logo SBA

ETD

Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-01162019-102601


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
LIBRIZZI, AMBRA
URN
etd-01162019-102601
Titolo
Intersoggettività in Husserl e Sartre. I limiti del pensiero speculativo nella coscienza dell'Altro.
Dipartimento
CIVILTA' E FORME DEL SAPERE
Corso di studi
FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Relatori
relatore Ferrarin, Alfredo
Parole chiave
  • alterità
  • altro
  • Cartesio
  • dinamica
  • ego cogito
  • empatia
  • essere
  • fenomeno
  • fenomenologia
  • Husserl
  • intersoggettività
  • Meditazioni cartesiane
  • neuroni specchio
  • neuroscienze
  • relazione
  • Sartre
  • sguardo
  • vedere
Data inizio appello
04/02/2019
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il mio lavoro nasce dall’interesse sorto a seguito della lettura delle Meditazioni cartesiane, specificamente in relazione alla tematica dell’intersoggettività, affrontata maggiormente nella Quinta meditazione.
Durante il corso di questa tesi emergerà a più riprese la convinzione che nell’approccio alle Meditazioni sia necessario dover tracciare, passo dopo passo, le linee guida da seguire per muoverci in un ambiente che presenta degli inevitabili chiaroscuri, dovuti alla complessità della materia in questione ma soprattutto al tipo di indagine, quella fenomenologica, che Husserl fonda e, contemporaneamente, utilizza. Sarà dunque necessario restare bene ancorati alle premesse fondamentali dalle quali muove l’indagine husserliana perché solo in questo modo accadrà di essere preparati a comprendere il senso di ciò che troveremo, ma anche a giustificare il rimanere aperti di alcuni interrogativi, per poterli rifondare alla luce di speculazioni che richiamano e criticano quella di Husserl come, in questo caso, quella sartiana.
Edite nel 1931, le Meditazioni nascono con lo scopo, sulla scia del lavoro di Cartesio, di riformare la filosofia «[…] in direzione di una scienza di fondazione assoluta».
Al di là dell’ovvia somiglianza con le premesse del filosofo francese, non sono poche le diversità riscontrabili fra i due lavori, nello svolgimento e nella realizzazione del fine prefissato.
Husserl riprende infatti, nello smarrimento scettico propedeutico all’allontanamento dall’evidenza ingenua, l’argomentazione cartesiana che conduce all’evidenza dell’ego cogito, ma con differenti obiettivi di ricerca: se Cartesio intende trovare una certezza dalla quale dedurre l’intero edificio del sapere, Husserl contrappone alla deduzione la descrizione come metodo filosofico, perché intende descrivere la genesi e l’articolazione dei concetti a partire dal loro apparire. Pertanto le due ricerche appaiono radicalmente differenti:

L’esperienza dei fatti della coscienza è l’origine di tutte le nozioni che si possono legittimamente impiegare. La descrizione – ed è questa la pretesa eccezionale con cui essa rivendica la sua dignità filosofica – non ricorre ad alcuna nozione, preliminarmente isolata e che si pretenda necessaria alla descrizione. Così, in Descartes, la descrizione del cogito […] ammette, in fin dei conti, il suo riferimento all’idea dell’infinito e della perfezione: l’idea della perfezione, data anticipatamente, rende possibile la descrizione della finitezza. La descrizione fenomenologica cerca il significato del finito nel finito
All’interno di questo quadro di ricerca, ho intenzione di osservare le modalità attraverso le quali la coscienza solipsisitica, individuata mediante l’astrazione metodologica dell’epochè, giunge alla formazione del senso dell’Altro ponendo particolare attenzione, nella prima parte della mia analisi, al ruolo che riveste il corpo in queste dinamiche.
A tale scopo ripercorrerò le fasi della teoria dell’empatia husserliana per confrontarla con le recenti scoperte neuroscientifiche nel campo dell’alterità, approfondendo, nello specifico, nascita, caratteristiche e funzioni dei neuroni specchio, scoperti e studiati dal gruppo di ricerca parmense di Fogassi, Gallese e Rizzolatti. Questo studio comparato mi permetterà di descrivere i risultati ai quali giungono le due ricerche evidenziandone i punti di contatto e le divergenze, le numerose incomprensioni che hanno condotto a parlare delle due teorie in termini di identità. Porterò all’attenzione il fatto che entrambi il processo dell’accoppiamento e le dinamiche neuronali del sistema specchio sono meccanismi non ragionati, non discorsivi, che pertanto non dipendono dall’azione attiva dei soggetti, e sarà possibile notare che il primissimo passo per l’accesso all’altro, quello che consiste nel riconoscimento, è indipendente dall’apparato sociale, storico e culturale che influenza solo in un secondo momento le dinamiche fra soggetti e un più complesso apparato relazionale. A tal proposito, sulla base della proposta di Gallese, mostrerò la continuità che sussiste fra la teoria dell’empatia husserliana e la “consonanza intenzionale” come processo di risonanza interindividuale la cui base neurocognitiva viene fornita dal sistema specchio. Sarà pertanto possibile vedere che il sistema specchio, per quanto fondamentale nel riconoscimento dell’altro, non è sufficiente, di per sé, a tradurre l’alterità nella sua totalità e compiutezza in quanto l’evidenza neurofisiologica, da sola, non è in grado di rendere interamente conto dello scarto relativo ai caratteri strutturali del vissuto, ma costituisce soltanto un primissimo elemento fra quelli necessari per l’avvicinamento agli altri. Quello che il sistema specchio sembrerebbe rendere, infatti, è una forma diretta, ma anche assolutamente elementare, di comprensione degli altri che non dipende in alcun modo dalla riflessione o dal ragionamento discorsivo, ma che viene viceversa a innescarsi in maniera automatica, senza il coinvolgimento di alcuna funzione attiva da parte del soggetto:

