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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-02222023-120630


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
BELLU, NADIA
URN
etd-02222023-120630
Titolo
La povertà. Riflessioni secondo un approccio multidisciplinare.
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SOCIOLOGIA E POLITICHE SOCIALI
Relatori
relatore Prof.ssa Nugnes, Francesca
Parole chiave
  • Comune
  • povertà
  • Reddito di Cittadinanza
  • Terzo settore
Data inizio appello
27/03/2023
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
27/03/2093
Riassunto
Il lavoro di tesi prende avvio da una personale propensione per lo studio della legislazione degli enti locali, con particolare riferimento al servizio sociale professionale all’interno del Comune, che mi vede da oltre un decennio impegnata in qualità di assistente sociale, responsabile dell’area socio-culturale, di un piccolo paese dell’entroterra sardo. Nella scelta del tema, in particolare, ha influito la continua attività di supervisione dei tirocini universitari, che mi ha permesso di constatare che una tematica che sembrerebbe eccessivamente inflazionata, vada invece costantemente studiata e approfondita al fine di limitare il burn out e di programmare politiche efficaci ed efficienti.

L’elaborato ha sviluppato la tematica della povertà, su tre direttici: statistica, sociologica e giuridica, effettuando un focus sull’evoluzione delle misure di contrasto ade essa e sviluppato, in conclusione, quello che potrebbe/dovrebbe essere il futuro delle misure di contrasto ad essa, la coprogettazione pubblico privato.
La statistica aiuta a misurare un certo tipo di povertà, quella interpretata secondo il concetto classico della mancanza più prettamente economica, che, richiamando la piramide dei bisogni di Maslow, limita il soddisfacimento dei bisogni primari, fisiologici. Ma gli studi sociali hanno messo in luce che la povertà non è sempre e solo la mancanza di soldi o alimenti, ma un concetto ben più complesso, che comprende numerose variabili che possono esserne al contempo causa o effetto, quali salute, istruzione, lavoro ecc. Altro dato da tenere in considerazione è che la povertà non è uno stato immobile, ma è dinamica, pertanto gli studi devono prevedere una loro strutturazione nel tempo, per meglio comprendere le fasi di entrata e uscita da essa.
Le politiche devono essere indirizzate, non esclusivamente a colmare il gap economico, ma alla promozione universale dei diritti umani fondamentali (civili, politici, economici, sociali e culturali) quali il diritto alla salute, all’istruzione, ad un lavoro dignitoso, ad un’alimentazione adeguata, ad un alloggio adeguato, alla sicurezza personale, alla parità di accesso alla giustizia, alle libertà politiche.
Il cambio di visuale del concetto di povertà e l’evolversi della sua semantica, hanno corrisposto ad una parallela evoluzione delle misure nate per contrastarla. Partendo dalla loro origine, strettamente connessa a quella dell’origine stessa del servizio sociale professionale, si sono analizzati gli albori dei primi interventi a scopo filantropico, demandati principalmente a enti religiosi e privati. Si è conosciuta, nel tempo, una progressiva assunzione di responsabilità della parte pubblica la quale ha rivendicato la propria titolarità in materia, seppure, per anni, rimanendo ancorata ad una visione assistenzialistica.
Negli ultimi decenni, con lo sviluppo delle teorie sociali sulla povertà come elemento multifattoriale, le misure, rimanendo in capo prevalentemente agli enti pubblici, hanno tentato una modalità di presa in carico differente, operante su diversi fronti, economico, pedagogico, sanitario ecc.
Si è arrivati ad un modello innovativo di contrasto della povertà, che sembrerebbe cogliere il senso profondo della tutela in termini giuridici veri e propri del cittadino. Tale misura, però, ha sofferto di numerose criticità nel suo impianto, a dimostrazione del fatto che è fondamentale proporre interventi globali, che tutelino i cittadini, soprattutto le fasce più deboli, ma che siano maggiormente concretizzabili, in quanto il rischio è quello di ridursi ancora una volta ad un contributo economico fine a sé stesso.
La misura attualmente in vigore, il Reddito di Cittadinanza, presenta evidenti criticità, a mio parere più sulla sostanza, che sulla forma. Il RDC è una misura innovativa e un obbligo di civiltà del nostro paese, anche in risposta agli obiettivi ONU. Ma, penso che per gli operatori del settore fosse lampante fin dalla sua nascita, le difficoltà arrivano quando si traspone dalla teoria alla pratica.
Si è ridotta una misura dalle grandi potenzialità ad un mero assegno mensile e, pensando in prospettiva futura, se non viene rafforzata sulla parte progettuale e sulla responsabilizzazione, vedrà una crescita esponenziale e si dovranno fare i conti, a discapito di altri interventi sociali.
Se è vero che ciò che vizia il procedimento non è propriamente la misura in sé, ma l’insieme degli strumenti di welfare, negli ultimi tempi è maturata la volontà di trasformare quella che finora è stata considerata la root cause del ritardo italiano delle politiche di contrasto alla povertà, ossia l’eccessiva “presenza” delle associazioni, in una ricchezza da valorizzare, come strumento che aiuti l’attuazione di politiche maggiormente efficaci ed efficienti.
