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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-01162014-143003


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale
Autore
ZAPPIA, FRANCESCA
URN
etd-01162014-143003
Titolo
Sacerdoti epigrafisti nell'Italia pre-unitaria: il gesuita S.A. Morcelli e il barnabita R. Notari. Due stili a confronto
Dipartimento
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
Corso di studi
FILOLOGIA E STORIA DELL'ANTICHITA'
Relatori
relatore Prof. Salmeri, Giovanni
correlatore Prof. Letta, Cesare
Parole chiave
  • Morcelli
  • gesuiti
  • epigrafia
  • barnabiti
  • Notari
Data inizio appello
10/02/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Volendo offrire un quadro completo dei generi dell'epigrafia classica, esemplificando con centinaia di epigrafi antiche e un certo numero anche di moderne, il gesuita Stefano Antonio Morcelli con il suo De Stilo Inscriptionum Latinarum fa iniziare la vera e propria storia dell'epigrafia neolatina più moderna, e anche, entro certi limiti, della contemporanea epigrafia italiana. Con ciò si voglia alludere all'opera di Raffaele Notari, Trattato dell'epigrafia latina e italiana, la quale invita a leggere «il classico libro del Morcelli», riconoscendo l'applicabilità all'italiano delle regole dell'epigrafia latina.
Nell'epigrafia del primo Ottocento si può distinguere da un lato la posizione dei difensore delle iscrizioni latine (Cesari), e dall'altro quella dei sostenitori delle epigrafi volgari (Giordani, Muzzi e Manuzzi). Il modello principale di riferimento per gli epigrafisti dell'epoca, sia per coloro che difendono il primato dell'iscrizione in lingua latina, sia per i difensori dell'epigrafia volgare (tra gli altri anche il barnabita Notari), resta il gesuita Morcelli, che si contrappone a quello barocco, espresso ne Il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro.
E variegati rimangono del Morcelli gli aspetti culturali della poliedrica personalità della fine del Settecento e dell'inizio dell'Ottocento, a contatto con le maggiori figure della cultura nazionale, che, se rimase figlio del suo tempo, indubbiamente con il De Stilo era riuscito a segnare una consistente svolta innovativa, un'opera che, con tutta la sua complessità strutturale, l'originalità, lo spessore delle informazioni profuse, il rigore di metodo, ebbe, vista la rapida diffusione nel mondo accademico, una seconda edizione, da posizionarsi tra due dei maggiori lavori che segnarono la seconda metà del Settecento e la prima dell'Ottocento.
È in questo contesto che si inserisce pienamente Raffaele Notari, per uno slancio d'apertura al nuovo, alla lingua italiana, al così tanto professato materno linguaggio, e il restare, volutamente, ancorato alla tradizione, difendendone senza alcun risparmio gli antichi esempi di virtù e rigore letterario, compilando un Trattato di epigrafia, non a caso, latina e italiana insieme, quasi a voler suggellare che il nuovo, pur necessario, senza l'ausilio dell'antico non trova nessuna ragione d'essere.
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