«Definendo il meccanismo specchio in termini di riutilizzo di stati mentali, la simulazione incarnata fa riferimento alla somiglianza intrapersonale, o corrispondenza, tra il proprio stato mentale quando si esegue un’azione o si esperisce un’emozione o una sensazione, e quando osserviamo le azioni, le emozioni e le sensazioni degli altri»

Sempre attingendo dagli studi neuroscientifici, presenterò i concetti di coscienza in prima e in terza persona, per poi andare a evidenziare a quale accezione di alterità Husserl pervenga. Se col primo termine si indica una coscienza oggettiva, misurabile e rilevabile attraverso gli strumenti della scienza, traducibile sulla base delle dinamiche dei neuroni specchio, con il secondo termine si allude alla coscienza soggettiva, in prima persona, individuale e qualitativa, in relazione alla quale trovo necessario escludere la possibilità della conoscenza.
Mostrerò dunque di quali fasi e con quali caratteristiche si delinea il processo empatico husserliano come comprensione delle intenzioni altrui, soffermandomi inizialmente sull’entropatia, intesa come processo intenzionale attraverso il quale avviene la costituzione stessa dell’altro, e come precondizione della comprensione empatica e il primo momento della stessa.
L’interrogativo principale dal quale muove la mia analisi indaga la possibilità, all’interno dell’impianto fenomenologico presentato nelle Meditazioni, di raggiungere un’alterità che sia totalmente autonoma e indipendente, pienamente svincolata dal soggetto che la intenziona.

«Come può ciò che per me esiste realmente, dunque non in quanto meramente inteso, bensì che si attesta in modo concorde in me, essere in altro modo che, per così dire, come punto d’incrocio della mia sintesi costitutiva? È dunque, in quanto concretamente inscindibile da essa, qualcosa di mio proprio?» (Husserl, Meditazioni Cartesiane, p.144).

