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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-02242013-184833


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
ROCCHI, VALENTINA
URN
etd-02242013-184833
Titolo
L'economia nonviolenta tra utopia e realtà: l'esempio della Comunità dell'Arca
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
SCIENZE PER LA PACE: COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E TRASFORMAZIONE DEI CONFLITTI
Relatori
relatore Dott. Altieri, Rocco
controrelatore Prof.ssa Ruiz, Maria Laura
Parole chiave
  • lavoro manuale
  • economia gandhiana
  • nonviolenza
  • disobbedienza civile
  • ogm
  • consumatore
  • rivoluzione silenziosa
  • povertà
  • miseria
Data inizio appello
14/03/2013
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
14/03/2053
Riassunto
L’idea di questa tesi nasce dalla mia esperienza di tirocinio presso la Comunità dell’Arca, una realtà i cui valori e stili di vita interpellano, inevitabilmente, l’economia dominante e i suoi presupposti. La condivisione, la semplicità di vita, l’autoproduzione, il lavoro, sono alcune delle tematiche sulle quali ho avuto modo di riflettere durante i sei mesi di Erasmus Placement trascorsi in Francia.
Cos’è, dunque, la Comunità dell’Arca? Questa realtà è nata dall’idea di un filosofo italiano, Lanza Del Vasto, diventato discepolo del Mahatma Gandhi durante uno dei suoi pellegrinaggi in India e da lui soprannominato Shantidas, servitore di pace. Estremamente innovativo e radicale, il pensiero di questo personaggio ha ispirato e continua ad ispirare tutt’oggi la condotta di coloro che decidono di lottare per un mondo più equo, giusto e sostenibile. Le teorie economiche e sociali gandhiane hanno ispirato Lanza Del Vasto e l’hanno spinto a tornare in Occidente per diffondere il messaggio di nonviolenza e speranza del suo maestro. Nel 1948 è nata così, in Francia, la prima comunità dei gandhiani d’Occidente, rinominata qualche anno più tardi Comunità dell’Arca, per simboleggiare la creazione di un luogo di riconciliazione e pacificazione tra tutti gli esseri viventi. Sono trascorsi più di sessanta anni dalla fondazione della prima comunità, in questo lasso di tempo l’Arca ha attraversato dei momenti di forte espansione così come di declino. Dagli anni cinquanta agli anni ottanta sono nate diverse comunità in tutta Europa, America Latina, Marocco e Canada. A partire dagli anni novanta le dimensioni dell’Arca hanno cominciato a ridursi, fino ad arrivare alle sei comunità oggi esistenti: tre in Francia, una in Germania, una in Svizzera e una in Argentina. Esistono molti gruppi di “Amici dell’Arca” in diversi paesi del mondo – tra i quali l’Italia – che concretizzano la filosofia nonviolenta di Lanza Del Vasto attraverso forme diverse da quelle della struttura comunitaria. In Sicilia, ad esempio, alcune famiglie organizzano ogni anno un campo estivo, in cui i giovani partecipanti hanno la possibilità di conoscere i principi e i valori strutturali di questa filosofia di vita. Ciò che mi ha spinto a scegliere tale realtà, rispetto ad altre forme del vivre autrement (ecovillaggi, comunità religiose o anarchiche, condomini solidali, soltanto per citarne alcuni) presenti – numerose – in tutto il mondo, è la volontà di non isolarsi dalla vita reale ma di contribuire, attraverso differenti modalità, alla costruzione di una società pacifica ed eguale. L’azione nonviolenta, sotto le sue differenti forme, si prefigura, infatti, come uno dei principi cardine della Comunità dell’Arca. Gli strumenti maggiormente impiegati consistono in azioni di disobbedienza civile e nel digiuno, quest’ultimo utilizzato inizialmente dal fondatore, imitando le lotte gandhiane, per protestare contro la guerra d’Algeria, l’espansione di campi militari (la famosa lotta in Larzac), le armi nucleari. Al contempo, alcuni membri della comunità hanno praticato numerosi digiuni affianco a Lanza Del Vasto, continuando ad utilizzare questo strumento anche dopo la sua morte. In questi ultimi anni la Comunità dell’Arca si sta impegnando in una grande campagna di disobbedienza civile contro gli OGM molto conosciuta in Francia, i cosiddetti Faucheurs Volontaires. Questo movimento è nato nel 2003 dall’idea di uno dei membri della comunità, raccogliendo in pochi anni più di settemila attivisti. Il suo obiettivo consiste nel sensibilizzare i cittadini francesi sulla pericolosità – a livello ambientale, sanitario ed economico – degli organismi geneticamente modificati. Per far ciò, i faucheurs volontaires distruggono le coltivazioni OGM e le parcelle in cui vengono effettuate prove transgeniche. Questo movimento, che ha compiuto la scelta di agire con mezzi nonviolenti, viene spesso sottoposto a critica da altri attivisti francesi che, pur condividendo gli obiettivi, sostengono che queste azioni siano distruttive e violente. Trasgredire la legge e commettere un atto distruttivo è stato, però, uno strumento rivelatosi efficace per sensibilizzare i cittadini francesi circa la pericolosità di colture transgeniche. Nel giugno del 2012, durante il mio tirocinio, ho avuto la possibilità di partecipare al processo di sessanta attivisti, tra cui molti membri della Comunità dell’Arca, nonché alla manifestazione che lo ha preceduto.
