Tesi etd-01232010-112229 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea specialistica
Autore
BORDO, FRANCESCO
URN
etd-01232010-112229
Titolo
Il re nell'arte figurativa mesopotamica del III millennio
Dipartimento
LETTERE E FILOSOFIA
Corso di studi
ARCHEOLOGIA
Relatori
relatore Mazzoni, Stefania
correlatore Felli, Candida
correlatore Del Monte, Giuseppe
correlatore Felli, Candida
correlatore Del Monte, Giuseppe
Parole chiave
- Mesopotamia
- re
Data inizio appello
15/02/2010
Consultabilità
Parziale
Data di rilascio
15/02/2050
Riassunto
Nella Mesopotamia la fase della “rivoluzione urbana” è sinonimo della cultura della città-stato di Uruk, che al proprio apice conta più di 100 ettari di estensione ed un complesso templare di straordinaria imponenza. A capo della città vi è il cosiddetto re-sacerdote, una delle figure più rappresentative dall’arte figurativa del periodo. Il personaggio protagonista delle opere appena descritte è identificato come il re-sacerdote di Uruk, questi rappresenta la figura più caratteristica e studiata del periodo.
Questo personaggio sembra essere al vertice sia della scala gerarchica politica sia di quella religiosa, in cui l’aspetto sacrale del re viene sottolineato dalla titolatura stessa: en, che letteralmente significa sacerdote. Sul finire del periodo tardo-Uruk e per tutto il Proto-Dinastico I si assiste in Mesopotamia ad un cambio radicale dell’idrografia superficiale: si passa da una regione coperta da una rete irregolare di piccoli canali di varia dimensione a pochi corsi d’acqua di grande portata. Questo è causa di un periodo di grave crisi che dura circa 150 anni, durante i quali non si ha una grande preminenza, come nel periodo precedente o in quelli successivi, di una città. Archeologicamente non vi sono molte soluzioni di continuità, eccezion fatta per la regione della Diyala, tra il Tardo-Uruk e il Proto-Dinastico I; le testimonianze epigrafiche provenienti da Ur attestano soltanto transazioni economiche. Terminata questa parentesi di recessione si assiste nel Proto-Dinastico II ad una ripresa demografica, politica e culturale. In questo periodo, contrariamente a quello Uruk, si ha un vero e proprio policentrismo con una serie di città stato equivalenti e in competizione tra loro. Assistiamo alla nascita e all’espansione di Adab, Eridu, Ešnunna, Kiš, Lagaš, Nippur, Šuruppak e Umma, insieme alle già citate Ur e Uruk. La Mesopotamia ospita ora gruppi di varie etnie e lingue, distribuite abbastanza omogeneamente.
La classe dirigente del periodo è staccata dalla religione, il centro del potere non è più il tempio, ma il palazzo, che riproduce su grande scala la struttura domestica, i primi palazzi sono noti ad Eridu e a Kiš. Ciononostante l’importanza del tempio rimane invariata all’interno della società, ma questo diventa subordinato al palazzo, dividendosi le sfere di occupazione: il tempio si interessa della produzione primaria, della trasformazione, dell’immagazzinamento e della ridistribuzione di beni; il palazzo si occupa del controllo e della costruzione delle infrastrutture e dell’amministrazione economica. Tempio e palazzo penetrano a fondo nella società fornendo servizi in cambio di tasse e di corvée. Ogni città è governata da una dinastia locale che usa un appellativo differente per il sovrano come en a Uruk, ensi a Lagaš e lugal a Ur e Kiš. Il re della città è legittimato dalla classe sacerdotale, subordinata al potere palatino, di conseguenza una lotta tra due città non è solo lo scontro tra forze regali, ma è un conflitto tra due divinità.
Al termine del periodo Proto-Dinastico si assiste nella Mesopotamia a dei cambiamenti che avranno delle conseguenze nei periodi successivi, l’ascesa accadica ha inizio alla corte di Ur-Zababa, re di Kiš, dove è coppiere Sargon (Šarru-Kin in accadico); il quale riesce a prendere il potere in questa città, acquisisce il titolo di “lugal Kiš” e considera questa città come la propria capitale. Investito direttamente dagli dèi egli è un uomo, ma con capacità eccezionali, le vicende militari sono espressione della forza eroica del sovrano stesso. La sacerdotessa personifica la sposa del dio, Ningal, cioè la madre di Inanna. Quest’ultima è stata assimilata alla dea Ištar, protettrice della dinastia accadica. Con questa operazione Sargon ha legittimato la divinità cittadina, che diventerà così una delle più importanti divinità del pantheon mesopotamico. Il culmine di questo processo si ha con il nipote del fondatore della dinastia, Narām-Sîn, che assume elementi divini sia nella sua titolatura sia nella sua iconografia ufficiale.