Emerge anche per Husserl il problema di rendere atto, soprattutto in un primo momento, di come sia possibile che all’interno del mio flusso di coscienza si formi una coscienza che è altra da me, e questo perché sulle prime tutto si costituisce all’interno di questa mia coscienza, compreso l’altro soggetto che può essere qualcosa per me solo come mia formazione sintetica.
Proprio per avvalorare la liceità di questa difficoltà, aprirò una parentesi all’interno della quale mostrerò le caratteristiche dell’ego trascendentale che lo rendono l’assoluto creatore di tutto ciò che comprende e di ciò che in definitiva è. Con questo obiettivo, chiarirò il concetto di intenzionalità e del significato che assume nella fenomenologia trascendentale per poi condurre una problematizzazione dello scopo che motiva il lavoro di Husserl: fondare una scienza filosofica che, a partire dai fenomeni, descriva i processi tali a porre un mondo esistente in sé e metta in luce la legittimità con la quale questo mondo in sé viene posto.
Il mio scopo sarà, in definitiva, quello di mostrare che l’impianto fenomelogico husserliano, per come questo è presentato e sviluppato nelle Meditazioni, esclude per sua essenza, e non per possibili errori di svolgimento, la possibilità di accedere all’essere dell’altro nel suo approdare alla totale e compiuta esplicazione del senso dell’altro.
A tale proposito introdurrò l’analisi sartriana dell’alterità che emerge in L’essere e il nulla, la quale mira a individuare un’alterità completamente svincolata dalle intenzioni, dal senso e dalla conoscenza più in generale, in quanto l’Altro viene indagato a partire dal sentire e dal vivere. Se Husserl vincola la propria analisi al terreno dell’esperienza, Sartre pone attenzione, in ultima istanza, al cogito, e cerca l’Altro nella struttura stessa della coscienza di me, facendone un’esperienza interiore. Se la domanda dalla quale prende avvio l’indagine husserliana è “Come si manifesta l’Altro?”, l’interrogativo dal quale muove Sartre è “Che cos’è l’Altro?”, il che esclude, immediatamente, la posizione di un problema che possa riguardare le condizioni di possibilità e la fondazione di validità dell’esperienza dell’Altro.
Approfondirò nel dettaglio quelli che Sartre individua come i due possibili modi di datità dell’Altro: l’Altro come oggetto e l’Altro come soggetto, portando avanti questa analisi attraverso i concetti di sguardo e di vergogna, con la relativa dinamica del guardare e dell’essere guardati e la costante sensazione di pericolo sempre associata alla struttura dell’essere-per-altri. Si noterà dunque che il rapporto che si instaura fra l’io e l’altro è sempre un rapporto che coinvolge, vicendevolmente, un soggetto e un oggetto, e che i due termini che entrano in contatto non si trovano mai a relazionarsi contemporaneamente come due soggetti o due oggetti.
Altro concetto fondamentale che emergerà dall’analisi di Essere e nulla, è quello della trascendenza dell’Altro, attraverso il quale sarà ribadito che l’Altro, malgrado si dia nell’esperienza, non è a questa, e al mondo, che appartiene, poiché il suo posto è «[…] accanto alla coscienza, come una coscienza in cui e per cui la coscienza si fa essere ciò che è».
Il concetto di trascendenza dell’altro emerge anche dall’indagine di Husserl, e certo questo denuncia, per entrambi i pensatori, l’idea che l’alterità non si riduca alle relazioni che abbiamo con gli altri, ma i motivi per i quali i due filosofi parlano di trascendenza dell’altro sono tuttavia diversi. Affermando che l’altro è trascendenza nell’immanenza, Husserl descrive una parte dell’altro che inevitabilmente ci sfugge, nonostante i tentativi di girargli intorno. Come per l’intenzionalità diretta alle oggettità, per ogni lato che viene esperito ce ne sono sempre altri che sfuggono al nostro sguardo, ed è a questo che si riferisce Husserl quando afferma che la cosa è sempre un di più rispetto a quello che si dà. La differenza fondamentale fra l’esperire intenzionalmente la cosa ed esperire l’altro uomo la si può individuare nel fatto che alla cosa sarà possibile, a mano a mano, girare intorno completamente e dunque venirne a conoscenza secondo tutti i suoi lati, mentre questo per l’altro uomo non è possibile. Ciò che dell’altro sfugge alla nostra possibilità di intenzionarlo è la sua sfera primordinale, residuo dell’esclusione astrattiva di tutto ciò che mi è estraneo rispetto al senso. Si discopre così il mio carattere essenziale di essere interamente per me, quel carattere irripetibile che appartiene a ogni individuo in carne e ossa e che è non può essere dato originariamente a nessun altro.
Se la caratteristica della cosa è dunque questo aspetto del darsi, la caratteristica dell’altro, ciò che essenzialmente rende l’altro un estraneo è proprio questa sfera ultima che sfugge alla mia intenzionalità.
La trascendenza di cui parla Sartre in relazione all’altro è invece trascendenza dell’Altro rispetto al mondo. L’errore che Sartre imputa a Husserl è quello di aver cercato il legame con l’altro all’interno della conoscenza, così che la trascendenza dell’altro rispetto a me è l’inaccessibilità, per le mie intenzioni, della sua sfera dell’interiorità, così come, reciprocamente, la mia sfera personale risulta inaccessibile per le sue. Sebbene Sarte riconosca a Husserl l’essere stato in grado di cogliere il significato dei fenomeni psichici grazie al concetto di intenzionalità, egli ritiene che il rapporto fondamentale tra la coscienza e il mondo non sia prima di tutto un rapporto conoscitivo. Nella speculazione sartriana infatti, la trascendenza dell’Altro non emerge dalla dinamica fra l’intenzionalità a lui diretta e la sfera dell’interiorità che non può essere intenzionata; l’Altro è trascendenza perché in quanto sguardo-che-guarda è fuori dal mondo e, in quanto tale, neppure l’epochè trascendentale può metterlo fuori circuito.
Una differenza sostanziale fra Husserl e Sartre in relazione all’indagine dell’alterità
è dunque quella costituita dalla sfera che essi indagano nella ricerca dell’estraneo: per il primo, si tratta della sfera della conoscenza, caratterizzata dal senso e dalle intenzioni; per il secondo si tratta della sfera emozionale e sentimentale, dove l’altro è sentito come sguardo che incombe su di sé. Affinché l’altro possa essere veramente altro, è infatti necessario che non lo si intenzioni, in quanto la conoscenza è subitanea reificazione e tematizzazione.
File