La parola “utopia”, che compare nel titolo di questo lavoro, non fa riferimento, dunque, al suo significato più comune, ovvero a qualcosa di impraticabile o irrealizzabile. Utopia, nella concezione positiva, indica il progetto – o il sogno – che guida l’individuo nelle sue azioni, rappresentando il motore del cambiamento della società umana.
L’organizzazione della Comunità dell’Arca si basa sui dei principi fondamentali, che sono alla base della filosofia lanziana: nonviolenza, semplicità di vita, lavoro, condivisione, coerenza, responsabilità, solidarietà, spiritualità. La nonviolenza è lo scopo e il fondamento dell’Arca, è il principio che guida i membri della comunità nel rapporto con gli altri e con l’ambiente in cui vivono. E’ un lavoro costante su se stessi, per comprendere i propri limiti e potenzialità.
Il lavoro è un elemento centrale all’interno di tale contesto, in quanto concepito come un’azione politica permanente che porta alla trasformazione della società. Dunque, la concezione del lavoro all’interno dell’Arca è molto distante da quella presente nella società moderna: è un mezzo per servire l’altro, per arricchire l’ambiente in cui ciascun individuo è inserito, è lo strumento per conoscersi, per combattere i propri limiti e sviluppare le proprie potenzialità.
Una parte della tesi è dedicata alla descrizione della comunità dove ho svolto il tirocinio, quella di Saint Antoine L’Abbaye, un piccolo paese nel sud-est della Francia. In questo luogo tra le campagne francesi, in cui il tempo sembra essersi fermato, è possibile vedere la realizzazione concreta del principio della nonviolenza. La comunità di Saint Antoine è nata nel 1987, quando una ventina di persone si sono trasferite in un antico palazzo abbaziale ed hanno cominciato i lavori di ristrutturazione dell’edificio. Oggi vivono stabilmente nella comunità diciotto persone, ma tra stagisti e fèveurs il numero di abitanti non scende mai al di sotto di sessanta. La comunità si autofinanzia attraverso l’accoglienza di gruppi di persone che seguono corsi di ogni tipo (danza, massaggi, yoga, meditazione, pittura, chitarra, soltanto per citarne alcuni) e ai quali fornisce vitto e alloggio. Per questa forma di autofinanziamento Saint Antoine si differenzia dalle altre comunità dell’Arca, le quali invece si basano, prevalentemente, sulla produzione agricola o sulla caseificazione. Ogni anno sono più di trecento le persone che svolgono uno stage presso la comunità dove ho svolto il tirocinio e più di tremila sono gli ospiti che seguono i tanti corsi organizzati all’interno della struttura.