Sargon e Narām-Sîn regalano alla storia due icone, positive o negative, del re mesopotamico grazie all’ideale di un unico regno. I sovrani successivi saranno costretti a paragonarsi alle figure accadiche; la tradizione storica vede in Sargon “l’uomo nuovo”, un modello da rispettare e seguire che rappresenta l’ascesa, mentre Narām-Sîn impersona tutto quello che di sbagliato c’è nella regalità, raffigurante la fase discendente del regno. Questa accezione negativa dell’opera di Narām-Sîn è causata dalla divinizzazione del sovrano, tuttavia ci sono alcuni re che accettano ed adottano l’innovazione del monarca accadico, tra essi vi sono i sovrani neo-sumeri.
Dopo il collasso del regno di Akkad le città del sud acquisiscono l’indipendenza, esistono dinastie locali come a Lagaš e ad Ur, i cui re-fondatori delle dinastie sono rispettivamente Gudea ed Ur-Nammu. Ur-Nammu ed i suoi successori intendono subentrare alle divinità locali, mantengono quindi la divinizzazione del re. Abbiamo appena visto l’importanza del sovrano per le popolazioni mesopotamiche del III millennio, ma come è possibile capire l’ideologia del sovrano se non analizzando la propria iconografia. La titolatura di cui il sovrano si fregia cambia nel corso della storia; i vari epiteti dipendono dai diversi gradi di subordinazione alla divinità locale e dalla concezione del mondo.
Ad Uruk il già citato re-sacerdote assume nella propria titolatura ufficiale l’appellativo di en, questo indica che il re e la società di Uruk credono in una discendenza del potere regio direttamente da quello religioso. Un altro titolo regale tipico della città di Lagaš è ensi; questo evidenzia il rapporto di subordinazione che lega la divinità cittadina al monarca locale, tuttavia nei periodi accadico e neo-sumerico cambia la valenza del vocabolo iniziando a designare i governatori cittadini piuttosto che lo stesso re. Ad Ur ed a Kiš è usato il titolo di lugal, per identificare il re. Si può affermare che il titolo di “re di Kiš” viene, da questo momento in poi, reinterpretato come “re della totalità”.
È da notare che Sargon, accanto alla titolatura citata, si definisce “re senza rivali”, mentre Narām-Sîn abbandona entrambi gli epiteti per adottare quello di re di Akkad e quello di “re delle quattro parti del mondo”. I re neo-sumeri non hanno attinto dalla dinastia accadica solo la titolatura, ma hanno preso da Narām-Sîn la divinizzazione in vita del sovrano.
Partendo dal primo rilievo analizzato, la base da Girsu, notiamo che il personaggio identificato come regale tiene in mano un bastone, sinonimo della potenza terrena del sovrano, il quale è effigiato alla medesima maniera del re-sacerdote di Uruk. Questa potenza terrena viene messa da parte per esaltare l’aspetto di signore dell’agricoltura e della vegetazione mostrato nella cosiddetta Figure aux plumes, qui il sovrano è colui che attraverso il controllo delle colture assicura prosperità e nutrimento al proprio popolo in nome del dio cittadino, nel caso specifico Ningirsu. La stele di Eannatum ha lo scopo di celebrare la potenza militare del sovrano, tutto ruota attorno alla commemorazione della vittoria del re di Lagaš, il quale è il potente uomo prediletto dal dio, egli è sostenuto materialmente da Ningirsu; questi tiene la rete dei nemici catturati. Il dio “personale” di Eannatum prende quindi parte alla battaglia, schierandosi e combattendo dalla parte del re di Lagaš. Dai rilievi sumeri si evince quindi che il re è subordinato alla sfera divina, così come tutto il popolo; il sovrano è investito della sua carica dagli dèi, egli è il primo tra gli uomini, ma pur sempre un uomo. Nella stele di Ištar Sargon utilizza, come il re di Lagaš, lo schema compositivo della rete contenente i nemici catturati; tuttavia nel monumento accadico il sovrano si sostituisce alla divinità nell’atto di colpire il capo dei nemici, così da sottolineare la sua forza in battaglia. Ciò nonostante Sargon, come Eannatum, sottolinea la legittimazione religiosa del proprio operato attraverso la presenza della dea Ištar che assiste alla scena. Lorenzo Nigro suppone che il soggetto di questa stele diviene il tema prediletto della propaganda reale atta allo scopo di estendere la riforma ideologica del sovrano e di legittimare l’usurpazione con cui era salito al trono. Senza i frammenti della stele di Eannatum non sarebbe possibile comprendere appieno il significato ideologico della stele di Ištar. Sargon si sostituisce al dio nell’atto di colpire il capo nemico, questo può essere quasi interpretato come una divinizzazione, ma più verosimilmente si potrebbe affermare che la forza del re sia equiparabile a quella del dio.
