Tesi etd-01162014-112807 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
MARCHINI, FRANCESCA
URN
etd-01162014-112807
Titolo
Le intercettazioni fra esigenze repressive, tutela della riservatezza e immunità della politica
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof.ssa Malfatti, Elena
Parole chiave
- Capo dello Stato
- diritto alla riservatezza
- immunità parlamentari
- intercettazioni
- membri del Governo
- parlamentari europei
Data inizio appello
05/02/2014
Consultabilità
Completa
Riassunto
Il presente elaborato ha ad oggetto l’analisi dei più significativi aspetti di rilevanza costituzionale connessi alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni: uno strumento investigativo che, negli ultimi anni, è stato al centro di accese polemiche e prospettive di riforma.
Non si deve dimenticare, infatti, che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e l’utilizzo di tecniche di captazione sempre più avanzate hanno determinato, al contempo, nuove opportunità di confronto interpersonale, ma anche più penetranti forme di restrizione della libertà e segretezza delle comunicazioni ponendo, sul piano dei limiti delle garanzie costituzionali, innumerevoli problematiche specie in ordine ai rapporti tra l’art. 15 della Costituzione e l’utilizzo di mezzi di ricerca della prova fortemente limitativi dei diritti e delle libertà del singolo.
In particolare, le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, pur rappresentando un efficace mezzo di ricerca della prova, comportano, allo stesso tempo, un’evidente invasione nella sfera di riservatezza del cittadino: da qui la necessità di bilanciare, da un lato, le esigenze di prevenzione e repressione dei reati a fini di sicurezza e controllo sociale, dall'altro, la tutela dei soggetti privati in relazione alla loro privacy.
La prima parte del lavoro è, per questo, dedicata all'esame di quelle che sono le più significative problematiche in ordine alla compatibilità con il dettato costituzionale della disciplina contenuta nel codice di procedura penale del 1988 in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e quindi le questioni relative al bilanciamento di interessi tra inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione ed esigenze di prevenzione e repressione dei reati, nonché tra privacy e pubblicità dei processi penali.
Sarà, dunque, necessario, preliminarmente, ricostruire la portata della garanzia costituzionale delle comunicazioni riservate, al fine di stabilire quale sia il confine, in ordine alle restrizioni da essa ammissibili, tra legittime esigenze di repressione penale e utilizzo strumentale o arbitrario delle stesse; soltanto alla luce della stessa, infatti, sarà possibile cogliere i più significativi punti critici della disciplina codicistica in materia di intercettazioni, tra i quali quello relativo alla pubblicità degli atti d’indagine è sicuramente il più importante e il più discusso.
E’ proprio attorno a questo aspetto, infatti, che ruotano i più recenti progetti di riforma, dal d.d.l Mastella, al d.d.l Alfano, sino ad arrivare a quelli presentati nel corso di questa legislatura e attualmente all'esame delle Camere. Tutti mossi da un comune intento: quello di limitare la possibilità che gli atti d’indagine, tra cui i verbali delle intercettazioni, possano fuoriuscire dal circuito procedimentale ed essere pubblicati indiscriminatamente dagli organi di stampa. Esigenza particolarmente sentita, se si considera che la prassi degli ultimi anni ha fatto registrare un incremento notevole dei casi in cui il contenuto delle conversazioni captate è stato divulgato a mezzo stampa, con conseguente violazione del segreto istruttorio e della riservatezza dei soggetti coinvolti, talora addirittura estranei alle vicende giudiziarie.
Solo dopo aver analizzato questi aspetti connessi alla disciplina delle intercettazioni prevista, in generale, nei confronti dei quivis de populo e contenuta nel codice di procedura penale del 1988, l’attenzione sarà posta su un tema che, negli ultimi anni ha fatto molto parlare di sé: quello relativo all'utilizzo di strumenti d’indagine particolarmente invasivi, quali le intercettazioni, nei confronti di soggetti titolari di prerogative costituzionali. Da questo punto di vista verranno esaminate le discipline previste dalla Carta costituzionale (e dalle rispettive norme di attuazione) nei confronti dei più importanti “attori” istituzionali dell’ordinamento italiano: dai parlamentari, ai membri del Governo, al Presidente della Repubblica, sino ad arrivare ai giudici della Corte costituzionale.
Il secondo capitolo del presente elaborato è, infatti, interamente dedicato all'analisi del delicato rapporto tra uso delle intercettazioni e immunità parlamentari: tema che si presenta particolarmente interessante se si considera che, a seguito della riforma costituzionale dell’art. 68 (attuata con la legge cost. n. 3 del 1993), l’uso di tale strumento investigativo viene subordinato ad un’espressa autorizzazione della Camera di appartenenza, in modo da preservare la funzione parlamentare da indebite interferenze o condizionamenti. Si tratta di una previsione che, sin dalla sua entrata in vigore, è stata oggetto di critiche provenienti sia dal mondo istituzionale che accademico, anche se l’attenzione dei commentatori si è posta soprattutto sulla relativa normativa di attuazione (la legge n. 140 del 2003), la quale opera un’ingiustificata (e a tratti incostituzionale) distinzione tra intercettazioni “dirette” e “indirette”.
