Tesi etd-02072016-225915 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PREKA, LEDIAN
URN
etd-02072016-225915
Titolo
Dal minibond alla quotazione in borsa delle PMI. Il caso Bomi Italia S.p.A.
Dipartimento
ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di studi
BANCA, FINANZA AZIENDALE E MERCATI FINANZIARI
Relatori
relatore Prof. Federico, Cartei
Parole chiave
- Nessuna parola chiave trovata
Data inizio appello
22/02/2016
Consultabilità
Completa
Riassunto
La crisi del mondo finanziario prima, poi dell’economia reale, che ha colpito anche l’Italia a partire dal secondo semestre 2008 è stata definita come la peggiore dal secondo dopoguerra, sulla base dei dati contenuti nel Rapporto Cerved PMI 2014 . E’inoltre evidente, che un fattore fortemente rilevante nella sua amplificazione è ascrivibile a quella che storicamente è stata la strategia di finanziamento delle imprese italiane, fortemente dipendente dal sistema bancario, patrimonialmente debole e tendenzialmente chiusa a investitori esterni.
I dati diffusi da Banca d’Italia mostrano che il flusso di credito dal sistema bancario
verso le imprese italiane (oltre che famiglie) si è del tutto arrestato a seguito dello scoppio della crisi finanziaria. Ciò è dovuto sia una minore propensione all’investimento delle imprese che si riflette nella contrazione della domanda di credito a lungo termine, sia al razionamento del credito offerto da parte degli istituti bancari. Il sistema bancario italiano ha nei fatti limitato la propria disponibilità a fornire nuovo credito. Una scelta quest’ultima, dovuta sia alla congiuntura economica negativa, sia alla necessità di adempiere a requisiti patrimoniali sempre più stringenti disposti dalle disposizioni del Comitato di Basilea.
Il tessuto imprenditoriale italiano, come si può constatare dalla Scheda Informativa sullo Small Business Act 2013 della Commissione Europea, è costituito per il 99.9% dall’universo delle PMI. Un dato comunque in linea con la media europea che risulta essere del 99.8% . Le differenze sostanziali rispetto all’Unione Europea si denotano nel numero di micro-imprese nazionali, che sono il 94.4% del totale contro la media UE del 92.1%, ed il valore aggiunto del 66.5% delle PMI italiane rispetto alla media UE del 57,6%.
L’Italia è il paese con il più basso livello di capitalizzazione sul totale delle passività, collocandosi al di sotto del 45%, contro una media di circa il 53% nella zona Euro e contro il 61% della Francia. E’ un dato che trova le sue “ragioni” sia negli ostacoli di natura amministrativa e fiscale, che hanno in parte frenato anche l’intervento degli stessi investitori istituzionali, sia, soprattutto, nella diffusa diffidenza degli imprenditori italiani, verso ipotesi di ampliamento della compagine sociale o di quotazione su mercati regolamentati. Bisogna però sottolineare che nel corso degli ultimi anni la situazione sta gradualmente migliorando, sia per la necessità di trovare soluzioni complementari al credito bancario, sia per la per la maggior apertura delle nuove generazioni di imprenditori verso gli strumenti di finanziamento offerti dai mercati regolamentati.
All'inverso, i debiti finanziari, hanno maggior rilievo per le nostre imprese (sempre in rapporto alle passività finanziarie) rispetto a resto della zona euro. L’Italia presenta il 35,6% di debiti finanziari sul totale delle passività finanziarie, contro il 30.4% e il 26.2% di Germania e Francia, Mentre Regno Unito e Spagna presentano livelli di debiti finanziari di poco superiori a quello nazionale.
Un altro fattore di critico è lo scarso livello di patrimonializzazione che contraddistingue le nostre imprese e lo constatiamo confrontando la leva finanziaria delle imprese italiane con
quello registrato negli altri principali paesi europei. Tra il 2011 e il 2014 la leva finanziaria ha costituito l’ostacolo principale all’accoglimento delle richieste di nuovi prestiti. Le condizioni di bilancio hanno inoltre continuato a influire sul costo del credito: il differenziale sui tassi mediani applicati alle società più fragili rispetto a quelle solide è rimasto intorno ai 200 punti base .
L’ultimo triennio è stato caratterizzato da forti cambiamenti nella struttura di bilancio. Nell’intero periodo la leva finanziaria è diminuita di circa quattro punti percentuali, al 44,3%, riflettendo anche nuovi flussi di capitale. La ricomposizione dei debiti finanziari è stata altrettanto significativa: i prestiti si sono ridotti di oltre 84 miliardi e le emissioni obbligazionarie nette sono state largamente positive (41 miliardi). Nonostante il graduale processo di riequilibrio della struttura finanziaria, nel confronto internazionale le imprese italiane restano caratterizzate da un minore contributo del capitale e da un maggiore ricorso ai prestiti bancari, mentre la quota delle obbligazioni risulta adesso essere in linea con quella dell’area dell’euro.