Nella stele Sb1 il fondatore della dinastia si rifà nuovamente alla stele degli Avvoltoi, riprendendo la scena che dà il nome a questa stele, cioè il volo degli avvoltoi sul campo di battaglia. Partendo dalla faccia B, che deve essere quella principale della stele, la prima figura che si incontra è Sargon che guida dei soldati verso la battaglia; proseguendo sulla faccia A è il seguito del corteo del sovrano. Questo escamotage mette così in risalto la figura del sovrano che inizia a staccarsi, distinguendosi dalla massa, al contrario di Eannatum, la cui immagine è appena distinguibile dalla falange. Il re inizia a distinguersi, fisicamente ed ideologicamente, dal resto del popolo. Nella stele Sb1 il re è raffigurato nell’atto di guidare un manipolo di soldati in battaglia; sulla base della la stele di Ištar è possibile ipotizzare che nella sommità mancante della stele fosse la scena che descrive la glorificazione di Sargon. Rīmuš riprende lo schema storico-ideologico della stele di Ištar, in cui è celebrata la vittoria su Lugalzaggesi di Uruk, grazie alla quale Sargon adotta il titolo di “re della totalità”; allo stesso modo Rīmuš, sconfiggendo la coalizione sumerica, ristabilisce la regalità universale di Akkad.
In questo monumento il sovrano sembra che voglia legittimare il titolo di “re della totalità” ed emulare le imprese del predecessore così da dimostrare di essere degno di ricoprire la carica di sovrano. L’iconografia del re è ripresa dalla stele di Rīmuš, con l’aggiunta del copricapo con le corna distintivo della divinità. Narām-Sîn domina dall’alto di una montagna la scena, caratterizzata da soldati accadici che salgono verso il loro dio-re e da nemici o morti o imploranti o che precipitano; la drammaticità della scena è il punto focale della stele. La forma del monumento e la disposizione delle figure imprimono un moto ascensionale a tutta la composizione, culminante con la figura del sovrano divinizzato e vittorioso. Il sovrano, come Rīmuš, è raffigurato armato di arco e frecce, il nemico trafitto da una freccia ai piedi del re suggerisce che Narām-Sîn abbia combattuto nella battaglia. Attraverso questo monumento Narām-Sîn ha espresso l’ideale di re, dio, guerriero e vincitore, tutto assimilato nella propria figura. Tutto ciò reso possibile grazie al favore di sette divinità mesopotamiche che osservano dall’alto le azioni del re. Questa diversità è, verosimilmente, data dal fatto che nella stele della Vittoria i destinatari del messaggio erano gli accadi, quindi bisognava esaltare il più possibile la figura del sovrano al fine di suscitare il consenso popolare. A fronte di tutto ciò possiamo affermare che nella stele di Ištar il sovrano vuole esaltare la sua potenza, uguale a quella di un dio, Ningirsu che viene subordinato alla forza della dea Ištar. Similmente fa Rīmuš, nella propria stele, effigiato mentre uccide personalmente i nemici, il messaggio è uguale a quello della stele Sb1, ma con l’aggiunta della celebrazione della figura del sovrano come guerriero impavido e vincitore. Narām-Sîn nella stele della Vittoria esaspera l’idea del sovrano vittorioso, questi campeggia come unico trionfatore sul campo di battaglia; Narām-Sîn è il dio fatto uomo a cui nessuno può opporsi, perché oltre essere un dio, egli è protetto da tutte le divinità mesopotamiche. Al contrario, nella stele da Pir Huseïn e nel rilievo da Darbad-i Gawr il re non è più un dio, ma è comunque oltre la condizione umana.
Si può dire che per tutti i sovrani della dinastia accadica il tema su cui doveva ruotare la propaganda erano le imprese militari, quando i destinatari erano accadi; mentre se i destinatari del messaggio erano popoli diversi, il soggetto della propaganda diveniva la legittimazione e la benevolenza del re.
In questo periodo storico assistiamo a tutte le varie fasi evolutive attraverso le quali la condizione umana del re trascende fino a raggiungere lo status di divinità. Secondo la visione di Sargon il re è l’uomo prediletto dagli dèi, un uomo dotato di potenza divina, ma pur sempre uomo, mentre secondo la concezione di Narām-Sîn il sovrano è al di sopra della condizione umana, è un vero e proprio dio sceso sulla terra.
