Tesi etd-02072022-123834 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
DOSTUNI, LUDOVICA
URN
etd-02072022-123834
Titolo
Le società di comodo: la difesa del contribuente e l'onere della prova
Dipartimento
ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di studi
CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE
Relatori
relatore Prof. Zanotti, Nicolò
Parole chiave
- cause di disapplicazione
- cause di esclusione
- difesa del contribuente
- finalità della disciplina
- interpello probatorio
- onere della prova
- perdita sistematica
- presunzioni
- società di comodo
- test di operatività
Data inizio appello
24/02/2022
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
24/02/2062
Riassunto
La disciplina delle società di comodo è stata introdotta con l’art. 30 della L. 724/1994, frutto di un complesso susseguirsi di riforme che hanno portato all’attuale previsione normativa che con il tempo è stata oggetto di notevoli ampiamenti, nonché modifiche, che hanno allargato la platea dei soggetti a cui è destinata la sua applicazione.
Il tutto ha quindi fatto sì che si delineasse un quadro normativo complesso, articolato e suscettibile di una pluralità di interpretazioni, che è stato ampiamente approfondito nel corso della presente trattazione.
In particolare, si fa riferimento, da un lato, all’art. 30 della L. 724/1994 che definisce le modalità di individuazione delle società cd. non operative, le conseguenze derivanti dalla situazione di comodo e le cause di esclusione contemplate e, dall’altro, all’art. 2, comma 36-decies, D.L. 138/2011, relativo alle società in perdita sistematica.
Particolare attenzione viene, inoltre, dedicata ai rapporti intercorrenti, con riguardo alla fattispecie in esame, fra la disciplina fiscale e quella civilistica, evidenziando l’esistenza di una disciplina fiscale autonoma con finalità proprie che pur presenta una logica comune rappresentata dall’utilizzo improprio della struttura societaria.
Ancora incerta, per certi versi, appare l’individuazione della finalità sottostante la normativa in commento, incertezza che condiziona anche la questione attinente le modalità attraverso le quali può essere fornita la prova contraria.
In definitiva, come rilevato nel corso della disamina, l’utilizzo strumentalmente anomalo della struttura societaria e dei diritti ad essa riconducibili viene sanzionato utilizzando determinati parametri funzionali a valutare la non operatività della società, senza tuttavia procedere all’identificazione delle reali intenzioni dei soci. Da ciò deriva che la coincidenza fra le “società di comodo” e le “società non operative” non si configura in tutti i casi, dal momento che può verificarsi che una società, utilizzata dai soci per scopi esclusivamente personali e, dunque, di comodo, possa poi risultare sul piano dell’effettività perfettamente operativa, così come, al contempo, può accadere che una società, che si trova in uno stato di crisi imprenditoriale e che dunque non consegue ricavi, venga considerata non operativa.
In sintesi, la finalità del disposto dell’art. 30 l. 724/1994 è quella di contrastare il fenomeno del cd. abuso della personalità giuridica, ovvero l’utilizzo strumentale del veicolo societario, pur senza l’esercizio di una effettiva attività commerciale.
Dall’analisi svolta viene in risalto il limite di una tassazione basata essenzialmente su presunzioni cd. “a catena” che, seppur funzionali a raggiungere l’immediatezza del risultato, non si rivelano sempre rispettose del principio di capacità contributiva.
Inoltre, al fine di soppesare il complesso quadro normativo delineato, viene riposta l’attenzione sul centrale comma 4-bis dell’art. 30 L. 724/1994 e, dunque, sullo strumento dell’interpello che, nonostante le diverse modifiche cui è stato oggetto, appare tuttora ancorato alla rigidità della prova inerente l’oggettività delle situazioni da dimostrare.
È apparso quindi opportuno approfondire, da un lato, il funzionamento dell’istituto dell’interpello, in particolare di quello probatorio, nonché, dall’altro lato, delle cd. condizioni oggettive che devono essere rappresentate all’Amministrazione finanziaria interpellata al fine di ottenere un parere positivo circa la disapplicazione della normativa in esame.
Infine, altrettanta importanza è stata attribuita alla prova contraria che il contribuente può fornire al di fuori dell’interpello: infatti, indipendentemente da tale “filtro amministrativo” esso, una volta giunto in giudizio a seguito di una contestazione, ha la possibilità di rappresentare qualsiasi circostanza al fine di dimostrare la propria natura di soggetto non di comodo.
