Tesi etd-01312021-184919 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
BITOZZI, VIRGINIA
URN
etd-01312021-184919
Titolo
Plasma therapy e SARS-CoV-2: basi razionali e evidenze cliniche.
Dipartimento
FARMACIA
Corso di studi
FARMACIA
Relatori
relatore Prof. Calderone, Vincenzo
Parole chiave
- Plasma Therapy
Data inizio appello
03/03/2021
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
03/03/2061
Riassunto
Il 9 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha per prima annunciato che il Dipartimento di Sanità cinese aveva identificato un nuovo tipo di β coronavirus come agente eziologico apparentemente responsabile dell’epidemia di polmonite atipica scoppiata a Wuhan, l’esteso capoluogo della provincia di Hubei, nella Cina centrale - noto anche come SARS-CoV-2 ( Severe Acute Respirathory Syndrome-related Coronavirus-2). La malattia correlata a SARS-CoV-2 era caratterizzata da polmonite interstiziale e presto si apprese che poteva progredire a danno d’organo generalizzato.
Una polmonite anomala in una città della Cina molto abitata ma non così conosciuta. Una notizia tutto sommato piccola che piano ma inesorabilmente cresce di intensità giorno dopo giorno. Sembra all’inizio un fenomeno isolato ma il 21 febbraio un uomo di 38 anni residente a Codogno risulta positivo al Coronavirus-2 (SARS-CoV-2) – come presto viene definita la sindrome respiratoria acuta causata dalla patologia. Si trattava del primo caso ufficiale riscontrato in Italia di COVID-19, il nome dato alla malattia associata al virus. Data la rapida diffusione su scala internazionale, l’11 marzo 2020 l’epidemia di COVID-19 è stata dichiarata pandemia da parte dell’OMS.
Il resto è storia recente, una storia che conosciamo tutti noi e che tocca tutti gli ambiti della vita delle persone e dei governi di tutto il mondo. Al momento in cui viene redatta la presente tesi, a 12 mesi esatti dal primo focolaio italiano di COVID-19, esiste una voce di Wikipedia, la famosa enciclopedia online, dedicata alla “Pandemia da COVID-19” che conta 714 referenze e svariate riedizioni quotidiane.
Fin dall’inizio della pandemia, nell’attesa che la ricerca di un vaccino facesse il suo corso, la scienza si è adoperata per trovare soluzioni alternative per la cura di pazienti affetti da coronavirus. Tra le strategie antivirali utili in fase precoce della malattia è stata proposta anche l’immunoterapia passiva, la pratica medica che prevede la somministrazione parenterale di siero la componente del sangue priva di cellule, contenente anticorpi neutralizzanti specifici al fine di indurre uno stato di immunità passiva che permette di curare determinate malattie infettive o di neutralizzare sostanze tossiche. Il trattamento è promettente e consiste nell’infusione nei pazienti con Covid-19 di plasma prelevato da persone già guarite dall’infezione. Queste persone hanno sviluppato gli anticorpi contro il nuovo coronavirus e proprio per questo il siero contenente gli anticorpi potrebbe fornire una sorta d’immunità che aiuta il malato a difendersi dall’avanzata dell’infezione (questo plasma viene chiamato iperimmune). La terapia non è peraltro nuova, dato che veniva già utilizzata nella Sars e nella Mers, ma anche in altre epidemie precedenti.
Dalla prima scoperta a fine ‘800 da parte del medico premio Nobel tedesco Emil Von Behring dell’efficacia dell’utilizzo della sieroterapia contro la difterite ed il tetano, essa ha acquisito sempre più valore terapeutico, tanto da essere stata utilizzata in passato per sconfiggere Ebola ed Epatite B. A Seconda che il siero venga somministrato prima o dopo l’infezione da SARS-CoV-2si parla di sieroterapia preventiva (sieroprofilassi) o curativa.
La terapia con il siero iperimmune è stata oggetto di apprezzamento da una parte della comunità scientifica internazionale e dell’opinione pubblica ma anche di numerose critiche viste le variabili difficili da controllare: la concentrazione di anticorpi totali variabili da donatore a donatore, la possibilità di eventi avversi legati alla trasfusione di sangue, la preoccupazione di possibili effetti pro-coagulanti (altamente negativi per i malati COVID-19), ed il problema della definizione di “donatore guarito” in considerazione della possibilità di falsi negativi, ovvero persone infettate e non rilevate dal tampone diagnostico.