La seconda parte della tesi è dedicata al confronto della filosofia ispiratrice della Comunità dell’Arca con il pensiero di diversi autori – filosofi, economisti e sociologi – che hanno riflettuto sulle contraddizioni e sui mali che affliggono la società moderna, sviluppando, oltre alla critica, una proposta concreta di riorganizzazione economica e sociale. Nel quarto capitolo viene analizzato il pensiero del fondatore, Lanza Del Vasto, che, dopo aver criticato radicalmente l’organizzazione socioeconomica moderna, ha proposto un’alternativa concreta ad un sistema che si basa sulla diseguaglianza e sullo sfruttamento. Centrale nella sua filosofia è il lavoro manuale, in particolare il lavoro della terra, inteso come l’unico mezzo per aiutare la famiglia umana a rispondere ai bisogni fondamentali. Nella società moderna, al contrario, il lavoro è diventato sempre più un mezzo per produrre profitto, a discapito, molto spesso, degli altri esseri umani e dell’ecosistema. Lanza Del Vasto, attraverso l’utilizzo di un linguaggio ricco di metafore e simbologie cristiane, ha reinterpretato il concetto di peccato originale alla luce delle trasformazioni sociali ed economiche moderne. Riprendendo l’immagine di Adamo che mangia il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, l’autore afferma che il peccato dell’umanità in epoca moderna è quello di aver sfruttato la conoscenza per il profitto e per la liberazione dal lavoro manuale. L’Occidente, patria della cristianità, è una civiltà che, secondo l’autore, perpetua costantemente il peccato originale: rincorre il piacere e sfugge dal sacrificio, classificando il primo come il bene e il secondo come il male. La ricerca del bene si trasforma nel desiderio del piacere oltre ogni limite e ragione, moltiplicando infinitamente i bisogni a scapito della salute dell’uomo e della natura. Lanza Del Vasto critica radicalmente anche il mito del progresso attraverso una reinterpretazione originale dell’Apocalisse, concependolo come un cancro che uccide i legami sociali. Il progresso, così inteso, non è al servizio dell’essere umano ma degli interessi economici, in nome di una crescita in cui le persone e l’ambiente non sono beneficiari ma servitori dei cambiamenti e delle innovazioni. I testi del filosofo italiano, nonostante siano carichi di metafore cristiane, non sono però indirizzati esclusivamente ad un lettore credente. Al contrario, i principi che possono essere tratti dalla sua filosofia sono validi per tutti coloro che vogliono comprendere le cause dei problemi e delle violenze della società attuale, fornendo una chiave di lettura originale dei fenomeni antropologici moderni.
Il quinto capitolo è dedicato all’analisi del pensiero del filosofo contadino Bondarev, ispiratore di alcune teorie socioeconomiche dello scrittore Lev Tolstoj, che verranno messe a confronto con quelle lanziane. Bondarev, ispirandosi al messaggio della Bibbia, scrisse un saggio per ricordare che i mali del mondo derivano dall’aver infranto la legge originaria dell’umanità: «mangerai il pane col sudore del tuo volto» (Genesi 3:19). L’idea cardine della sua opera consiste nell’affermare che i crimini e le sventure degli uomini derivano dal fatto che essi hanno riconosciuto come doveri imprescindibili molti precetti inutili o dannosi e hanno dimenticato, o nascosto a se stessi, il più importante tra i doveri. Nella sua opera il filosofo contadino ha affermato, così come ha fatto Lanza Del Vasto, che il lavoro manuale, da lui definito “lavoro per il pane”, deve essere inteso come un imperativo etico rivolto ad ogni uomo. Soltanto attraverso l’autoproduzione del cibo e di tutto ciò che è necessario per soddisfare i bisogni umani fondamentali, è possibile seguire un cammino di verità, giustizia e solidarietà e cancellare molti dei mali che affliggono l’umanità. Secondo i calcoli di Bondarev, sono all’incirca quaranta i giorni all’anno da dover dedicare ad attività manuali connesse al soddisfacimento dei propri bisogni. Attraverso un mezzo così semplice, perciò, è possibile, secondo il filosofo contadino, risolvere molti dei mali che affliggono la società moderna. Il filosofo russo Lev Tolstoj rimase molto colpito dalla lettura dell’opera di Bondarev e, negli ultimi vent’anni del diciannovesimo secolo, attivò con lui uno scambio epistolare. Tolstoj ritrovò molte delle sue idee sul lavoro e sulla religione proprio nel manoscritto del filosofo contadino e, nonostante le visioni dei due pensatori discostassero su numerosi elementi, questa conoscenza fu, per lui, di grande ispirazione. Anche secondo Tolstoj, perciò, dedicandosi al lavoro manuale, sarebbe possibile modificare radicalmente le dinamiche che portano a miseria, sfruttamento e diseguaglianza. L’umanità, però, si prodiga per risolvere questi problemi elaborando delle teorie e attuando delle pratiche che, invece di ridurre i mali della società, portano ad un loro aumento e peggioramento. Per Tolstoj è come inventare tutti gli artifici possibili per trattenere l’acqua in un secchio bucato senza pensare, invece, a come ripararlo. Il filosofo russo, conosciuto in tutto il mondo per le sue opere come “Guerra e pace” e “Anna Karenina”, è anche uno dei più grandi critici della civiltà moderna, nonché ispiratore del Mahatma Gandhi. Schiavitù moderna, proprietà privata, violenza dello Stato, divisione del lavoro, sono alcuni dei temi centrali del pensiero tolstoiano che verranno analizzati nel quinto capitolo.
