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Archivio digitale delle tesi discusse presso l'Università di Pisa

Tesi etd-02052021-190542


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
PINTI, SIMONE
URN
etd-02052021-190542
Titolo
Euristiche e bias del giudizio clinico nella salute mentale
Dipartimento
PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA, MOLECOLARE E DELL'AREA CRITICA
Corso di studi
PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE
Relatori
relatore Mini, Alessio
Parole chiave
  • representativeness heuristic
  • effetto ancoraggio
  • anchoring effect
  • confirmation bias
  • labeling bias
  • giudizio clinico nella salute mentale
  • euristica della rappresentatività
  • euristica della disponibilità
  • availability heuristic
Data inizio appello
25/02/2021
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
I professionisti della salute mentale sono chiamati a formulare valutazioni e prendere decisioni in condizioni di incertezza e rischio, dalle quali dipende il benessere dei propri pazienti. L’esperienza e le conoscenze acquisite nel corso della propria formazione sono condizioni necessarie per limitare il rischio di incorrere in errori di valutazione. D’altre parte, limiti di tempo, di risorse cognitive e fattori situazionali, potrebbero portare a favorire strategie euristiche di pensiero, che se da un lato facilitano grandemente la presa di decisioni, dall’altro sono potenziali fonti di errori che inficiano il processo decisionale, e l’accuratezza dei giudizi formulati. Lo studio delle euristiche e dei bias cognitivi è un campo di studio che negli ultimi decenni ha visto molti ambiti di applicazione. In ambito clinico ha ricevuto un notevole interesse nelle decisioni mediche, dove è stato studiato a fondo il ruolo di potenziale fonte di errori diagnostici e nelle scelte di trattamento. D’altra parte, questo ambito di ricerca ha ricevuto un interesse minore nella pratica clinica nella salute mentale.

L’obiettivo di questo elaborato è stato quello di esaminare i contributi teorici ed empirici presenti in letteratura in merito al ruolo di processi euristici di pensiero e di bias cognitivi nel giudizio clinico dei professionisti della salute mentale. Sono state prese in considerazione l’euristica della rappresentatività, l’euristica della disponibilità, e l’effetto ancoraggio. Sono stati inoltre considerati il confirmation bias (bias di conferma) ed il ruolo di una diagnosi precedentemente assegnata nella valutazione del paziente.