Nonostante le innumerevoli innovazioni iconografiche e concettuali introdotte nel periodo accadico, il fondatore della dinastia rimane inevitabilmente legato a delle tradizioni locali che si sono sviluppate fino ad oltrepassare i confini della Mesopotamia. Questo legame è espresso in minima parte dalla veste del sovrano, che ritroviamo in contesti Protodinastici, ma soprattutto dagli attributi del re; è possibile notare che nella stele Sb1 il sovrano brandisce un bastone, questo oggetto lo ritroviamo tra le mani di Eannatum nella stele degli Avvoltoi, continuando la regressione temporale si constata che un oggetto ricurvo è effigiato come attributo del soggetto della base da Girsu. Uscendo dai confini della Mesopotamia fino ad arrivare ad Ebla dove si nota come il medesimo oggetto sia strettamente legato ad un’immagine regale. Il bastone è il simbolo del potere e della forza terrena del sovrano in epoca Protodinastica.
Con la caduta del regno accadico, con lo spostamento del baricentro politico e con il cambiamento etnico della dinastia egemone in Mesopotamia, cambia la società e con lei il concetto di regalità. Il legame tra il dio ed Ur-Nammu appare invece, nel rilievo descritto, ancora più intimo rispetto a quello di Gudea; nella stele del re di Ur non vi sono divinità intercedenti, c’è solamente il re di fronte al dio in trono. Innanzitutto le monumentali dimensioni della stele non hanno confronti prima dell’età di Akkad.
La statua regale di ḪAR.TU ha l’iconografia dell’orante, questo pio senso di subordinazione totale al dio viene dedotto anche dall’iscrizione, nella quale si proclama “servitore” del dio. Il re, nell’iscrizione incisa sul frammento riportato, si fregia del titolo di re di Kiš, declama le proprie conquiste militari esaltando in particolare il “bottino” che porta con sé ad Akkad. Maništūsu dedica la propria statua ad Enlil, non ad Ištar, egli nomina la divinità personale del padre: Ilaba; in questa statua il re non cita la dea della guerra, patrona della dinastia, ma sembra voglia rifarsi a tradizioni più pacifiche legate alla nascita del regno. La mancanza di altre statue ascrivibili ad altri re, complete o meno, non è indicativa; tuttavia è una coincidenza assai curiosa che tutti gli altri frammenti di statue accadiche siano riconducibili quasi esclusivamente a Maništūsu.
Proseguendo troviamo il primo re della dinastia di Lagaš, Ur-Bau. Poi il re incarica la stessa statua di consegnare il messaggio al proprio dio: “…ha installato la statua per portare i messaggi…” (Statua B, col. La volontà di rifacimento a quel periodo viene espressa dal governatore di Lagaš nell’iscrizione della statua B, nella quale, pone nella montagna di Magan, la stessa indicata dai re accadici, il luogo di provenienza della diorite.
Gudea si rifà alla dinastia accadica, ed in particolare a Maništūsu, per l’iconografia della statua E: la posizione delle mani, il materiale e la veste liscia indicano un chiaro richiamo al re semita. Si potrebbe affermare che Gudea voglia l’aiuto della propria divinità personale per arrivare al cospetto del dio delle acque.
È da notare come iconograficamente Sargon ed Yiškīmari siano vicini, oltre la già citata veste possiamo mettere a confronto i sigilli del re mariota con la Stele Sb1 del sovrano accadico. Durante il periodo preso in questione si assiste ad una presa di coscienza del ruolo e dello status del sovrano, questo processo si traduce nella volontà del re di sottomettere il popolo alla propria posizione e di assoggettarsi, a sua volta, al volere del dio. Questo è il messaggio che emerge dai rilievi Protodinastici, nei quali i sovrani sono tali solo grazie alla divinità, il re amministra la terra grazie al potere divino e per questo motivo ha un debito verso il dio cittadino. Il periodo accadico riduce questo divario tra divinità e re, ma aumenta quello tra popolo e sovrano. Si può notare, interna alla dinastia semitica, un’evoluzione del concetto di regalità: Sargon rimane legato alla celebrazione della propria potenza secondo i canoni protodinastici, tuttavia eleva la propria figura, equiparando la propria potenza a quella degli altri dèi cittadini. Il sovrano assume la figura del pio costruttore devoto alla divinità il cui compito, oltre quello di costruttore, è quello di amministratore di quel territorio donatogli dagli dèi. La propaganda di questo periodo si basa però non sull’operato del sovrano nei confronti del proprio popolo, ma sulla compiacenza della divinità cittadina.
La statuaria rappresenta un rapporto più intimo e personale con la divinità titolare del tempio. Questa uguaglianza di fronte alla propria divinità suggerisce che il sovrano, come individuo singolo, aveva una visione di sé stesso subordinato alla divinità.
