Tesi etd-02022022-175751 |
Link copiato negli appunti
Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
CURRIERI, CLAUDIU MARIAN
URN
etd-02022022-175751
Titolo
Per una critica alla knowledge society: contraddizioni e possibili vie d'uscita a partire dall'analisi del contesto italiano.
Dipartimento
SCIENZE POLITICHE
Corso di studi
SOCIOLOGIA E MANAGEMENT DEI SERVIZI SOCIALI
Relatori
relatore Prof. Pastore, Gerardo
Parole chiave
- bene comune.
- capitalismo cognitivo
- conoscenza
- globalizzazione
- knowledge society
- lavoro
- lavoro cognitivo
Data inizio appello
21/02/2022
Consultabilità
Tesi non consultabile
Riassunto
I processi di globalizzazione hanno comportato importanti trasformazioni all'interno della società attuale. In particolare, la conoscenza è diventata una risorsa centrale e fondamentale, anche nella creazione della ricchezza. La centralità della conoscenza ha fatto sì che alcuni autori hanno descritto la nostra società con il termine Knowledge society.
A livello europeo, sono state fatte molte dichiarazioni e messe in campo altrettante strategie per poter raggiungere la società dei saperi a livello comunitario.
Tuttavia, è mancata da parte degli Stati membri una chiara volontà di concretizzare quanto prefissato. Tutto ciò è osservabile analizzando la spesa pubblica degli Stati nei settori chiave di istruzione e formazione, ricerca e sviluppo e innovazione, che è risultata insufficiente per raggiungere i risultati prestabiliti. In particolare, l'Italia è uno dei paesi europei che investe meno nei settori di cui sopra, ad esempio nel 2019, l’incidenza della spesa pubblica in istruzione e formazione sul prodotto interno lordo è stata pari al 3,9 per cento, a fronte di una media europea di 4,7 per cento. La posizione dell’Italia è terzultima, sotto la quale ci sono soltanto la Romania e l’Irlanda.
A ciò si aggiungono altri problemi, tra i quali i bassi stipendi degli insegnanti italiani e l'alto tasso di abbandono scolastico dei giovani studenti, unito con una bassa percentuale di laureati sull'intera popolazione rispetto ad altri Stati europei.
Ma i problemi verso la costruzione della Knowledge society non si esauriscono con quelli sopraelencati. Il lavoro ha subito una trasformazione, diventando al giorno d'oggi quasi esclusivamente di tipo cognitivo. Da qui è nato un filone di critica alla knowledge based economy, rappresentato dai teorici del capitalismo cognitivo. In particolare la critica è rivolta al paradigma manageriale, il quale compie un'esaltazione della knowledge based economy, sostenendo che questa sia vantaggiosa sia per le aziende, sia per i lavoratori, sia per la comunità in generale. Il lavoro è caratterizzato non più dalla gerarchizzazione e dal controllo, ma si sviluppa in rete e in questo modo le informazioni e le conoscenze sono in grado di svilupparsi e prosperare portando vantaggi per tutti.
A ben vedere però, secondo i teorici del capitalismo cognitivo, quanto sostenuto dalla teoria manageriale non si verifica nella realtà. Controllo e gerarchizzazione contraddistinguono ancora oggi il lavoro. Ciò che è cambiato rispetto al passato è la modalità attraverso la quale il capitale riesce a sussumere il lavoro ad esso, arrivando a sottrarre all'individuo anche il tempo di non lavoro, ossia quello dedicato alle passioni personali. Per i teorici del capitalismo cognitivo dunque, la distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro è venuta meno. A ciò si aggiunge la contrattazione individuale che ha sostituito quella collettiva e in tal modo ha creato una frammentazione tra i lavoratori, i quali, in un contesto di crisi, si trovano a competere l'uno contro l'altro, arrivando a considerarsi come "il nemico" anziché riuscire a cogliere gli aspetti e le condizioni che legano e uniscono gli stessi.
