Thesis etd-01192015-174443 |
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Thesis type
Tesi di laurea magistrale
Author
OLIVERI, SERENA
URN
etd-01192015-174443
Thesis title
L'area archeologica di Ostia Antica. Sperimentazione, valorizzazione e potenzialita per una piu efficace musealizzazione
Department
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Course of study
ARCHEOLOGIA
Supervisors
relatore Donati, Fulvia
correlatore Colombi, Rossella
correlatore Colombi, Rossella
Keywords
- musealizzazione
- valorizzazione
Graduation session start date
09/02/2015
Availability
Full
Summary
INTRODUZIONE
L'essenza di questo elaborato nasce dall'esigenza di mettere in luce le attuali difficoltà riscontrabili nella fruizione dell'area archeologica di Ostia Antica.
L'analisi e la riflessione elaborate durante le recenti perlustrazioni del sito hanno portato alla definizione di una serie di problematiche più o meno contingenti.
Si possono dunque evidenziare alcune problematiche comuni a tutti gli insediamenti antichi e di grande estensione, la cui complessa stratificazione ha spesso causato incomprensioni nella lettura dei complessi; e alcune problematiche peculiari al sito di Ostia sorte con gli sviluppi delle indagini archeologiche e delle strategie di conservazione e valorizzazione programmate nel tempo.
Caratteristica peculiare del sito è certamente l'eccezionalità della restituzione per intero del tessuto urbano della città antica. Eccezionalità dovuta sia alle contingenze storiche che hanno visto sin dall'età tardo-antica il provvidenziale abbandono del sito, senza successive riedificazioni e obliterazioni del tessuto urbano, sia alle fortunate scelte operative del personale direttivo che nel tempo si è occupato dell'area archeologica.
Nella storia dell'archeologia è accaduto raramente, infatti, che si potesse procedere all'esplorazione integrale delle città antiche seppur interamente conservate, e Ostia rappresenta un unicum - insieme a Pompei - in quanto ad occasione di esplorazione ed indagine integrale di un importante centro urbano di età romana.
Le esperienze di ricerca su entrambi i siti sono accomunate dalla pianificazione di una programmazione di ricerca fortemente correlata alle connotazioni storiche del periodo di predisposizione.
Le esplorazioni e gli interventi nel contesto ostiense si originarono in un contesto di chiaro stampo positivistico di fine Ottocento e si svilupparono grazie all'accelerata nelle programmazioni delle attività predisposte in merito all'Esposizione Universale di Roma del 1942, sostanzialmente orientate a una valorizzazione dei resti archeologici che mirasse all'esaltazione dell'essenza di romanità da rievocare nel popolo italiano.
A differenza dei precedenti approcci culturali al patrimonio archeologico, con l'esperienza ostiense si giunge a una nuova concezione del complesso archeologico, verso cui approcciarsi non solo relativamente alle principali evidenze monumentali da esaminare singolarmente, ma da analizzare e interpretare all'interno del contesto di riferimento.
Il sito archeologico non viene più considerato come miniera di materiali da prelevare ed esporre in museo ma come campo d'indagine e scenario di esposizione allo stesso tempo.
Uno scenario che trova in Ostia una delle miglior rappresentazioni in termini di vita quotidiana, di specchio di una società antica che si configura differenziata e sfumata nei suoi contorni sociali e nel suo sviluppo.
La lunga storia degli studi su Ostia ha rivelato l'importanza del sito non solo in quanto avamposto militare e commerciale della capitale, ma in quanto sua diretta emanazione. Ostia sorge infatti nelle vicinanze di Roma, cui è strettamente connessa seppur all'insegna di un rapporto di interdipendenza che si riverbera nelle stesse evoluzioni urbanistiche ed edilizie e nella sua organizzazione sociale: elementi che la rendono un inestimabile punto di riferimento per una più completa conoscenza della romanità.
Ostia rappresenta al meglio le dinamiche di una città connessa alla capitale pur non essendone provincia: un avamposto con la funzione di crocevia di traffici e commerci ma al contempo fedele compagna dell'ascesa, del culmine e del declino della potenza di Roma.