Per le zone periferiche sarebbe possibile parlare di una sudditanza, in ambito stilistico, nei confronti della Mesopotamia del sud. Questo è supportato dalle evidenze iconografiche analizzate nel precedente capitolo; abbiamo notato come vi siano molti tratti comuni, sia nel rilievo (lo chignon ed il bastone ricurvo), sia nella statuaria (l’offerta del quadrupede e di nuovo lo chignon).
Concludendo da questa analisi è emerso come nel Protodinastico il sovrano fosse il “fattore” del dio, passando poi tra la fine del periodo e l’inizio della dinastia accadica (Eannatum e Sargon) ad essere il più potente degli uomini, la cui forza è paragonabile a quella della divinità personale, la quale protegge e veglia sul proprio favorito.
Questo personaggio sembra essere al vertice sia della scala gerarchica politica sia di quella religiosa, in cui l’aspetto sacrale del re viene sottolineato dalla titolatura stessa: en, che letteralmente significa sacerdote. Sul finire del periodo tardo-Uruk e per tutto il Proto-Dinastico I si assiste in Mesopotamia ad un cambio radicale dell’idrografia superficiale: si passa da una regione coperta da una rete irregolare di piccoli canali di varia dimensione a pochi corsi d’acqua di grande portata. Questo è causa di un periodo di grave crisi che dura circa 150 anni, durante i quali non si ha una grande preminenza, come nel periodo precedente o in quelli successivi, di una città. Archeologicamente non vi sono molte soluzioni di continuità, eccezion fatta per la regione della Diyala, tra il Tardo-Uruk e il Proto-Dinastico I; le testimonianze epigrafiche provenienti da Ur attestano soltanto transazioni economiche. Terminata questa parentesi di recessione si assiste nel Proto-Dinastico II ad una ripresa demografica, politica e culturale. In questo periodo, contrariamente a quello Uruk, si ha un vero e proprio policentrismo con una serie di città stato equivalenti e in competizione tra loro. Assistiamo alla nascita e all’espansione di Adab, Eridu, Ešnunna, Kiš, Lagaš, Nippur, Šuruppak e Umma, insieme alle già citate Ur e Uruk. La Mesopotamia ospita ora gruppi di varie etnie e lingue, distribuite abbastanza omogeneamente.
La classe dirigente del periodo è staccata dalla religione, il centro del potere non è più il tempio, ma il palazzo, che riproduce su grande scala la struttura domestica, i primi palazzi sono noti ad Eridu e a Kiš. Ciononostante l’importanza del tempio rimane invariata all’interno della società, ma questo diventa subordinato al palazzo, dividendosi le sfere di occupazione: il tempio si interessa della produzione primaria, della trasformazione, dell’immagazzinamento e della ridistribuzione di beni; il palazzo si occupa del controllo e della costruzione delle infrastrutture e dell’amministrazione economica. Tempio e palazzo penetrano a fondo nella società fornendo servizi in cambio di tasse e di corvée. Ogni città è governata da una dinastia locale che usa un appellativo differente per il sovrano come en a Uruk, ensi a Lagaš e lugal a Ur e Kiš. Il re della città è legittimato dalla classe sacerdotale, subordinata al potere palatino, di conseguenza una lotta tra due città non è solo lo scontro tra forze regali, ma è un conflitto tra due divinità.
Al termine del periodo Proto-Dinastico si assiste nella Mesopotamia a dei cambiamenti che avranno delle conseguenze nei periodi successivi, l’ascesa accadica ha inizio alla corte di Ur-Zababa, re di Kiš, dove è coppiere Sargon (Šarru-Kin in accadico); il quale riesce a prendere il potere in questa città, acquisisce il titolo di “lugal Kiš” e considera questa città come la propria capitale. Investito direttamente dagli dèi egli è un uomo, ma con capacità eccezionali, le vicende militari sono espressione della forza eroica del sovrano stesso. La sacerdotessa personifica la sposa del dio, Ningal, cioè la madre di Inanna. Quest’ultima è stata assimilata alla dea Ištar, protettrice della dinastia accadica. Con questa operazione Sargon ha legittimato la divinità cittadina, che diventerà così una delle più importanti divinità del pantheon mesopotamico. Il culmine di questo processo si ha con il nipote del fondatore della dinastia, Narām-Sîn, che assume elementi divini sia nella sua titolatura sia nella sua iconografia ufficiale.
Sargon e Narām-Sîn regalano alla storia due icone, positive o negative, del re mesopotamico grazie all’ideale di un unico regno. I sovrani successivi saranno costretti a paragonarsi alle figure accadiche; la tradizione storica vede in Sargon “l’uomo nuovo”, un modello da rispettare e seguire che rappresenta l’ascesa, mentre Narām-Sîn impersona tutto quello che di sbagliato c’è nella regalità, raffigurante la fase discendente del regno. Questa accezione negativa dell’opera di Narām-Sîn è causata dalla divinizzazione del sovrano, tuttavia ci sono alcuni re che accettano ed adottano l’innovazione del monarca accadico, tra essi vi sono i sovrani neo-sumeri.
