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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-01182019-071247


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
MORELLI, EDOARDO
URN
etd-01182019-071247
Titolo
Studio di macchine per prove di fatica in regime VHCF
Dipartimento
INGEGNERIA CIVILE E INDUSTRIALE
Corso di studi
INGEGNERIA AEROSPAZIALE
Relatori
relatore Prof. Frendo, Francesco
Parole chiave
  • Gigacyle Fatigue
  • VHCF
Data inizio appello
19/02/2019
Consultabilità
Completa
Riassunto
La richiesta di prestazioni sempre più spinte in ambito aerospaziale e industriale di componenti meccanici e l’opportunità di estensione della vita operativa hanno portato alla scoperta di nuovi meccanismi di rottura a fatica, denominata fatica gigaciclica. Per molti anni, la progettazione di compenti meccanici si è basata su dati di fatica ottenuti sollecitando i provini fino ad un numero massimo di cicli generalmente inferiore a 〖10〗^7 cicli. A partire da Wohler e in accordo con la maggior parte delle normative internazionali di prova, si è ammesso che, oltre tale valore di durata, i provini fossero in grado di vivere indefinitamente. Tale idealizzazione è stata però posta in forte discussione dai risultati sperimentali ottenuti da alcuni gruppi di ricerca, infatti l’esperienza ha dimostrato che andando oltre tale limite si assiste comunque a rottura. In effetti, la crescente richiesta di componenti meccanici con durate ampiamente superiori ai 〖10〗^7 cicli, come ad esempio componenti di treni ad alta velocità e di motori aeronautici, e il forte interesse per la caratterizzazione del comportamento dei materiali per numeri di cicli di affaticamento superiori a quelli generalmente esaminati hanno portato allo sviluppo e alla diffusione di macchine di prova in grado raggiungere 〖10〗^10 cicli in meno di una settimana.
La fatica gigaciclica è pertanto un campo d’indagine di crescente interesse e rappresenta la nuova frontiera progettuale di molti componenti meccanici.
Le attrezzature sperimentali utilizzate nelle prove di fatica convenzionali (HCF), le quali lavorano generalmente nel range dei 10-100 Hz, richiederebbero tempi di prova troppo elevati.
Una soluzione comunemente adottata è quella di aumentare la frequenza del ciclo di sollecitazione realizzando attrezzature di prova operanti in condizioni di risonanza in grado di raggiungere frequenza pari a 20 kHz; da cui la denominazione classica di macchine a ultrasuoni.
Il principio base è quello di produrre una vibrazione stabile in condizioni di risonanza all’interno del provino, perciò il fenomeno fisico di base è quello della trasmissione delle onde sonore in un mezzo. Generalmente, il funzionamento di queste tipologie di macchina è ottenuto attraverso un generatore elettrico di ultrasuoni in serie ad un traduttore piezoelettrico, il quale trasforma l’oscillazione elettrica in oscillazione meccanica di pari frequenza. Quest’ultimo è collegato ad un sonotrodo, un elemento che ha il compito di amplificare l’oscillazione che altrimenti sarebbe troppo piccola per danneggiare il provino, a cui a sua volta è collegato il provino.
Perciò se gli elementi costituenti il sistema vibrante presentano tutti la stessa frequenza naturale (20 kHz), è possibile ottenere una vibrazione di elevata ampiezza con poca energia e un’onda stabile all’interno del sistema.
Questo lavoro di tesi è suddiviso in tre parti.
Inizialmente viene presentato il concetto di fatica gigaciclica, il metodo di studio, il caratteristico meccanismo di rottura, i risultati attuali ottenuti dai gruppi di ricerca ed infine i fattori che influenzano il fenomeno.
Nella seconda parte viene illustrato lo stato dell’arte delle macchine di prova e delle geometrie di provini attualmente presenti per la caratterizzazione del fenomeno della fatica gigaciclica.
Infine nella terza parte, partendo dalle geometrie di sonotrodo e provino di macchine a ultrasuoni esistenti, sono state condotte delle analisi agli elementi finiti per verificare la correttezza dei risultati riportati in letteratura e capire l’influenza di variazioni delle geometrie dei componenti sulle tensioni presenti nella sezione ristretta del provino.
Le simulazioni agli elementi finiti sono state realizzate attraverso ANSYS, mentre per la modellazione dei componenti è stato utilizzato il software CATIA.
Il fenomeno della fatica gigaciclica, non essendo ancora completamente caratterizzato, è tutt’oggi uno dei principali argomenti di ricerca nell’ambito dell’ingegneria industriale.
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