valida in alcuni pazienti, resta aperto l’interrogativo su quale sia il “miglior” mantenimento da proporre dopo una fase di induzione con chemioterapia e bevacizumab, ovvero quale sia l’effettivo beneficio dalla prosecuzione del solo farmaco antiangiogenico o di questo in combinazione con una chemioterapia alleggerita.

A tale proposito, la chemioterapia metronomica (metroCT), ovvero la somministrazione costante di basse dosi di chemioterapia, in antitesi al concetto dei cicli di trattamento convenzionali, potrebbe rappresentare una strategia vincente, in considerazione dell’effetto antiangiogenico sinergico con quello di bevacizumab. Nell’ambito del carcinoma colorettale alcune evidenze preliminari supportano l’utilizzo di basse dosi di fluoropirimidine in associazione a ciclofosfamide.

Sulla base di tali premesse è stato disegnato lo studio di fase II randomizzato MOMA al fine di confrontare l’efficacia della terapia di mantenimento con solo bevacizumab o bevacizumab più chemioterapia metronomica a seguito di una fase di induzione di quattro mesi con FOLFOXIRI più bevacizumab. Lo studio ha coinvolto 16 diverse Unità di Oncologia italiane, che hanno arruolato 232 pazienti, randomizzati a ricevere un trattamento di mantenimento con bevacizumab da solo (braccio A) o bevacizumab più chemioterapia metronomica (capecitabina e ciclofosfamide, braccio B) dopo 8 cicli di chemioterapia di induzione secondo il regime FOLFOXIRI più bevacizumab. Il trattamento di mantenimento doveva essere continuato fino a progressione, tossicità inaccettabile o rifiuto del paziente. L’endpoint primario dello studio era la Sopravvivenza libera da progressione (PFS).
Tra Maggio 2012 e Marzo 2015, 232 pazienti sono stati randomizzati, 118 nel braccio A e 114 nel braccio B. Ad oggi, l’evento di progressione è stato registrato in 88 pazienti nel braccio A e 85 nel braccio B.
I valori mediani di PFS sono stati di 9,4 mesi e 10,4 mesi per il braccio A e B rispettivamente (HR: 0.91 [0.67-1.23] p=0.534), pertanto l’endpoint primario dello studio non è stato raggiunto. I risultati di attività e safety del regime FOLFOXIRI+bevacizumab sono risultati in linea con quanto precedentemente riportato nello studio TRIBE. In particolare, sui 227 pazienti rivalutati per la risposta (115 nel braccio A e 112 nel braccio B), si è osservato un tasso di risposte obiettive secondo i criteri RECIST del 62% (68% nel braccio A e 56% nel braccio B), con un tasso di controllo di malattia del 91% (96% nel braccio A e 85% nel braccio B). Il 60% dei pazienti (61% e 59% nei due bracci) ha inoltre riportato una risposta precoce, definita come riduzione di almeno il 20% dei diametri delle lesioni target alla prima rivalutazione di malattia, eseguita dopo 8 settimane di trattamento.
In termini di tossicità, gli eventi avversi di grado 3 e 4 più frequenti sono risultati la neutropenia (incidenza complessiva: 53%), con un’incidenza tuttavia limitata di neutropenia febbrile (9%) e la diarrea (12.5%). Basse percentuali di pazienti hanno presentato stomatite (3%), eventi tromboembolici (4%) o ipertensione (3%).

In conclusione, i dati preliminari dello studio MOMA non mettono in evidenza una differenza statisticamente significativa in termini di PFS tra i due bracci di trattamento. Pertanto, la chemioterapia metronomica con capecitabina e ciclofosfamide in corso di mantenimento non sembra aggiungere un guadagno in PFS. Sui risultati relativi alla fase di induzione del trattamento con FOLFOXIRI e bevacizumab forniscono un’ulteriore dimostrazione dopo lo studio di fase III italiano TRIBE, e le fasi II tedesca e statunitense OPAL e STEAM, dell’attività e fattibilità del regime FOLFOXIRI+bevacizumab in pazienti clinicamente selezionati.
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