Dopo il collasso del regno di Akkad le città del sud acquisiscono l’indipendenza, esistono dinastie locali come a Lagaš e ad Ur, i cui re-fondatori delle dinastie sono rispettivamente Gudea ed Ur-Nammu. Ur-Nammu ed i suoi successori intendono subentrare alle divinità locali, mantengono quindi la divinizzazione del re. Abbiamo appena visto l’importanza del sovrano per le popolazioni mesopotamiche del III millennio, ma come è possibile capire l’ideologia del sovrano se non analizzando la propria iconografia. La titolatura di cui il sovrano si fregia cambia nel corso della storia; i vari epiteti dipendono dai diversi gradi di subordinazione alla divinità locale e dalla concezione del mondo.
Ad Uruk il già citato re-sacerdote assume nella propria titolatura ufficiale l’appellativo di en, questo indica che il re e la società di Uruk credono in una discendenza del potere regio direttamente da quello religioso. Un altro titolo regale tipico della città di Lagaš è ensi; questo evidenzia il rapporto di subordinazione che lega la divinità cittadina al monarca locale, tuttavia nei periodi accadico e neo-sumerico cambia la valenza del vocabolo iniziando a designare i governatori cittadini piuttosto che lo stesso re. Ad Ur ed a Kiš è usato il titolo di lugal, per identificare il re. Si può affermare che il titolo di “re di Kiš” viene, da questo momento in poi, reinterpretato come “re della totalità”.
È da notare che Sargon, accanto alla titolatura citata, si definisce “re senza rivali”, mentre Narām-Sîn abbandona entrambi gli epiteti per adottare quello di re di Akkad e quello di “re delle quattro parti del mondo”. I re neo-sumeri non hanno attinto dalla dinastia accadica solo la titolatura, ma hanno preso da Narām-Sîn la divinizzazione in vita del sovrano.
Partendo dal primo rilievo analizzato, la base da Girsu, notiamo che il personaggio identificato come regale tiene in mano un bastone, sinonimo della potenza terrena del sovrano, il quale è effigiato alla medesima maniera del re-sacerdote di Uruk. Questa potenza terrena viene messa da parte per esaltare l’aspetto di signore dell’agricoltura e della vegetazione mostrato nella cosiddetta Figure aux plumes, qui il sovrano è colui che attraverso il controllo delle colture assicura prosperità e nutrimento al proprio popolo in nome del dio cittadino, nel caso specifico Ningirsu. La stele di Eannatum ha lo scopo di celebrare la potenza militare del sovrano, tutto ruota attorno alla commemorazione della vittoria del re di Lagaš, il quale è il potente uomo prediletto dal dio, egli è sostenuto materialmente da Ningirsu; questi tiene la rete dei nemici catturati. Il dio “personale” di Eannatum prende quindi parte alla battaglia, schierandosi e combattendo dalla parte del re di Lagaš. Dai rilievi sumeri si evince quindi che il re è subordinato alla sfera divina, così come tutto il popolo; il sovrano è investito della sua carica dagli dèi, egli è il primo tra gli uomini, ma pur sempre un uomo. Nella stele di Ištar Sargon utilizza, come il re di Lagaš, lo schema compositivo della rete contenente i nemici catturati; tuttavia nel monumento accadico il sovrano si sostituisce alla divinità nell’atto di colpire il capo dei nemici, così da sottolineare la sua forza in battaglia. Ciò nonostante Sargon, come Eannatum, sottolinea la legittimazione religiosa del proprio operato attraverso la presenza della dea Ištar che assiste alla scena. Lorenzo Nigro suppone che il soggetto di questa stele diviene il tema prediletto della propaganda reale atta allo scopo di estendere la riforma ideologica del sovrano e di legittimare l’usurpazione con cui era salito al trono. Senza i frammenti della stele di Eannatum non sarebbe possibile comprendere appieno il significato ideologico della stele di Ištar. Sargon si sostituisce al dio nell’atto di colpire il capo nemico, questo può essere quasi interpretato come una divinizzazione, ma più verosimilmente si potrebbe affermare che la forza del re sia equiparabile a quella del dio.