La frammentazione non appare soltanto tra i lavoratori ma la conoscenza stessa è frammentata. L'accesso al sapere sta subendo, con la rivoluzione digitale, un processo che alcuni autori hanno definito "seconde recinzioni". Con questo termine si intende il fatto che, le aspettative di democratizzazione della conoscenza e del sapere attraverso la libera diffusione attraverso internet sono venute meno, in quanto contrastate da "blocchi d'accesso" rappresentati dall'inasprimento delle leggi sul diritto d'autore e sui brevetti.
In tal modo la conoscenza non è libera di circolare, propagarsi, raggiungere l'intera comunità e uscirne arricchita e ampliata.
A ciò si aggiunge che non tutti nel mondo hanno accesso a Internet (5 miliardi di persone ne sono escluse) e anche tra coloro che vi ha accesso, solo una parte ha la possibilità di accedere alla conoscenza archiviata nelle basi di dati di editori scientifici privati o enti di ricerca, pubblici e privati, che garantiscono l’accesso ai saperi innovativi e alle ricerche originali.
Sulla base di queste considerazioni, risulta difficile parlare di Società della conoscenza. Tuttavia la possibilità di immaginare un futuro diverso non deve venire meno, anzi è compito della scuola e delle istituzioni deputate all'educazione insegnare a coltivare questa capacità.
Grazie a questo sforzo di immaginazione è possibile individuare all'interno del presente delle modalità attraverso le quali è possibile invertire la rotta e raggiungere una vera e propria società della conoscenza. Una possibilità è data dal considerare la conoscenza non come una merce, non come un bene privato ad uso esclusivo di pochi, bensì considerarla come bene comune, a servizio della collettività generale. Secondo i teorici dei beni comuni, occorre quindi raggiungere attraverso un linguaggio convincente la collettività, informarla, presentarle alternative che sono già esistenti ma che spesso non sono conosciute. L’onere della diffusione del linguaggio dei beni comuni spetta ai soggetti che sono maggiormente coinvolti dal fenomeno delle recinzioni, e quindi le biblioteche, le università, le associazioni professionali e gli editori scientifici.
Questi soggetti devono agire collettivamente, estendendo il proprio raggio d’azione, cercando di includere l’intero spettro dei creatori di informazioni e degli utenti delle risorse informative. Devono inoltre partecipare al dibattito politico, esponendo le potenzialità del paradigma dei beni comuni.
Insistere sul comune, ponendo l'attenzione sugli aspetti positivi, può essere visto come un antidoto contro la frammentazione. Allo stesso modo, considerare la conoscenza come bene comune, può essere una modalità attraverso la quale raggiungere un'effettiva Società della conoscenza.
A livello europeo, sono state fatte molte dichiarazioni e messe in campo altrettante strategie per poter raggiungere la società dei saperi a livello comunitario.
Tuttavia, è mancata da parte degli Stati membri una chiara volontà di concretizzare quanto prefissato. Tutto ciò è osservabile analizzando la spesa pubblica degli Stati nei settori chiave di istruzione e formazione, ricerca e sviluppo e innovazione, che è risultata insufficiente per raggiungere i risultati prestabiliti. In particolare, l'Italia è uno dei paesi europei che investe meno nei settori di cui sopra, ad esempio nel 2019, l’incidenza della spesa pubblica in istruzione e formazione sul prodotto interno lordo è stata pari al 3,9 per cento, a fronte di una media europea di 4,7 per cento. La posizione dell’Italia è terzultima, sotto la quale ci sono soltanto la Romania e l’Irlanda.
A ciò si aggiungono altri problemi, tra i quali i bassi stipendi degli insegnanti italiani e l'alto tasso di abbandono scolastico dei giovani studenti, unito con una bassa percentuale di laureati sull'intera popolazione rispetto ad altri Stati europei.