Nel presente trattato si vanno ad elencare alcuni studi condotti sul plasma iperimmune che dimostrano come il trattamento preventivo di un malato di COVID-19 sia molto più efficace rispetto ad un trattamento curativo: nello studio condotto in Argentina, un trial clinico randomizzato in doppio cieco che confronta due gruppi, uno trattato con placebo e uno con plasma iperimmune, si evidenzia la riduzione della mortalità nei pazienti trattati con il plasma di pazienti convalescenti entro le 72 ore dell'insorgenza della sintomatologia.
Una polmonite anomala in una città della Cina molto abitata ma non così conosciuta. Una notizia tutto sommato piccola che piano ma inesorabilmente cresce di intensità giorno dopo giorno. Sembra all’inizio un fenomeno isolato ma il 21 febbraio un uomo di 38 anni residente a Codogno risulta positivo al Coronavirus-2 (SARS-CoV-2) – come presto viene definita la sindrome respiratoria acuta causata dalla patologia. Si trattava del primo caso ufficiale riscontrato in Italia di COVID-19, il nome dato alla malattia associata al virus. Data la rapida diffusione su scala internazionale, l’11 marzo 2020 l’epidemia di COVID-19 è stata dichiarata pandemia da parte dell’OMS.
Il resto è storia recente, una storia che conosciamo tutti noi e che tocca tutti gli ambiti della vita delle persone e dei governi di tutto il mondo. Al momento in cui viene redatta la presente tesi, a 12 mesi esatti dal primo focolaio italiano di COVID-19, esiste una voce di Wikipedia, la famosa enciclopedia online, dedicata alla “Pandemia da COVID-19” che conta 714 referenze e svariate riedizioni quotidiane.
Fin dall’inizio della pandemia, nell’attesa che la ricerca di un vaccino facesse il suo corso, la scienza si è adoperata per trovare soluzioni alternative per la cura di pazienti affetti da coronavirus. Tra le strategie antivirali utili in fase precoce della malattia è stata proposta anche l’immunoterapia passiva, la pratica medica che prevede la somministrazione parenterale di siero la componente del sangue priva di cellule, contenente anticorpi neutralizzanti specifici al fine di indurre uno stato di immunità passiva che permette di curare determinate malattie infettive o di neutralizzare sostanze tossiche. Il trattamento è promettente e consiste nell’infusione nei pazienti con Covid-19 di plasma prelevato da persone già guarite dall’infezione. Queste persone hanno sviluppato gli anticorpi contro il nuovo coronavirus e proprio per questo il siero contenente gli anticorpi potrebbe fornire una sorta d’immunità che aiuta il malato a difendersi dall’avanzata dell’infezione (questo plasma viene chiamato iperimmune). La terapia non è peraltro nuova, dato che veniva già utilizzata nella Sars e nella Mers, ma anche in altre epidemie precedenti.
Dalla prima scoperta a fine ‘800 da parte del medico premio Nobel tedesco Emil Von Behring dell’efficacia dell’utilizzo della sieroterapia contro la difterite ed il tetano, essa ha acquisito sempre più valore terapeutico, tanto da essere stata utilizzata in passato per sconfiggere Ebola ed Epatite B. A Seconda che il siero venga somministrato prima o dopo l’infezione da SARS-CoV-2si parla di sieroterapia preventiva (sieroprofilassi) o curativa.
La terapia con il siero iperimmune è stata oggetto di apprezzamento da una parte della comunità scientifica internazionale e dell’opinione pubblica ma anche di numerose critiche viste le variabili difficili da controllare: la concentrazione di anticorpi totali variabili da donatore a donatore, la possibilità di eventi avversi legati alla trasfusione di sangue, la preoccupazione di possibili effetti pro-coagulanti (altamente negativi per i malati COVID-19), ed il problema della definizione di “donatore guarito” in considerazione della possibilità di falsi negativi, ovvero persone infettate e non rilevate dal tampone diagnostico.
Nel presente trattato si vanno ad elencare alcuni studi condotti sul plasma iperimmune che dimostrano come il trattamento preventivo di un malato di COVID-19 sia molto più efficace rispetto ad un trattamento curativo: nello studio condotto in Argentina, un trial clinico randomizzato in doppio cieco che confronta due gruppi, uno trattato con placebo e uno con plasma iperimmune, si evidenzia la riduzione della mortalità nei pazienti trattati con il plasma di pazienti convalescenti entro le 72 ore dell'insorgenza della sintomatologia.
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