Sostanzialmente le operazioni di scavo e ricerca non si sono orientate alla scoperta di eccezionali evidenze monumentali, bensì mirate alla restituzione di un tessuto urbano di attività imprenditoriali, rinvenuto in condizioni di straordinaria conservazione e di chiara leggibilità.
Proprio sulla base di queste condizioni di ritrovamento, il sito archeologico si è distinto nel tempo non solo come insostituibile testimonianza per la ricostruzione storica dell'antichità, ma anche come eccezionale campo di sperimentazione di strategie di comunicazione e valorizzazione dei contesti.
Per la prima volta infatti si stabilirono le coordinate per un progetto di ricerca che non mirasse soltanto alla messa in luce delle evidenze archeologiche ma alla loro contestualizzazione in termini di interventi conservativi ed espositivi.
In quest'ottica risulta cruciale l'esperienza della programmazione di interventi elaborati nell'ambito dell'Esposizione Universale del 1942 che condussero a una serie di operazioni di conservazione, restauro, ricostruzione e sistemazione del sito mirati all'esaltazione della romanità e alla rievocazione di contesti atti a favorire l'interpretazione della storia del sito. Un piano di “scavo, restauro, assetto archeologico ed estetico delle rovine” elaborato da G. Calza nel 1937 che, seppure nei suoi limiti progettuali e scientifici strettamente connessi alle tendenze concettuali del periodo, si rivelò un inedito tentativo di rendere vitale e fruibile un'area da musealizzare all'aperto.
Anche in termini di esposizione museale il sito vide nascere le fondamenta di quelle che saranno le basi delle prospettive museologiche del futuro. La struttura museale non venne più concepita come semplice contenitore di materiali estratti dal sito, ma come struttura espositiva delle evidenze più rappresentative, da prevedersi in situ per garantirne la conservazione e al contempo esaltarne la connessione col contesto di rinvenimento esterno.
Si apre quindi la strada a una riconsiderazione delle evidenze in termini educativi allo scopo di reinterpretare la ricerca archeologica come un momento di comunicazione di un dato complesso di strutture, idee e dinamiche derivate dal sito di riferimento.
Furono in particolare questi quattro anni di intense operazioni a portare i maggiori cambiamenti nell'ottica di interpretazione e lettura del sito. Un'intenzione di valorizzazione che sembra poi arrestarsi dopo la seconda guerra mondiale, in seguito a un cambiamento di rotta nell'approccio al patrimonio culturale derivata dall'acquisizione dei principi brandiani in chiave di conservazione e rispetto della storicità dell'opera.
Prende il via quindi un lungo periodo che vede ridimensionarsi le strategie di valorizzazione a una serie di esperienze isolate che non propongono una riconsiderazione dell'intero comprensorio di riferimento ma che realizzano interventi conservativi ed espositivi solo in alcune selezionate zone campione. La scelta di queste progettazioni pilota ha mirato comunque a suggerire un brano di porzioni privilegiate, caratterizzate da evidenze monumentali o documenti storici rilevanti, con l'obiettivo di offrire un quadro il più efficace possibile dell'intero complesso ostiense.
Alla stregua di queste esperienze “campione”, che pur nella loro eccezionalità si isolano nel tempo, possiamo ricondurre anche le recenti operazioni di conservazione e valorizzazione intraprese in merito al Grande Giubileo del 2000 che se hanno ancora una volta avuto il merito di mostrare le innumerevoli potenzialità didattiche ed espressive del sito, ne hanno anche evidenziato i limiti alla luce degli esiti del progetto elaborato.
Il progetto infatti ha comportato la realizzazione di una serie di iniziative focalizzate in una zona campione - il tratto più battuto dalla visita - ma si prefiggeva originariamente un'estensione degli interventi all'intero comprensorio prevedendone, al contempo, la tutela in termini di manutenzione programmata e controllo.
Lo scopo primario delle numerose perlustrazioni effettuate di recente nel sito è stato proprio quello di chiarire e documentare lucidamente le condizioni di fruizione del sito, il fallimento di alcune aspettative attualmente disattese e e di porre in evidenza le potenzialità operative che si possono intravvedere dalla riconsiderazione dei contesti ostiensi come terreno di sperimentazione in termini di comunicazione e valorizzazione.