L’euristica della rappresentatività è stata proposta come una strategia intuitiva di categorizzazione, attraverso la quale la probabilità che un caso appartiene ad una categoria viene valutata in base al grado di somiglianza tra il caso ed il prototipo o stereotipo della categoria. Diversi autori hanno sostenuto che questa euristica potrebbe avere un ruolo descrittivo del processo diagnostico nella salute mentale. Dai risultati riportati sembra plausibile che l’euristica della rappresentatività influenzi la diagnosi nelle circostanze in cui non venga effettuata una valutazione sistematica del numero e della durata dei sintomi del paziente. Una implicazione di questa euristica potrebbe essere una ridotta attendibilità della diagnosi nelle condizioni in cui clinici diversi facciano riferimento a prototipi di pazienti significativamente diversi riguardo la stessa categoria diagnostica.
L’euristica della disponibilità è stata descritta come una strategia cognitiva attraverso la quale la frequenza di un evento, o la probabilità che si verifichi, viene valutata in base alla facilità di recupero di istanze di quell’evento. Il ruolo dell’euristica della disponibilità nel processo diagnostico è stato studiato maggiormente in ambito medico, mentre scarsa attenzione ha ricevuto nella diagnosi psicologica e psichiatrica. I risultati delle ricerche esaminate suggeriscono che la maggiore disponibilità di una diagnosi potrebbe aumentare la probabilità di assegnarla. In altre parole, una recente esposizione ad un disturbo potrebbe aumentare la probabilità di assegnare una diagnosi di fronte ad una sintomatologia condivisa da diversi quadri diagnostici, sebbene per la condizione clinica in questione quella diagnosi potrebbe non essere corretta. Questo effetto è stato riscontrato in particolare quando viene effettuata una valutazione intuitiva e rapida, mentre una valutazione analitica e riflessiva sembra ridurre il rischio di incorrere in un bias di disponibilità.
L’effetto ancoraggio fa riferimento a quella condizione in cui le prime informazioni raccolte e le prime ipotesi formulate hanno una forte influenza nel modo in cui vengono elaborate le informazioni successive alle quali si è esposti. Informazioni successive possono essere adattate alle ipotesi precedenti, o informazioni incompatibili con queste potrebbero non essere sufficienti a modificare significativamente una valutazione precedente. In questo elaborato sono stati riportati alcuni studi che hanno indagato questo fenomeno nel giudizio clinico. La metodologia tipicamente utilizzata consiste nel fornire a soggetti diversi le stesse informazioni riguardo ad un paziente, ma presentate in ordine differente. Alcune ricerche hanno riportato che l’esposizione precoce ad informazioni cliniche salienti portava i partecipanti a valutare il funzionamento e la prognosi del paziente in modo significativo come più grave rispetto alla condizione in cui queste venivano presentate successivamente nella lettura di casi clinici. D’altra parte, altre ricerche non hanno riportato alcun effetto significativo dell’ordine di esposizione nella valutazione del funzionamento e prognosi. Inoltre, le differenze metodologiche ed il setting di ricerca utilizzato in questi studi pongono importanti limiti nella possibilità di confrontare questi risultati e nella generalizzabilità di questi.
In merito all’effetto ancoraggio nel processo diagnostico, i risultati di uno studio riportato sembrano suggerire che questo fenomeno potrebbe manifestarsi nel caso di diagnosi che condividono alcuni aspetti sintomatologici o fattori di rischio. Potrebbe accadere che, nel caso di categorie diagnostiche in cui è presente una certa sovrapposizione di sintomi, l’ipotesi diagnostica precocemente attivata in base all’ordine in cui sono presentate le informazioni, potrebbe portare ad interpretare informazioni successive ambigue in modo coerente con questa. Oppure, nel caso di informazioni chiaramente discordanti con l’ipotesi iniziale, queste potrebbero non essere sufficienti a condurre il clinico a modificare o ad aggiustare l’ipotesi iniziale. E’ necessario interpretare questi risultati con cautela. Il principale limite di questa ricerca risiede nel fatto che non venivano fornite le informazioni maggiormente discriminanti delle due categorie diagnostiche, delle quali venivano riportati solo alcuni sintomi. Inoltre, non vi era la possibilità di ottenere ulteriori informazioni al contrario di un colloquio clinico reale.
Con confirmation bias si fa riferimento alla tendenza a ricercare ed interpretare le informazioni in modo che si adattino a ipotesi, aspettative o credenze preesistenti. Nella pratica clinica potrebbe accadere che un clinico tenda a ricercare, a prestare attenzione, a recuperare dalla memoria, o interpretare rigidamente informazioni del paziente in modo che si adattino alle proprie ipotesi o aspettative, mentre vengono eluse informazioni disconfermanti. In questo elaborato sono stati riportati diversi studi presenti in letteratura che hanno analizzato come i clinici testano le proprie ipotesi diagnostiche. Dai risultati è emerso che le prime domande poste al paziente tendono ad essere nella direzione di confermare le proprie ipotesi. Questi risultati sono coerenti con altri studi nell’ambito della psicologia sociale e della psicologia cognitiva, che hanno riportato che le persone in modo intuitivo, nel tentativo di testare le proprie ipotesi tendono a ricercare informazioni che le confermino, piuttosto che utilizzare strategie di disconferma. Come hanno sottolineato diversi autori, questa strategia non è errata di per sé. Può rivelarsi efficacie nel comprendere la correttezza o infondatezza di una ipotesi, e ad aumentare la conoscenza dei pazienti. Alcuni autori hanno comunque suggerito che una strategia confermativa può condurre a trascurare informazioni rilevanti che non sono coerenti con le proprie ipotesi, o a trascurare altri aspetti rilevanti della vita del paziente che permetterebbero di formulare ipotesi alternative. Inoltre, se un clinico si concentra esclusivamente su una singola area di contenuto c’è il rischio che spiegazioni alternative per lo stesso comportamento del cliente non vengano prese in considerazione.
Infine, è stato indagato il potenziale ruolo distorcente di una diagnosi precedentemente assegnata al paziente. Gli studi esaminati hanno riportato che una diagnosi precedente, incoerente con quanto osservato dai clinici, non influenzava significativamente l’accuratezza diagnostica, e che questa non veniva accettata in modo acritico. Questi risultati, suggeriscono che una diagnosi precedente potrebbe non avere particolari effetti distorcenti come talvolta suggerito in letteratura. D’altra parte, un effetto maggiormente distorcente di una diagnosi precedente è stato riportato per quanto riguarda la valutazione del comportamento normale. Questa condizione potrebbe comunque riscontrarsi più raramente in un contesto clinico.

In conclusione, i contributi sui potenziali fattori cognitivi e situazionali che minano all’accuratezza del giudizio clinico nella salute mentale al momento sembrano essere limitati. Inoltre, l’eterogeneità delle metodologie di ricerca utilizzate pongono degli importanti limiti nella possibilità di interpretare in modo chiaro i risultati disponibili e di generalizzarli. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere i potenziali fattori e condizioni specifiche che potrebbero alterare l’accuratezza dei giudizi dei clinici, con l’obiettivo di sviluppare strategie efficaci per mitigare determinati errori. La ricerca in questo settore resta al momento un campo potenzialmente fruttuoso di indagine.
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