Da questo punto di vista, sarà, dunque, significativo l’esame della successiva prassi parlamentare instauratasi e delle pronunce della Corte costituzionale rese in materia, le quali condurranno ad un progressivo “smantellamento” della configurazione originaria della legge in questione.
Al fine di garantire una più adeguata ed esauriente disamina del tema in esame, saranno, altresì, analizzati i più significativi orientamenti della “giurisprudenza” parlamentare dal 1993 (anno della riforma costituzionale) ad oggi, in modo da individuare, da una parte, i criteri seguiti dalle Camere nelle decisioni sulla concessione o meno dell’autorizzazione, e il loro perfezionamento a distanza di vent'anni dall'introduzione della prerogativa; dall'altra, le principali differenze tra le strade percorse dalle due Camere, senza dubbio espressione dei c.d. Interna Corporis.
Il lavoro proseguirà, come anticipato, con la disamina della disciplina prevista in materia di intercettazioni nei confronti dei Ministri e del Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'ambito dei procedimenti per i reati indicati dall'art. 96 della Costituzione, contenuta nell'art. 10 della legge cost. 16 gennaio 1989, n.1; il quale prevede espressamente che gli stessi non possano essere sottoposti a tali strumenti investigativi se non previa autorizzazione della Camera competente.
Per comprendere appieno la portata della disposizione e, con essa, le principali differenze rispetto all'autorizzazione richiesta nei confronti dei parlamentari, sarà necessario compiere un breve excursus storico, in modo da cogliere le ragioni che hanno condotto ad abbandonare il sistema della c.d. “giustizia politica” e a ricondurre l’accertamento dei reati compiuti dai membri dell’Esecutivo nell'ambito della giurisdizione ordinaria; nonché le ragioni che hanno indotto a mantenere nei loro confronti una peculiare tutela che si estrinseca, per l’appunto, nella necessità di un’autorizzazione da parte del Parlamento sia ai fini del procedere, sia allo scopo di compiere taluni atti investigativi, tra i quali le intercettazioni.
Solo successivamente saranno analizzate le speciali prerogative riconosciute al Capo dello Stato, le loro origini storiche e la ratio posta a fondamento delle stesse, con particolare attenzione alla disciplina sul procedimento d’accusa e ai limiti in essa contemplati in ordine alla possibilità di sottoporre ad intercettazione le sue utenze.
Tuttavia, sia le prerogative riconosciute in materia nei confronti dei membri del Governo che nei confronti del Presidente della Repubblica rivestono, ad oggi, valore puramente teorico, dato che non hanno mai trovato concreta applicazione.
Rispetto a questi organi di rilevanza costituzionale, infatti, le più accese polemiche hanno riguardato casi di diffusione a mezzo stampa del contenuto di intercettazioni disposte nell'ambito di procedimenti a carico di terzi nelle quali essi comparivano come casuali interlocutori. Ne sono un esempio eclatante l’affaire Napolitano e il “caso Ligresti” che ha coinvolto, più di recente, il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, ai quali sarà dedicata particolare attenzione nel corso della trattazione.
Per completezza d’indagine, non si possono trascurare, inoltre, le speciali prerogative di ordine procedurale riconosciute ai membri della Consulta dalla legge costituzionale n. 1 del 1948, le quali saranno analizzate per verificare se anche nei loro confronti, pur in assenza di una specifica disposizione sul punto, sussistano o meno dei limiti all'utilizzo di mezzi di ricerca della prova particolarmente invasivi, quali le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.
Si tratta, com'è evidente, di discipline che differiscono tra loro in maniera profonda e ciò è dovuto principalmente alla diversa origine e ratio delle immunità riconosciute agli organi costituzionali di vertice. Per quel che strettamente riguarda l’inviolabilità dei membri del Parlamento, alla quale è stata dedicata particolare attenzione nell'ambito di questo elaborato (anche, e soprattutto, alla luce delle più recenti pronunce della Corte costituzionale), è parso opportuno allargare l’analisi al panorama sovranazionale e comparato.
Da un lato, infatti, sarà presa in esame l’immunità parlamentare europea, in ragione dell’accresciuta importanza del Parlamento, non solo come produttore di normativa ma anche come motore politico dell’Unione, guardando, non soltanto ai principali aspetti di iterazione tra normativa interna e comunitaria, ma, altresì, ad alcuni casi concretamente affrontati dalla competente Commissione. Dall'altra, invece, si prenderà in esame l’esperienza di alcuni tra i più importanti ordinamenti democratici contemporanei, al fine di analizzare le rispettive soluzioni adottate in materia di intercettazioni a carico dei membri del Parlamento e cogliere, dunque, le principali differenze rispetto a quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale.