La testimonianza della situazione attuale e la descrizione delle criticità osservabili generano una spontanea elaborazione di proposte operative in merito alle innegabili potenzialità comunicative che l'area ostiense ha saputo sviluppare nel tempo e che potrebbe certamente realizzare in un immediato futuro.
L'analisi della storia del sito e dell'approccio del personale direttivo alla valorizzazione dell'area archeologica origina, di conseguenza, una naturale riflessione sul concetto di musealizzazione
Il caso dello sviluppo del sito ostiense permette di inquadrare lucidamente il lungo processo con cui si è sviluppata la considerazione delle antichità attraverso la definizione di un concetto di parco archeologico come di un luogo privilegiato su cui convergono necessità di conservazione e di valorizzazione del contesto.
I primi interventi di valorizzazione legati all'Esposizione Universale del 1942 vedono nascere un'idea embrionale di musealizzazione, ancora orientata a un concetto di parco archeologico come area delimitata di cui garantire la tutela attraverso interventi di restauro e suggerire la presentazione di un'immagine attraverso la sistemazione del sito e attività di comunicazione e propaganda. Interventi di conservazione e sistemazione, ma sostanzialmente mirati alla valorizzazione dell'area archeologica.
A questo proposito è utile ricordare come per anni sia regnata – e regni tuttora – una certa ambiguità circa il concetto di valorizzazione.
Secondo la definizione ministeriale attualmente in vigore, la valorizzazione consiste in qualsiasi attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione del patrimonio culturale al fine di garantire e incrementare la fruizione.
Appare evidente quanto la definizione risulti riduttiva, limitandosi al solo contesto di fruizione, accesso e godibilità dell'area, senza porre in evidenza tutti gli aspetti che fanno riferimento alla musealizzazione ovvero tutte le soluzioni tecniche che - scaturite da un processo di analisi, scavo e conoscenza - mirino a garantire la miglior lettura di un complesso archeologico all'interno del suo contesto di riferimento.
La musealizzazione risulta dunque un processo operativo strettamente connesso alla fruizione, ma strutturato in modo più complesso. Un processo che non mira solo a creare le condizioni per garantire la fruizione di un sito, ma a svilupparne le potenzialità comunicative ed educative attraverso la programmazione di interventi e strategie studiati e articolati, la cui elaborazione, sperimentazione ed evoluzione sono perfettamente ravvisabili attraverso l'inquadramento storico e metodologico del parco archeologico di Ostia Antica.
L'essenza di questo elaborato nasce dall'esigenza di mettere in luce le attuali difficoltà riscontrabili nella fruizione dell'area archeologica di Ostia Antica.
L'analisi e la riflessione elaborate durante le recenti perlustrazioni del sito hanno portato alla definizione di una serie di problematiche più o meno contingenti.
Si possono dunque evidenziare alcune problematiche comuni a tutti gli insediamenti antichi e di grande estensione, la cui complessa stratificazione ha spesso causato incomprensioni nella lettura dei complessi; e alcune problematiche peculiari al sito di Ostia sorte con gli sviluppi delle indagini archeologiche e delle strategie di conservazione e valorizzazione programmate nel tempo.
Caratteristica peculiare del sito è certamente l'eccezionalità della restituzione per intero del tessuto urbano della città antica. Eccezionalità dovuta sia alle contingenze storiche che hanno visto sin dall'età tardo-antica il provvidenziale abbandono del sito, senza successive riedificazioni e obliterazioni del tessuto urbano, sia alle fortunate scelte operative del personale direttivo che nel tempo si è occupato dell'area archeologica.
Nella storia dell'archeologia è accaduto raramente, infatti, che si potesse procedere all'esplorazione integrale delle città antiche seppur interamente conservate, e Ostia rappresenta un unicum - insieme a Pompei - in quanto ad occasione di esplorazione ed indagine integrale di un importante centro urbano di età romana.
Le esperienze di ricerca su entrambi i siti sono accomunate dalla pianificazione di una programmazione di ricerca fortemente correlata alle connotazioni storiche del periodo di predisposizione.