Il sesto capitolo è dedicato all’analisi del pensiero del Mahatma Gandhi, che cercò di applicare il principio della nonviolenza all’economia, la quale stava diventando sempre più violenta e distruttiva. Due concetti sono fondamentali nella teoria economica del Mahatma: Sarvodaya, “agire per il bene di tutti” e Antyodaya, che significa “agire per il benessere dell’ultimo fra gli ultimi”. Secondo Gandhi l’obiettivo cardine dell’economia non deve essere quello di massimizzare i profitti ma di servire la famiglia umana nel soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Swadeshi è uno dei principi basilari nel pensiero economico gandhiano, che significa autosufficienza e sviluppo locale. Il primo dovere di ciascun uomo consiste, secondo il profeta indiano, nel servire il proprio vicino: se ciascuno aiutasse le persone più vicine, nessun bisognoso sarebbe lasciato da solo in questo mondo. Swadeshi significa, inoltre, favorire il consumo di beni e servizi locali, una scelta etica che accresce la responsabilità personale nei confronti del gruppo, portando ad un consolidamento delle relazioni sociali all’interno della comunità. Nel pensiero economico di Gandhi il lavoro manuale, da lui definito yajña, “lavoro per il pane”, è il punto centrale su cui basare l’organizzazione economica della società moderna. L’importanza del lavoro manuale è, dunque, uno dei punti fondamentali di connessione tra il pensiero di Lanza Del Vasto, di Tolstoj e di Gandhi. Come per gli altri autori, anche per il Mahatma, il lavoro è l’unico mezzo attraverso cui è possibile soddisfare i bisogni della famiglia umana e, di conseguenza, combattere i mali che affliggono la società moderna. Gandhi ha criticato, inoltre, la divisione del lavoro così come è concepita nell’attuale organizzazione sociale, ovvero la separazione tra lavoro manuale e intellettuale. Entrambi sono ritenuti fondamentali per ciascun essere umano, per cui non dovrebbero esistere persone che dedicano la loro vita esclusivamente al lavoro manuale ed altre soltanto a quello intellettuale.
Nel settimo capitolo analizzeremo il pensiero del sociologo e politico iraniano Majid Rahnema, esperto del fenomeno della povertà e autore del libro Quando la povertà diventa miseria, nel quale ha tentato di fare un quadro storico, economico e politico del concetto di povertà. Fondamentale è la distinzione tra povertà e miseria: la prima è definita, secondo il pensiero di San Tommaso, come la mancanza del superfluo e la seconda come la mancanza del necessario. Se la miseria ha soltanto una connotazione negativa, la povertà, invece, può essere una condizione che permette di sradicare dalla società violenze e diseguaglianze. Rahnema ha dedicato ampio spazio al tema della “povertà volontaria”, un concetto che ricorda, tra i tanti, Socrate, San Francesco e Gandhi, ma che rappresenta una scelta etica che sempre più persone compiono nel mondo.
L’ultimo capitolo rappresenta una sorta di conclusioni: attraverso l’analisi del pensiero dell’economista gandhiano Kumarappa, è possibile tracciare delle strade da percorrere per ricostruire il binomio tra economia ed etica. Consumo di prodotti locali e autoproduzione sono alcune delle strategie per costruire un’economia della “permanenza” dell’essere umano sulla Terra.
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