Tesi etd-02212018-161632 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM6
Autore
BALDUCCI, SERENA
URN
etd-02212018-161632
Titolo
Le mutazioni somatiche nella Mielofibrosi: prevalenza e significato nell'era di Ruxolitinib
Dipartimento
RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di studi
MEDICINA E CHIRURGIA
Relatori
relatore Prof.ssa Galimberti, Sara
relatore Prof. Petrini, Mario
relatore Prof. Petrini, Mario
Parole chiave
- mielofibrosi
- ruxolitinib
Data inizio appello
13/03/2018
Consultabilità
Completa
Riassunto
La Mielofibrosi appartiene alla categoria delle neoplasie mieloproliferative cromosoma Philadelphia negative (Ph-) e può presentarsi come un disordine primitivo o come evoluzione della trombocitemia essenziale o della policitemia vera.
Si caratterizza per la proliferazione clonale di una cellula ematopoietica pluripotente nel midollo osseo e per il sovvertimento del microambiente midollare con alterazione nella fisiologica produzione di citochine e fattori di crescita.
Ciò determina un incremento nella deposizione di tessuto fibroso nel midollo osseo, con riduzione dell’emopoiesi midollare, comparsa di emopoiesi extra-midollare, tipicamente splenica e, conseguentemente, comparsa di manifestazioni cliniche.
Questa patologia si caratterizza, inoltre, per un aumentato rischio di progressione in Leucemia Mieloide Acuta e per una ridotta sopravvivenza.
La Mielofibrosi è considerata una malattia rara; la sua incidenza, infatti si attesta intorno a 0,58 casi/100.000/anno, mentre la prevalenza risulta essere maggiore, circa 6 casi/100.000, a causa del decorso cronico. L’età media alla diagnosi è di 67 anni, con una sottile predilezione per il sesso maschile. La sopravvivenza media si attesta attorno ai 6.5 anni, con un ampio range che oscilla tra i 2 e gli oltre 10 anni dal momento della diagnosi.
La Mielofibrosi, facendo parte delle MPNs Philadelphia-negative, non possiede una alterazione genetica patognomonica, come avviene, invece, per la Leucemia Mieloide Cronica.
Comunque, i progressi nella ricerca molecolare hanno permesso di scoprire diverse mutazioni “driver” che caratterizzano in maniera più o meno specifica le MPNs Philadelphia-negative e, tra di esse, la Mielofibrosi.
La prima mutazione ad essere stata scoperta, nel 2005, è quella di JAK2, che presenta la sostituzione V617F, nell’esone 14, in circa il 55% dei pazienti con Mielofibrosi.
L’anno successivo è stata rilevata la presenza della sostituzione W515L/K nella proteina MPL, presente in circa il 10% dei casi di Mielofibrosi all’esordio.
Nel 2013, un nuovo gene, CALR, risultava mutato nel 15% dei pazienti con PMF.
Ad oggi, circa il 10% dei pazienti affetti da Mielofibrosi risulta essere “triplo-negativo”, ovvero non presenta nessuna delle mutazioni che tipicamente coinvolgono i 3 geni precedentemente citati: JAK2, CALR ed MPL.
Tuttavia, oggi è noto che accanto alle “driver”, sussistono nel 7-15% circa dei pazienti altre mutazioni somatiche “non-specifiche”, importanti soprattutto dal punto di vista prognostico.
Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare la frequenza di tali mutazioni somatiche in un gruppo di pazienti affetti da Mielofibrosi e di analizzarne la prevalenza e l’impatto prognostico.
Inoltre, in un sottogruppo di soggetti in trattamento con Ruxolitinib, inibitore di JAK2, è stata valutata anche l’eventuale modificazione di tali mutazioni a seguito della terapia.
L’analisi è stata condotta mediante l’utilizzo di piastre Custom qBiomarker Somatic Mutation PCR Array® e le mutazioni analizzate hanno riguardato i geni: ASXL1, EZH2, IDH1, IDH2, SRSF2, TET2, TP53.
Si caratterizza per la proliferazione clonale di una cellula ematopoietica pluripotente nel midollo osseo e per il sovvertimento del microambiente midollare con alterazione nella fisiologica produzione di citochine e fattori di crescita.
Ciò determina un incremento nella deposizione di tessuto fibroso nel midollo osseo, con riduzione dell’emopoiesi midollare, comparsa di emopoiesi extra-midollare, tipicamente splenica e, conseguentemente, comparsa di manifestazioni cliniche.
Questa patologia si caratterizza, inoltre, per un aumentato rischio di progressione in Leucemia Mieloide Acuta e per una ridotta sopravvivenza.
La Mielofibrosi è considerata una malattia rara; la sua incidenza, infatti si attesta intorno a 0,58 casi/100.000/anno, mentre la prevalenza risulta essere maggiore, circa 6 casi/100.000, a causa del decorso cronico. L’età media alla diagnosi è di 67 anni, con una sottile predilezione per il sesso maschile. La sopravvivenza media si attesta attorno ai 6.5 anni, con un ampio range che oscilla tra i 2 e gli oltre 10 anni dal momento della diagnosi.
La Mielofibrosi, facendo parte delle MPNs Philadelphia-negative, non possiede una alterazione genetica patognomonica, come avviene, invece, per la Leucemia Mieloide Cronica.
Comunque, i progressi nella ricerca molecolare hanno permesso di scoprire diverse mutazioni “driver” che caratterizzano in maniera più o meno specifica le MPNs Philadelphia-negative e, tra di esse, la Mielofibrosi.
La prima mutazione ad essere stata scoperta, nel 2005, è quella di JAK2, che presenta la sostituzione V617F, nell’esone 14, in circa il 55% dei pazienti con Mielofibrosi.
L’anno successivo è stata rilevata la presenza della sostituzione W515L/K nella proteina MPL, presente in circa il 10% dei casi di Mielofibrosi all’esordio.
Nel 2013, un nuovo gene, CALR, risultava mutato nel 15% dei pazienti con PMF.
Ad oggi, circa il 10% dei pazienti affetti da Mielofibrosi risulta essere “triplo-negativo”, ovvero non presenta nessuna delle mutazioni che tipicamente coinvolgono i 3 geni precedentemente citati: JAK2, CALR ed MPL.
Tuttavia, oggi è noto che accanto alle “driver”, sussistono nel 7-15% circa dei pazienti altre mutazioni somatiche “non-specifiche”, importanti soprattutto dal punto di vista prognostico.
Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare la frequenza di tali mutazioni somatiche in un gruppo di pazienti affetti da Mielofibrosi e di analizzarne la prevalenza e l’impatto prognostico.
Inoltre, in un sottogruppo di soggetti in trattamento con Ruxolitinib, inibitore di JAK2, è stata valutata anche l’eventuale modificazione di tali mutazioni a seguito della terapia.
L’analisi è stata condotta mediante l’utilizzo di piastre Custom qBiomarker Somatic Mutation PCR Array® e le mutazioni analizzate hanno riguardato i geni: ASXL1, EZH2, IDH1, IDH2, SRSF2, TET2, TP53.
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