Le esplorazioni e gli interventi nel contesto ostiense si originarono in un contesto di chiaro stampo positivistico di fine Ottocento e si svilupparono grazie all'accelerata nelle programmazioni delle attività predisposte in merito all'Esposizione Universale di Roma del 1942, sostanzialmente orientate a una valorizzazione dei resti archeologici che mirasse all'esaltazione dell'essenza di romanità da rievocare nel popolo italiano.
A differenza dei precedenti approcci culturali al patrimonio archeologico, con l'esperienza ostiense si giunge a una nuova concezione del complesso archeologico, verso cui approcciarsi non solo relativamente alle principali evidenze monumentali da esaminare singolarmente, ma da analizzare e interpretare all'interno del contesto di riferimento.
Il sito archeologico non viene più considerato come miniera di materiali da prelevare ed esporre in museo ma come campo d'indagine e scenario di esposizione allo stesso tempo.
Uno scenario che trova in Ostia una delle miglior rappresentazioni in termini di vita quotidiana, di specchio di una società antica che si configura differenziata e sfumata nei suoi contorni sociali e nel suo sviluppo.
La lunga storia degli studi su Ostia ha rivelato l'importanza del sito non solo in quanto avamposto militare e commerciale della capitale, ma in quanto sua diretta emanazione. Ostia sorge infatti nelle vicinanze di Roma, cui è strettamente connessa seppur all'insegna di un rapporto di interdipendenza che si riverbera nelle stesse evoluzioni urbanistiche ed edilizie e nella sua organizzazione sociale: elementi che la rendono un inestimabile punto di riferimento per una più completa conoscenza della romanità.
Ostia rappresenta al meglio le dinamiche di una città connessa alla capitale pur non essendone provincia: un avamposto con la funzione di crocevia di traffici e commerci ma al contempo fedele compagna dell'ascesa, del culmine e del declino della potenza di Roma.
Sostanzialmente le operazioni di scavo e ricerca non si sono orientate alla scoperta di eccezionali evidenze monumentali, bensì mirate alla restituzione di un tessuto urbano di attività imprenditoriali, rinvenuto in condizioni di straordinaria conservazione e di chiara leggibilità.
Proprio sulla base di queste condizioni di ritrovamento, il sito archeologico si è distinto nel tempo non solo come insostituibile testimonianza per la ricostruzione storica dell'antichità, ma anche come eccezionale campo di sperimentazione di strategie di comunicazione e valorizzazione dei contesti.
Per la prima volta infatti si stabilirono le coordinate per un progetto di ricerca che non mirasse soltanto alla messa in luce delle evidenze archeologiche ma alla loro contestualizzazione in termini di interventi conservativi ed espositivi.
In quest'ottica risulta cruciale l'esperienza della programmazione di interventi elaborati nell'ambito dell'Esposizione Universale del 1942 che condussero a una serie di operazioni di conservazione, restauro, ricostruzione e sistemazione del sito mirati all'esaltazione della romanità e alla rievocazione di contesti atti a favorire l'interpretazione della storia del sito. Un piano di “scavo, restauro, assetto archeologico ed estetico delle rovine” elaborato da G. Calza nel 1937 che, seppure nei suoi limiti progettuali e scientifici strettamente connessi alle tendenze concettuali del periodo, si rivelò un inedito tentativo di rendere vitale e fruibile un'area da musealizzare all'aperto.
Anche in termini di esposizione museale il sito vide nascere le fondamenta di quelle che saranno le basi delle prospettive museologiche del futuro. La struttura museale non venne più concepita come semplice contenitore di materiali estratti dal sito, ma come struttura espositiva delle evidenze più rappresentative, da prevedersi in situ per garantirne la conservazione e al contempo esaltarne la connessione col contesto di rinvenimento esterno.
Si apre quindi la strada a una riconsiderazione delle evidenze in termini educativi allo scopo di reinterpretare la ricerca archeologica come un momento di comunicazione di un dato complesso di strutture, idee e dinamiche derivate dal sito di riferimento.
Furono in particolare questi quattro anni di intense operazioni a portare i maggiori cambiamenti nell'ottica di interpretazione e lettura del sito. Un'intenzione di valorizzazione che sembra poi arrestarsi dopo la seconda guerra mondiale, in seguito a un cambiamento di rotta nell'approccio al patrimonio culturale derivata dall'acquisizione dei principi brandiani in chiave di conservazione e rispetto della storicità dell'opera.