Come detto in precedenza, la riduzione della domanda di credito proveniente dalle imprese, soprattutto medio-grandi, è dipesa, in parte, anche dalle loro strategie di finanziamento che hanno fatto registrare, una preferenza per il canale obbligazionario. L'elevato importo delle tradizionali emissioni obbligazionarie, i costi da sostenere e una normativa fiscale penalizzante per le imprese non quotate hanno sempre tagliato fuori da questo canale di finanziamento le piccole – medie imprese. Proprio allo scopo di per favorire lo sviluppo e diffusione di questo strumento di finanziamento, il Governo ha adottato nel corso degli ultimi anni una serie di provvedimenti che hanno rimosso tali i limiti, nell'obiettivo di facilitare ed estendere l'accesso alle imprese non quotate e alle piccole e medie imprese.
I dati diffusi da Banca d’Italia mostrano che il flusso di credito dal sistema bancario
verso le imprese italiane (oltre che famiglie) si è del tutto arrestato a seguito dello scoppio della crisi finanziaria. Ciò è dovuto sia una minore propensione all’investimento delle imprese che si riflette nella contrazione della domanda di credito a lungo termine, sia al razionamento del credito offerto da parte degli istituti bancari. Il sistema bancario italiano ha nei fatti limitato la propria disponibilità a fornire nuovo credito. Una scelta quest’ultima, dovuta sia alla congiuntura economica negativa, sia alla necessità di adempiere a requisiti patrimoniali sempre più stringenti disposti dalle disposizioni del Comitato di Basilea.
Il tessuto imprenditoriale italiano, come si può constatare dalla Scheda Informativa sullo Small Business Act 2013 della Commissione Europea, è costituito per il 99.9% dall’universo delle PMI. Un dato comunque in linea con la media europea che risulta essere del 99.8% . Le differenze sostanziali rispetto all’Unione Europea si denotano nel numero di micro-imprese nazionali, che sono il 94.4% del totale contro la media UE del 92.1%, ed il valore aggiunto del 66.5% delle PMI italiane rispetto alla media UE del 57,6%.
L’Italia è il paese con il più basso livello di capitalizzazione sul totale delle passività, collocandosi al di sotto del 45%, contro una media di circa il 53% nella zona Euro e contro il 61% della Francia. E’ un dato che trova le sue “ragioni” sia negli ostacoli di natura amministrativa e fiscale, che hanno in parte frenato anche l’intervento degli stessi investitori istituzionali, sia, soprattutto, nella diffusa diffidenza degli imprenditori italiani, verso ipotesi di ampliamento della compagine sociale o di quotazione su mercati regolamentati. Bisogna però sottolineare che nel corso degli ultimi anni la situazione sta gradualmente migliorando, sia per la necessità di trovare soluzioni complementari al credito bancario, sia per la per la maggior apertura delle nuove generazioni di imprenditori verso gli strumenti di finanziamento offerti dai mercati regolamentati.
All'inverso, i debiti finanziari, hanno maggior rilievo per le nostre imprese (sempre in rapporto alle passività finanziarie) rispetto a resto della zona euro. L’Italia presenta il 35,6% di debiti finanziari sul totale delle passività finanziarie, contro il 30.4% e il 26.2% di Germania e Francia, Mentre Regno Unito e Spagna presentano livelli di debiti finanziari di poco superiori a quello nazionale.
Un altro fattore di critico è lo scarso livello di patrimonializzazione che contraddistingue le nostre imprese e lo constatiamo confrontando la leva finanziaria delle imprese italiane con
quello registrato negli altri principali paesi europei. Tra il 2011 e il 2014 la leva finanziaria ha costituito l’ostacolo principale all’accoglimento delle richieste di nuovi prestiti. Le condizioni di bilancio hanno inoltre continuato a influire sul costo del credito: il differenziale sui tassi mediani applicati alle società più fragili rispetto a quelle solide è rimasto intorno ai 200 punti base .
L’ultimo triennio è stato caratterizzato da forti cambiamenti nella struttura di bilancio. Nell’intero periodo la leva finanziaria è diminuita di circa quattro punti percentuali, al 44,3%, riflettendo anche nuovi flussi di capitale. La ricomposizione dei debiti finanziari è stata altrettanto significativa: i prestiti si sono ridotti di oltre 84 miliardi e le emissioni obbligazionarie nette sono state largamente positive (41 miliardi). Nonostante il graduale processo di riequilibrio della struttura finanziaria, nel confronto internazionale le imprese italiane restano caratterizzate da un minore contributo del capitale e da un maggiore ricorso ai prestiti bancari, mentre la quota delle obbligazioni risulta adesso essere in linea con quella dell’area dell’euro.
Come detto in precedenza, la riduzione della domanda di credito proveniente dalle imprese, soprattutto medio-grandi, è dipesa, in parte, anche dalle loro strategie di finanziamento che hanno fatto registrare, una preferenza per il canale obbligazionario. L'elevato importo delle tradizionali emissioni obbligazionarie, i costi da sostenere e una normativa fiscale penalizzante per le imprese non quotate hanno sempre tagliato fuori da questo canale di finanziamento le piccole – medie imprese. Proprio allo scopo di per favorire lo sviluppo e diffusione di questo strumento di finanziamento, il Governo ha adottato nel corso degli ultimi anni una serie di provvedimenti che hanno rimosso tali i limiti, nell'obiettivo di facilitare ed estendere l'accesso alle imprese non quotate e alle piccole e medie imprese.
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