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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-01162017-112314


Tipo di tesi
Tesi di dottorato di ricerca
Autore
FOSSA, FABIO
URN
etd-01162017-112314
Titolo
Che cosa significa applicare? Etiche applicate, filosofia ermeneutica, machine ethics
Settore scientifico disciplinare
M-FIL/03
Corso di studi
FILOSOFIA
Relatori
tutor Prof. Fabris, Adriano
Parole chiave
  • applicazione
  • etica applicata ermeneutica
  • etica delle macchine
  • machine ethics
  • machine morality
  • teoria e prassi
Data inizio appello
26/01/2017
Consultabilità
Completa
Riassunto
Cosa significa applicare? Un problema di applicazione si pone ogniqualvolta si dubiti del modo in cui concetti relativi alla nostra esperienza abbiano effettivamente a che vedere con quest’ultima. La domanda sul senso dell’applicazione scaturisce dalla rottura di un rapporto immediato di teoria e prassi, e coincide con il tentativo di pensarne – oltre che metterne in pratica – una ricomposizione. Poiché la declinazione etica della tensione di teoria e prassi sembra condurre in modo più immediato ai termini costitutivi della questione, il problema generale dell’applicazione sarà indagato a partire dall’esperienza morale.Se il tema generale della ricerca sono i modi in cui nel dibattito odierno ci si riferisce all’applicazione morale, la domanda circa l’essenza delle etiche applicate ne tesse il filo conduttore. Infatti, le etiche applicate hanno riproposto con vigore la questione dell’applicazione morale. La loro radicale assunzione del problema apre un nuovo accesso, proprio dell’età in cui si rende disponibile, alla generale problematica dell’esperienza morale. Ciò rende la vicenda delle etiche applicate tanto preziosa da un punto di vista filosofico.
La Parte prima ha l’intento di presentare i modi principali in cui si parla di applicazione in etica applicata. Il paradigma più diffuso, a cui mi riferisco con il nome di concetto strumentale di applicazione [§ I], risulta definito nei suoi tratti fondamentali e nel ruolo che può giocare nella discussione: non resta che lasciarne emergere le caratteristiche principali tramite lo studio delle proposte che lo assumono. Oltre a ciò, nel dibattito si fa riferimento – con intenti polemici rispetto al primo – ad una diversa impostazione del problema, evitando però di svilupparne appieno strutture e implicazioni. Parlerò, in questo caso, di concetto ermeneutico di applicazione. Nei suoi confronti, il compito consiste nel tracciarne il profilo e nell’esplicitarne, per quanto possibile, le linee costitutive essenziali [§ II]. Sarà dunque necessario prenderne direttamente in considerazione il presupposto, tanto spesso invocato quanto raramente assunto nella sua interezza: l’ermeneutica filosofica di Gadamer.
Una volta composto il panorama delle alternative, si deve metterle alla prova. Il paradigma strumentale rappresenta il senso ordinario tramite cui si comprende e si dice l’applicazione, mentre la controparte ermeneutica, oltre ad essere il frutto di una riflessione filosofica che fatica a penetrare nel linguaggio comune, rimane un riferimento confuso a cui si ricorre perlopiù in sede polemica. Perciò, la Parte seconda della ricerca ha l’intento di offrire una valutazione critica del concetto strumentale di applicazione, volta a sottolinearne i presupposti, a comprenderne il senso e a saggiarne pregi e mancanze.
Il § III è dedicato alla contestualizzazione del modello strumentale di applicazione. Esso ricalca il modo in cui il rapporto di teoria e prassi è strutturato nella scienza tecnologica moderna. Bisogna allora rivolgersi al suo contesto originario, così da intendere non solo i motivi che rendono il modello tanto attraente agli occhi delle etiche applicate, ma anche i presupposti che un suo trasferimento in ambito morale è destinato a portare con sé. Ciò sarà conseguito rivolgendo l’attenzione ad alcuni saggi e documenti inediti di Hans Jonas.
Il paradigma strumentale si realizza appieno nel tentativo di una teoria scientifico-tecnologica del giudizio e dell’esperienza morali. Questo è lo scopo della machine ethics, o etica delle macchine, perseguito tramite lo sviluppo di programmi in grado di adeguare il funzionamento dei nostri automatismi ai valori morali che riteniamo degni di rispetto e affermazione. Con il progetto dell’agente morale artificiale il concetto strumentale di applicazione, che pensa l’azione nei termini dello svolgimento di funzioni, raggiunge la massima esplicazione delle sue potenzialità.
Il rispecchiamento di uomo e macchina però, mediato soprattutto dal linguaggio, è tanto spontaneo quanto sospetto. Se, sotto certi aspetti, può illuminare alcuni lati del fenomeno, altri – fondamentali – li confonde. La riproduzione tecnologica del giudizio non può ambire al dominio esclusivo del fenomeno dell’esperienza morale. Al contrario, essa esibisce importanti limiti prospettici, che la rendono cieca nei confronti di un carattere del tutto cruciale (almeno da un punto di vista filosofico) dell’esperienza morale umana.
Se il filo conduttore non ha sviato la riflessione, una teoria unitaria delle etiche applicate sembra non poter fare affidamento sul solo concetto strumentale di applicazione. Esso perde un elemento distintivo dell’agire umano: l’autodeterminazione, la relazione libera al principio, su cui si fonda l’autonomia morale. Al contrario, questo carattere si situa al centro dell’idea ermeneutica di applicazione. Lo sforzo di autocomprensione delle etiche applicate potrebbe così trovare nella filosofia ermeneutica una degna compagna di strada.
Fino a che punto, però, le due possono condividere il cammino? Se la filosofia ermeneutica, come una cartina al tornasole, può lasciar apparire per contrasto i limiti del paradigma concorrente, l’attrazione delle etiche applicate per il concetto strumentale di applicazione non è ingiustificata, ma è frutto di precise esigenze. Come risponde la filosofia ermeneutica a questi bisogni? Oltre a indicare le mancanze del modello strumentale, è anche in grado di riscattarne i pregi? La filosofia ermeneutica non sembra poter ambire a ciò, a meno di passare attraverso ad un profondo ripensamento delle proprie strutture. Al posto di una conclusione, dunque, propongo un semplice epilogo. Se una risposta definitiva al problema dell’applicazione morale non viene data, si è però articolata in modo rigoroso la domanda per ulteriori ricerche.
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