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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-02152021-124743


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
NATALE, SARA VALENTINA
URN
etd-02152021-124743
Titolo
GIORNALISMO DI GUERRA AL FEMMINILE: LE TESTIMONIANZE DAL FRONTE DI MARIE COLVIN E ANNA POLITKOVSKAJA
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
STUDI INTERNAZIONALI
Relatori
relatore Minuto, Emanuela
Parole chiave
  • giornalismo di guerra
  • Marie Colvin
  • Anna Politkovskaja
  • Cecenia
  • giornaliste
  • questione di genere
  • war journalism
  • female journalists
  • conflicts in the middle east Chechen wars
Data inizio appello
22/03/2021
Consultabilità
Completa
Riassunto
Alla base di questo lavoro di ricerca vi è uno studio del giornalismo di guerra declinato al femminile. L’intento ultimo è quello di comprendere se, e in che modo, essere donna possa implicare delle differenze nello svolgimento della professione di corrispondente di guerra.
Le motivazioni della scelta di tale argomento sono duplici: da un lato si vuole riconoscere che, per le donne, il mestiere già di per sé estremamente pericoloso di reporter di guerra potrebbe comportare dei rischi maggiori; dall’altro, attraverso due casi studio si vuole dimostrare come, nel caso delle giornaliste scelte, il genere non abbia compromesso, né alterato, il modo di raccontare i conflitti armati. Dunque, assodato che in molteplici occasioni non vi siano pari opportunità di accesso alla professione di reporter di guerra, si vuole dimostrare come nella pratica non si ravveda alcuna differenza nei lavori dei giornalisti, che sia essi firmati da un uomo o da una donna.
La tesi è articolata in tre capitoli. Nel primo capitolo si offre una panoramica generale del fenomeno delle reporter di guerra: si spiega quando le donne entrarono per la prima volta nelle redazioni, quali furono le sfide iniziali che dovettero affrontare e come avvennero le prime assegnazioni in un territorio di guerra. Segue così un excursus storico sui conflitti principali del Ventesimo secolo: dalla prima Guerra Mondiale alle guerre degli anni Novanta, per poi finire con la seconda Guerra del Golfo dei primi anni 2000. Parallelamente si analizzano i cambiamenti che avvennero nel mondo del giornalismo di guerra e le evoluzioni nei ranghi delle reporter, che divenivano sempre più numerose con il passare degli anni. Viene quindi fatto un elenco di tutte le giornaliste di maggiore rilievo, da Edith Wharton a Orianna Fallaci. Chiude il primo capitolo una breve analisi di cosa significhi essere una giornalista nel Ventunesimo secolo, in special modo dopo l’avvento dei nuovi media. Si fa riferimento alla necessità di garantire la digital security per le giornaliste vittime di attacchi in rete, come si sottolineano le difficoltà ancora riscontrate sul campo.
Al primo capitolo introduttivo seguono poi i due capitoli che analizzano i casi studio: il primo tratta della giornalista americana Marie Colvin e il secondo della russa Anna Politkovskaja. Oltre che per la loro innegabile bravura e per l’importanza che ebbero nel mondo del giornalismo di guerra, le due giornaliste sono state scelte per offrire due spunti diversi: Marie Colvin presenta la possibilità di parlare di una giornalista che coprì quasi tutti i conflitti determinanti, dagli anni Ottanta del Novecento fino alla guerra in Siria, dove perse la vita nel 2012. La Politkovskaja invece si specializzò su un’unica regione e un unico conflitto, rimanendo sempre di base a Mosca.
Nel secondo capitolo dunque viene ripercorsa la vita di Marie Colvin, il cui racconto offre la possibilità di presentare tutti i conflitti a cui lavorò. Un’attenzione particolare è riservata alle guerre del Medio Oriente, zona a cui Colvin si interessò molto nella prima fase della sua carriera, e ai momenti più salienti della sua vita lavorativa: la missione in Sri Lanka, in cui perse la vista dell’occhio sinistro, il suo lavoro a Timor Est, a cui viene attribuito il merito di aver salvato la vita a 1500 civili, e il suo ultimo viaggio in Siria. Lo spazio che viene riservato alla narrazione della vita privata della giornalista serve a comprendere le terribili conseguenze che il lavoro di reporter di guerra può comportare e il coraggio e la tenacia necessarie per svolgere questo tipo di mestiere. Colvin è un ottimo esempio di tutti i giornalisti che hanno sacrificato la possibilità di vivere una vita “comune” in nome del giornalismo: raccontare gli orrori della guerra per dar voce alle vittime dirette dei conflitti, che altrimenti sarebbero rimaste inascoltate.
Il terzo capitolo vede come protagonista Anna Politkovskaja, che decise di specializzarsi sul russo-ceceno. Molto spazio infatti è dedicato alla ricostruzione storica di tale guerra. Attraverso una digressione si risale ai primi contrasti tra le due regioni, che ebbero inizio nel Sedicesimo secolo, quando i russi si interessarono ai territori caucasici per la prima volta. Mediante la ricostruzione degli scontri che si susseguirono per tutta l’età moderna, come in quella contemporanea, ci si sofferma sulle vicende più salienti. I passaggi di maggior interesse sono correlati ai punti di svolta della storia occidentale: i due conflitti mondiali, il passaggio dall’epoca zarista a quella sovietica e gli anni della Guerra Fredda, fino ad arrivare alla nascita dell’odierna Federazione russa. All’inizio degli anni Novanta, i ceceni proclamarono a loro volta la nascita della Repubblica cecena di Ichkeria, dando il via ai due conflitti del 1994 e del 1999, conosciuti come prima e seconda guerra cecena, di cui si presenta l’evoluzione. Da Stalin a Krusciov, da Eltsin a Putin, si cerca di spiegare come la Russia si sia rapportata alla piccola regione cecena nel corso di tutto il Ventesimo secolo. Un paragrafo è invece dedicato interamente al ruolo che la religione islamica ha giocato quasi fin da subito nella resistenza caucasica e quale moderna interpretazione ne abbia offerto Vladimir Putin quando ha dichiarato nel 1999 di voler condurre una lotta contro il terrorismo islamico.
La seconda metà del capitolo è dedicata infine all’interpretazione che le due fazioni hanno offerto del conflitto, come russi e ceceni hanno manipolato l’informazione e come hanno diffuso le proprie versioni. Dopo aver definito in quale modo la censura di Putin abbia modellato la cronaca della seconda guerra cecena e aver fornito diverse testimonianze di giornalisti, si giunge all’esame del secondo caso studio: Anna Politkovskaja. La giornalista russa, come l’americana Colvin, perse la vita a causa del suo lavoro, che non aveva mai smesso di fare, neanche dopo i sequestri e gli avvelenamenti intimidatori. Viene presentata brevemente la sua vita, mentre ci si concentra sugli eventi successivi alla sua morte: i funerali, le indagini e la reazione russa e internazionale. L’ultimo paragrafo si concentra principalmente su una delle sue opere, Proibito parlare, attraverso cui si offre una panoramica sulle condizioni di vita in Cecenia quanto in Russia grazie alle testimonianze raccolte da Politkovskaja.
Le conclusioni chiudono il lavoro, fornendo delle valutazioni riepilogative sul fenomeno del giornalismo di guerra al femminile, tratte dai diversi capitoli dell’elaborato.

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