Prende il via quindi un lungo periodo che vede ridimensionarsi le strategie di valorizzazione a una serie di esperienze isolate che non propongono una riconsiderazione dell'intero comprensorio di riferimento ma che realizzano interventi conservativi ed espositivi solo in alcune selezionate zone campione. La scelta di queste progettazioni pilota ha mirato comunque a suggerire un brano di porzioni privilegiate, caratterizzate da evidenze monumentali o documenti storici rilevanti, con l'obiettivo di offrire un quadro il più efficace possibile dell'intero complesso ostiense.
Alla stregua di queste esperienze “campione”, che pur nella loro eccezionalità si isolano nel tempo, possiamo ricondurre anche le recenti operazioni di conservazione e valorizzazione intraprese in merito al Grande Giubileo del 2000 che se hanno ancora una volta avuto il merito di mostrare le innumerevoli potenzialità didattiche ed espressive del sito, ne hanno anche evidenziato i limiti alla luce degli esiti del progetto elaborato.
Il progetto infatti ha comportato la realizzazione di una serie di iniziative focalizzate in una zona campione - il tratto più battuto dalla visita - ma si prefiggeva originariamente un'estensione degli interventi all'intero comprensorio prevedendone, al contempo, la tutela in termini di manutenzione programmata e controllo.
Lo scopo primario delle numerose perlustrazioni effettuate di recente nel sito è stato proprio quello di chiarire e documentare lucidamente le condizioni di fruizione del sito, il fallimento di alcune aspettative attualmente disattese e e di porre in evidenza le potenzialità operative che si possono intravvedere dalla riconsiderazione dei contesti ostiensi come terreno di sperimentazione in termini di comunicazione e valorizzazione.
La testimonianza della situazione attuale e la descrizione delle criticità osservabili generano una spontanea elaborazione di proposte operative in merito alle innegabili potenzialità comunicative che l'area ostiense ha saputo sviluppare nel tempo e che potrebbe certamente realizzare in un immediato futuro.
L'analisi della storia del sito e dell'approccio del personale direttivo alla valorizzazione dell'area archeologica origina, di conseguenza, una naturale riflessione sul concetto di musealizzazione
Il caso dello sviluppo del sito ostiense permette di inquadrare lucidamente il lungo processo con cui si è sviluppata la considerazione delle antichità attraverso la definizione di un concetto di parco archeologico come di un luogo privilegiato su cui convergono necessità di conservazione e di valorizzazione del contesto.
I primi interventi di valorizzazione legati all'Esposizione Universale del 1942 vedono nascere un'idea embrionale di musealizzazione, ancora orientata a un concetto di parco archeologico come area delimitata di cui garantire la tutela attraverso interventi di restauro e suggerire la presentazione di un'immagine attraverso la sistemazione del sito e attività di comunicazione e propaganda. Interventi di conservazione e sistemazione, ma sostanzialmente mirati alla valorizzazione dell'area archeologica.
A questo proposito è utile ricordare come per anni sia regnata – e regni tuttora – una certa ambiguità circa il concetto di valorizzazione.
Secondo la definizione ministeriale attualmente in vigore, la valorizzazione consiste in qualsiasi attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione del patrimonio culturale al fine di garantire e incrementare la fruizione.
Appare evidente quanto la definizione risulti riduttiva, limitandosi al solo contesto di fruizione, accesso e godibilità dell'area, senza porre in evidenza tutti gli aspetti che fanno riferimento alla musealizzazione ovvero tutte le soluzioni tecniche che - scaturite da un processo di analisi, scavo e conoscenza - mirino a garantire la miglior lettura di un complesso archeologico all'interno del suo contesto di riferimento.
La musealizzazione risulta dunque un processo operativo strettamente connesso alla fruizione, ma strutturato in modo più complesso. Un processo che non mira solo a creare le condizioni per garantire la fruizione di un sito, ma a svilupparne le potenzialità comunicative ed educative attraverso la programmazione di interventi e strategie studiati e articolati, la cui elaborazione, sperimentazione ed evoluzione sono perfettamente ravvisabili attraverso l'inquadramento storico e metodologico del parco archeologico di Ostia Antica.
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