Ma i problemi verso la costruzione della Knowledge society non si esauriscono con quelli sopraelencati. Il lavoro ha subito una trasformazione, diventando al giorno d'oggi quasi esclusivamente di tipo cognitivo. Da qui è nato un filone di critica alla knowledge based economy, rappresentato dai teorici del capitalismo cognitivo. In particolare la critica è rivolta al paradigma manageriale, il quale compie un'esaltazione della knowledge based economy, sostenendo che questa sia vantaggiosa sia per le aziende, sia per i lavoratori, sia per la comunità in generale. Il lavoro è caratterizzato non più dalla gerarchizzazione e dal controllo, ma si sviluppa in rete e in questo modo le informazioni e le conoscenze sono in grado di svilupparsi e prosperare portando vantaggi per tutti.
A ben vedere però, secondo i teorici del capitalismo cognitivo, quanto sostenuto dalla teoria manageriale non si verifica nella realtà. Controllo e gerarchizzazione contraddistinguono ancora oggi il lavoro. Ciò che è cambiato rispetto al passato è la modalità attraverso la quale il capitale riesce a sussumere il lavoro ad esso, arrivando a sottrarre all'individuo anche il tempo di non lavoro, ossia quello dedicato alle passioni personali. Per i teorici del capitalismo cognitivo dunque, la distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro è venuta meno. A ciò si aggiunge la contrattazione individuale che ha sostituito quella collettiva e in tal modo ha creato una frammentazione tra i lavoratori, i quali, in un contesto di crisi, si trovano a competere l'uno contro l'altro, arrivando a considerarsi come "il nemico" anziché riuscire a cogliere gli aspetti e le condizioni che legano e uniscono gli stessi.
La frammentazione non appare soltanto tra i lavoratori ma la conoscenza stessa è frammentata. L'accesso al sapere sta subendo, con la rivoluzione digitale, un processo che alcuni autori hanno definito "seconde recinzioni". Con questo termine si intende il fatto che, le aspettative di democratizzazione della conoscenza e del sapere attraverso la libera diffusione attraverso internet sono venute meno, in quanto contrastate da "blocchi d'accesso" rappresentati dall'inasprimento delle leggi sul diritto d'autore e sui brevetti.
In tal modo la conoscenza non è libera di circolare, propagarsi, raggiungere l'intera comunità e uscirne arricchita e ampliata.
A ciò si aggiunge che non tutti nel mondo hanno accesso a Internet (5 miliardi di persone ne sono escluse) e anche tra coloro che vi ha accesso, solo una parte ha la possibilità di accedere alla conoscenza archiviata nelle basi di dati di editori scientifici privati o enti di ricerca, pubblici e privati, che garantiscono l’accesso ai saperi innovativi e alle ricerche originali.
Sulla base di queste considerazioni, risulta difficile parlare di Società della conoscenza. Tuttavia la possibilità di immaginare un futuro diverso non deve venire meno, anzi è compito della scuola e delle istituzioni deputate all'educazione insegnare a coltivare questa capacità.
Grazie a questo sforzo di immaginazione è possibile individuare all'interno del presente delle modalità attraverso le quali è possibile invertire la rotta e raggiungere una vera e propria società della conoscenza. Una possibilità è data dal considerare la conoscenza non come una merce, non come un bene privato ad uso esclusivo di pochi, bensì considerarla come bene comune, a servizio della collettività generale. Secondo i teorici dei beni comuni, occorre quindi raggiungere attraverso un linguaggio convincente la collettività, informarla, presentarle alternative che sono già esistenti ma che spesso non sono conosciute. L’onere della diffusione del linguaggio dei beni comuni spetta ai soggetti che sono maggiormente coinvolti dal fenomeno delle recinzioni, e quindi le biblioteche, le università, le associazioni professionali e gli editori scientifici.
Questi soggetti devono agire collettivamente, estendendo il proprio raggio d’azione, cercando di includere l’intero spettro dei creatori di informazioni e degli utenti delle risorse informative. Devono inoltre partecipare al dibattito politico, esponendo le potenzialità del paradigma dei beni comuni.
Insistere sul comune, ponendo l'attenzione sugli aspetti positivi, può essere visto come un antidoto contro la frammentazione. Allo stesso modo, considerare la conoscenza come bene comune, può essere una modalità attraverso la quale raggiungere un'effettiva Società della conoscenza.
File
Nome file | Dimensione |
---|---|
Tesi non consultabile. |