Nella stele Sb1 il fondatore della dinastia si rifà nuovamente alla stele degli Avvoltoi, riprendendo la scena che dà il nome a questa stele, cioè il volo degli avvoltoi sul campo di battaglia. Partendo dalla faccia B, che deve essere quella principale della stele, la prima figura che si incontra è Sargon che guida dei soldati verso la battaglia; proseguendo sulla faccia A è il seguito del corteo del sovrano. Questo escamotage mette così in risalto la figura del sovrano che inizia a staccarsi, distinguendosi dalla massa, al contrario di Eannatum, la cui immagine è appena distinguibile dalla falange. Il re inizia a distinguersi, fisicamente ed ideologicamente, dal resto del popolo. Nella stele Sb1 il re è raffigurato nell’atto di guidare un manipolo di soldati in battaglia; sulla base della la stele di Ištar è possibile ipotizzare che nella sommità mancante della stele fosse la scena che descrive la glorificazione di Sargon. Rīmuš riprende lo schema storico-ideologico della stele di Ištar, in cui è celebrata la vittoria su Lugalzaggesi di Uruk, grazie alla quale Sargon adotta il titolo di “re della totalità”; allo stesso modo Rīmuš, sconfiggendo la coalizione sumerica, ristabilisce la regalità universale di Akkad.
In questo monumento il sovrano sembra che voglia legittimare il titolo di “re della totalità” ed emulare le imprese del predecessore così da dimostrare di essere degno di ricoprire la carica di sovrano. L’iconografia del re è ripresa dalla stele di Rīmuš, con l’aggiunta del copricapo con le corna distintivo della divinità. Narām-Sîn domina dall’alto di una montagna la scena, caratterizzata da soldati accadici che salgono verso il loro dio-re e da nemici o morti o imploranti o che precipitano; la drammaticità della scena è il punto focale della stele. La forma del monumento e la disposizione delle figure imprimono un moto ascensionale a tutta la composizione, culminante con la figura del sovrano divinizzato e vittorioso. Il sovrano, come Rīmuš, è raffigurato armato di arco e frecce, il nemico trafitto da una freccia ai piedi del re suggerisce che Narām-Sîn abbia combattuto nella battaglia. Attraverso questo monumento Narām-Sîn ha espresso l’ideale di re, dio, guerriero e vincitore, tutto assimilato nella propria figura. Tutto ciò reso possibile grazie al favore di sette divinità mesopotamiche che osservano dall’alto le azioni del re. Questa diversità è, verosimilmente, data dal fatto che nella stele della Vittoria i destinatari del messaggio erano gli accadi, quindi bisognava esaltare il più possibile la figura del sovrano al fine di suscitare il consenso popolare. A fronte di tutto ciò possiamo affermare che nella stele di Ištar il sovrano vuole esaltare la sua potenza, uguale a quella di un dio, Ningirsu che viene subordinato alla forza della dea Ištar. Similmente fa Rīmuš, nella propria stele, effigiato mentre uccide personalmente i nemici, il messaggio è uguale a quello della stele Sb1, ma con l’aggiunta della celebrazione della figura del sovrano come guerriero impavido e vincitore. Narām-Sîn nella stele della Vittoria esaspera l’idea del sovrano vittorioso, questi campeggia come unico trionfatore sul campo di battaglia; Narām-Sîn è il dio fatto uomo a cui nessuno può opporsi, perché oltre essere un dio, egli è protetto da tutte le divinità mesopotamiche. Al contrario, nella stele da Pir Huseïn e nel rilievo da Darbad-i Gawr il re non è più un dio, ma è comunque oltre la condizione umana.
Si può dire che per tutti i sovrani della dinastia accadica il tema su cui doveva ruotare la propaganda erano le imprese militari, quando i destinatari erano accadi; mentre se i destinatari del messaggio erano popoli diversi, il soggetto della propaganda diveniva la legittimazione e la benevolenza del re.
In questo periodo storico assistiamo a tutte le varie fasi evolutive attraverso le quali la condizione umana del re trascende fino a raggiungere lo status di divinità. Secondo la visione di Sargon il re è l’uomo prediletto dagli dèi, un uomo dotato di potenza divina, ma pur sempre uomo, mentre secondo la concezione di Narām-Sîn il sovrano è al di sopra della condizione umana, è un vero e proprio dio sceso sulla terra.
Nonostante le innumerevoli innovazioni iconografiche e concettuali introdotte nel periodo accadico, il fondatore della dinastia rimane inevitabilmente legato a delle tradizioni locali che si sono sviluppate fino ad oltrepassare i confini della Mesopotamia. Questo legame è espresso in minima parte dalla veste del sovrano, che ritroviamo in contesti Protodinastici, ma soprattutto dagli attributi del re; è possibile notare che nella stele Sb1 il sovrano brandisce un bastone, questo oggetto lo ritroviamo tra le mani di Eannatum nella stele degli Avvoltoi, continuando la regressione temporale si constata che un oggetto ricurvo è effigiato come attributo del soggetto della base da Girsu. Uscendo dai confini della Mesopotamia fino ad arrivare ad Ebla dove si nota come il medesimo oggetto sia strettamente legato ad un’immagine regale. Il bastone è il simbolo del potere e della forza terrena del sovrano in epoca Protodinastica.