Analizzata la povertà, riportate le misure di contrasto ad essa nella loro evoluzione storica, nell’ultimo capitolo, si propone dunque una modalità di azione nuova, che non derivi da dettami normativi rigidi calati dall’alto, ma che si fondi sull’incontro dei due principali attori: servizi pubblici, nella fattispecie il Comune (art. 118 c.1 Cost.- sussidiarietà verticale) e terzo settore (art. 118 c. 4 Cost. – sussidiarietà orizzontale), quale rappresentante delle esigenze delle persone.
Si trattano i ruoli del Comune e del Terzo settore e il loro incontro, dall’immenso potenziale, attraverso lo strumento della co-progettazione, dando spazio a quello che si spera sia il futuro dell’intera programmazione sociale, ossia una amministrazione condivisa.
Il servizio sociale comunale è il principale protagonista delle politiche di prossimità territoriale. Primo recettore di problemi/desideri/difficoltà e primo erogatore di risposte/assistenza/welfare. Ma il Comune, o se si preferisce il settore pubblico in generale, in esclusiva, non riesce a dare risposte adeguate alle numerose esigenze di una società mutevole, oscillante, talvolta sofferente e sempre più in crisi.
La relativa inadeguatezza delle misure di lotta alla povertà adottate finora è riconducibile, almeno per una parte, alla mancanza di collegamento con un adeguato substrato sistemico di politiche e servizi volti ad emancipare la persona dalla condizione di disagio. In particolare, gli strumenti di sostegno al reddito posti in essere, specie il RDC, per la sua impronta workfaristica caratterizzata da una rigida condizionalità, è lontano dal configurarsi come efficace strumento di lotta alla povertà e, a ben vedere, anche come efficace strumento di politica attiva del lavoro.Questo dato è stato rilevato con particolare riguardo agli immigrati, alle persone senza fissa dimora, alle famiglie con minori e non esclude la classe dei lavoratori poveri e ancor di più le donne che hanno accentuato la loro povertà in seguito alla pandemia. Queste tipologie di persone povere non sono state efficacemente raggiunte dalle misure di sostegno al reddito e in alcuni casi restano invisibili anche ai servizi sociali erogati dai Comuni.
In effetti, questa criticità del RDC riflette una delle criticità di fondo nell’approccio alla lotta alla povertà, individuabile nell’assenza di un coordinamento tra politiche previdenziali e assistenziali che guardino ai bisogni dell’individuo da angolazioni diverse ma complementari. Peraltro anche l’assenza del coordinamento tra queste due politiche costituisce a sua volta solo un aspetto del problema, rappresentato dalla mancanza di uno sguardo alla persona nel momento e nel contesto in cui è situata; uno sguardo in grado di cogliere non solo il disagio legato alla privazione materiale, ma anche quello legato agli ostacoli di ordine sociale che ne impediscono il pieno sviluppo e ne pregiudicano la partecipazione alla vita politica economica e sociale della Paese (art. 3 Cost.) . Soprattutto è necessario riuscire a ‘vedere’ anche coloro che, come accennato, non riescono ad essere intercettati dai servizi di assistenza sociale. Si tratta pertanto di adottare un punto di vista nuovo, uno sguardo che guardi alla persona da una distanza ravvicinata per poterne cogliere le specifiche fragilità, ma anche le specifiche potenzialità di sviluppo secondo un progetto di lungo periodo, di liberazione dalla povertà e di inclusione sociale.
In questa prospettiva il Terzo settore è stato tradizionalmente prezioso per la capacità di osservare e cogliere le fragilità presenti sul territorio e di interloquire con gli enti locali per l’approntamento di misure adeguate al bisogno rilevato. Dunque, oltre ad una maggiore integrazione delle politiche pubbliche che offra una risposta dall’alto, è auspicabile un maggior coinvolgimento dei privati, dal basso.
La collaborazione tra pubblico e privato nell’erogazione di servizi di assistenza è prefigurata dall’art. 38 Cost. in base al quale il diritto a ricevere assistenza è legato alla libertà di offrire assistenza secondo l’approccio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. Tale principio-dovere di solidarietà va posto in relazione ad un sistema di diritti garantiti dal nostro ordinamento e al dovere di rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale (art. 3, comma 2 Cost.) che impongono l’organizzazione di un intervento pubblico adeguato a garantire l’effettività dei diritti e il pieno sviluppo della persona che si concretizza non tanto in una risposta al bisogno, ma in una risposta adeguata a garantire una vita dignitosa.
Alla luce dei recenti dettami normativi sembrerebbe ergersi un nuovo modello di welfare basato sulla collaborazione tra pubblico e privato in cui il ruolo dei privati, è rafforzato dal loro coinvolgimento a partire dalla fase di programmazione e progettazione da parte dei Comuni; spetta pertanto al decisore politico andare oltre la logica meramente distributiva seguita finora, per la costruzione di un welfare nel segno di quella solidarietà capace di rigenerare le risorse già disponibili e con esse il “rendimento degli interventi di politiche sociali a beneficio di tutta la collettività”, attraverso la responsabilizzazione e la valorizzazione dello sviluppo della persona umana.
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