Più nello specifico, nella eventuale successiva fase processuale, deve essere fornita la prova che la società svolge un’effettiva attività economica e che, pertanto, non abusa della persona giuridica, così come presunto dall’Amministrazione in forza dell’applicazione della disciplina analizzata.
Tuttavia, alla luce di questo quadro generale, è stato altresì sottolineato come talvolta la giurisprudenza sia incorsa nel fraintendimento circa la prova che il contribuente deve fornire, in un primo momento, in sede amministrativa attraverso l’interpello e, in seguito, in giudizio, al fine di non applicare la normativa in argomento.
Il tutto ha quindi fatto sì che si delineasse un quadro normativo complesso, articolato e suscettibile di una pluralità di interpretazioni, che è stato ampiamente approfondito nel corso della presente trattazione.
In particolare, si fa riferimento, da un lato, all’art. 30 della L. 724/1994 che definisce le modalità di individuazione delle società cd. non operative, le conseguenze derivanti dalla situazione di comodo e le cause di esclusione contemplate e, dall’altro, all’art. 2, comma 36-decies, D.L. 138/2011, relativo alle società in perdita sistematica.
Particolare attenzione viene, inoltre, dedicata ai rapporti intercorrenti, con riguardo alla fattispecie in esame, fra la disciplina fiscale e quella civilistica, evidenziando l’esistenza di una disciplina fiscale autonoma con finalità proprie che pur presenta una logica comune rappresentata dall’utilizzo improprio della struttura societaria.
Ancora incerta, per certi versi, appare l’individuazione della finalità sottostante la normativa in commento, incertezza che condiziona anche la questione attinente le modalità attraverso le quali può essere fornita la prova contraria.
In definitiva, come rilevato nel corso della disamina, l’utilizzo strumentalmente anomalo della struttura societaria e dei diritti ad essa riconducibili viene sanzionato utilizzando determinati parametri funzionali a valutare la non operatività della società, senza tuttavia procedere all’identificazione delle reali intenzioni dei soci. Da ciò deriva che la coincidenza fra le “società di comodo” e le “società non operative” non si configura in tutti i casi, dal momento che può verificarsi che una società, utilizzata dai soci per scopi esclusivamente personali e, dunque, di comodo, possa poi risultare sul piano dell’effettività perfettamente operativa, così come, al contempo, può accadere che una società, che si trova in uno stato di crisi imprenditoriale e che dunque non consegue ricavi, venga considerata non operativa.
In sintesi, la finalità del disposto dell’art. 30 l. 724/1994 è quella di contrastare il fenomeno del cd. abuso della personalità giuridica, ovvero l’utilizzo strumentale del veicolo societario, pur senza l’esercizio di una effettiva attività commerciale.
Dall’analisi svolta viene in risalto il limite di una tassazione basata essenzialmente su presunzioni cd. “a catena” che, seppur funzionali a raggiungere l’immediatezza del risultato, non si rivelano sempre rispettose del principio di capacità contributiva.
Inoltre, al fine di soppesare il complesso quadro normativo delineato, viene riposta l’attenzione sul centrale comma 4-bis dell’art. 30 L. 724/1994 e, dunque, sullo strumento dell’interpello che, nonostante le diverse modifiche cui è stato oggetto, appare tuttora ancorato alla rigidità della prova inerente l’oggettività delle situazioni da dimostrare.
È apparso quindi opportuno approfondire, da un lato, il funzionamento dell’istituto dell’interpello, in particolare di quello probatorio, nonché, dall’altro lato, delle cd. condizioni oggettive che devono essere rappresentate all’Amministrazione finanziaria interpellata al fine di ottenere un parere positivo circa la disapplicazione della normativa in esame.
Infine, altrettanta importanza è stata attribuita alla prova contraria che il contribuente può fornire al di fuori dell’interpello: infatti, indipendentemente da tale “filtro amministrativo” esso, una volta giunto in giudizio a seguito di una contestazione, ha la possibilità di rappresentare qualsiasi circostanza al fine di dimostrare la propria natura di soggetto non di comodo.
Più nello specifico, nella eventuale successiva fase processuale, deve essere fornita la prova che la società svolge un’effettiva attività economica e che, pertanto, non abusa della persona giuridica, così come presunto dall’Amministrazione in forza dell’applicazione della disciplina analizzata.
Tuttavia, alla luce di questo quadro generale, è stato altresì sottolineato come talvolta la giurisprudenza sia incorsa nel fraintendimento circa la prova che il contribuente deve fornire, in un primo momento, in sede amministrativa attraverso l’interpello e, in seguito, in giudizio, al fine di non applicare la normativa in argomento.
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