Con la caduta del regno accadico, con lo spostamento del baricentro politico e con il cambiamento etnico della dinastia egemone in Mesopotamia, cambia la società e con lei il concetto di regalità. Il legame tra il dio ed Ur-Nammu appare invece, nel rilievo descritto, ancora più intimo rispetto a quello di Gudea; nella stele del re di Ur non vi sono divinità intercedenti, c’è solamente il re di fronte al dio in trono. Innanzitutto le monumentali dimensioni della stele non hanno confronti prima dell’età di Akkad.
La statua regale di ḪAR.TU ha l’iconografia dell’orante, questo pio senso di subordinazione totale al dio viene dedotto anche dall’iscrizione, nella quale si proclama “servitore” del dio. Il re, nell’iscrizione incisa sul frammento riportato, si fregia del titolo di re di Kiš, declama le proprie conquiste militari esaltando in particolare il “bottino” che porta con sé ad Akkad. Maništūsu dedica la propria statua ad Enlil, non ad Ištar, egli nomina la divinità personale del padre: Ilaba; in questa statua il re non cita la dea della guerra, patrona della dinastia, ma sembra voglia rifarsi a tradizioni più pacifiche legate alla nascita del regno. La mancanza di altre statue ascrivibili ad altri re, complete o meno, non è indicativa; tuttavia è una coincidenza assai curiosa che tutti gli altri frammenti di statue accadiche siano riconducibili quasi esclusivamente a Maništūsu.
Proseguendo troviamo il primo re della dinastia di Lagaš, Ur-Bau. Poi il re incarica la stessa statua di consegnare il messaggio al proprio dio: “…ha installato la statua per portare i messaggi…” (Statua B, col. La volontà di rifacimento a quel periodo viene espressa dal governatore di Lagaš nell’iscrizione della statua B, nella quale, pone nella montagna di Magan, la stessa indicata dai re accadici, il luogo di provenienza della diorite.
Gudea si rifà alla dinastia accadica, ed in particolare a Maništūsu, per l’iconografia della statua E: la posizione delle mani, il materiale e la veste liscia indicano un chiaro richiamo al re semita. Si potrebbe affermare che Gudea voglia l’aiuto della propria divinità personale per arrivare al cospetto del dio delle acque.
È da notare come iconograficamente Sargon ed Yiškīmari siano vicini, oltre la già citata veste possiamo mettere a confronto i sigilli del re mariota con la Stele Sb1 del sovrano accadico. Durante il periodo preso in questione si assiste ad una presa di coscienza del ruolo e dello status del sovrano, questo processo si traduce nella volontà del re di sottomettere il popolo alla propria posizione e di assoggettarsi, a sua volta, al volere del dio. Questo è il messaggio che emerge dai rilievi Protodinastici, nei quali i sovrani sono tali solo grazie alla divinità, il re amministra la terra grazie al potere divino e per questo motivo ha un debito verso il dio cittadino. Il periodo accadico riduce questo divario tra divinità e re, ma aumenta quello tra popolo e sovrano. Si può notare, interna alla dinastia semitica, un’evoluzione del concetto di regalità: Sargon rimane legato alla celebrazione della propria potenza secondo i canoni protodinastici, tuttavia eleva la propria figura, equiparando la propria potenza a quella degli altri dèi cittadini. Il sovrano assume la figura del pio costruttore devoto alla divinità il cui compito, oltre quello di costruttore, è quello di amministratore di quel territorio donatogli dagli dèi. La propaganda di questo periodo si basa però non sull’operato del sovrano nei confronti del proprio popolo, ma sulla compiacenza della divinità cittadina.
La statuaria rappresenta un rapporto più intimo e personale con la divinità titolare del tempio. Questa uguaglianza di fronte alla propria divinità suggerisce che il sovrano, come individuo singolo, aveva una visione di sé stesso subordinato alla divinità.
Per le zone periferiche sarebbe possibile parlare di una sudditanza, in ambito stilistico, nei confronti della Mesopotamia del sud. Questo è supportato dalle evidenze iconografiche analizzate nel precedente capitolo; abbiamo notato come vi siano molti tratti comuni, sia nel rilievo (lo chignon ed il bastone ricurvo), sia nella statuaria (l’offerta del quadrupede e di nuovo lo chignon).
Concludendo da questa analisi è emerso come nel Protodinastico il sovrano fosse il “fattore” del dio, passando poi tra la fine del periodo e l’inizio della dinastia accadica (Eannatum e Sargon) ad essere il più potente degli uomini, la cui forza è paragonabile a quella della divinità personale, la quale protegge e veglia sul proprio favorito.
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