Non si deve dimenticare, infatti, che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e l’utilizzo di tecniche di captazione sempre più avanzate hanno determinato, al contempo, nuove opportunità di confronto interpersonale, ma anche più penetranti forme di restrizione della libertà e segretezza delle comunicazioni ponendo, sul piano dei limiti delle garanzie costituzionali, innumerevoli problematiche specie in ordine ai rapporti tra l’art. 15 della Costituzione e l’utilizzo di mezzi di ricerca della prova fortemente limitativi dei diritti e delle libertà del singolo.
In particolare, le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, pur rappresentando un efficace mezzo di ricerca della prova, comportano, allo stesso tempo, un’evidente invasione nella sfera di riservatezza del cittadino: da qui la necessità di bilanciare, da un lato, le esigenze di prevenzione e repressione dei reati a fini di sicurezza e controllo sociale, dall'altro, la tutela dei soggetti privati in relazione alla loro privacy.
La prima parte del lavoro è, per questo, dedicata all'esame di quelle che sono le più significative problematiche in ordine alla compatibilità con il dettato costituzionale della disciplina contenuta nel codice di procedura penale del 1988 in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e quindi le questioni relative al bilanciamento di interessi tra inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione ed esigenze di prevenzione e repressione dei reati, nonché tra privacy e pubblicità dei processi penali.
Sarà, dunque, necessario, preliminarmente, ricostruire la portata della garanzia costituzionale delle comunicazioni riservate, al fine di stabilire quale sia il confine, in ordine alle restrizioni da essa ammissibili, tra legittime esigenze di repressione penale e utilizzo strumentale o arbitrario delle stesse; soltanto alla luce della stessa, infatti, sarà possibile cogliere i più significativi punti critici della disciplina codicistica in materia di intercettazioni, tra i quali quello relativo alla pubblicità degli atti d’indagine è sicuramente il più importante e il più discusso.
E’ proprio attorno a questo aspetto, infatti, che ruotano i più recenti progetti di riforma, dal d.d.l Mastella, al d.d.l Alfano, sino ad arrivare a quelli presentati nel corso di questa legislatura e attualmente all'esame delle Camere. Tutti mossi da un comune intento: quello di limitare la possibilità che gli atti d’indagine, tra cui i verbali delle intercettazioni, possano fuoriuscire dal circuito procedimentale ed essere pubblicati indiscriminatamente dagli organi di stampa. Esigenza particolarmente sentita, se si considera che la prassi degli ultimi anni ha fatto registrare un incremento notevole dei casi in cui il contenuto delle conversazioni captate è stato divulgato a mezzo stampa, con conseguente violazione del segreto istruttorio e della riservatezza dei soggetti coinvolti, talora addirittura estranei alle vicende giudiziarie.
Solo dopo aver analizzato questi aspetti connessi alla disciplina delle intercettazioni prevista, in generale, nei confronti dei quivis de populo e contenuta nel codice di procedura penale del 1988, l’attenzione sarà posta su un tema che, negli ultimi anni ha fatto molto parlare di sé: quello relativo all'utilizzo di strumenti d’indagine particolarmente invasivi, quali le intercettazioni, nei confronti di soggetti titolari di prerogative costituzionali. Da questo punto di vista verranno esaminate le discipline previste dalla Carta costituzionale (e dalle rispettive norme di attuazione) nei confronti dei più importanti “attori” istituzionali dell’ordinamento italiano: dai parlamentari, ai membri del Governo, al Presidente della Repubblica, sino ad arrivare ai giudici della Corte costituzionale.
Il secondo capitolo del presente elaborato è, infatti, interamente dedicato all'analisi del delicato rapporto tra uso delle intercettazioni e immunità parlamentari: tema che si presenta particolarmente interessante se si considera che, a seguito della riforma costituzionale dell’art. 68 (attuata con la legge cost. n. 3 del 1993), l’uso di tale strumento investigativo viene subordinato ad un’espressa autorizzazione della Camera di appartenenza, in modo da preservare la funzione parlamentare da indebite interferenze o condizionamenti. Si tratta di una previsione che, sin dalla sua entrata in vigore, è stata oggetto di critiche provenienti sia dal mondo istituzionale che accademico, anche se l’attenzione dei commentatori si è posta soprattutto sulla relativa normativa di attuazione (la legge n. 140 del 2003), la quale opera un’ingiustificata (e a tratti incostituzionale) distinzione tra intercettazioni “dirette” e “indirette”.
Da questo punto di vista, sarà, dunque, significativo l’esame della successiva prassi parlamentare instauratasi e delle pronunce della Corte costituzionale rese in materia, le quali condurranno ad un progressivo “smantellamento” della configurazione originaria della legge in questione.
Al fine di garantire una più adeguata ed esauriente disamina del tema in esame, saranno, altresì, analizzati i più significativi orientamenti della “giurisprudenza” parlamentare dal 1993 (anno della riforma costituzionale) ad oggi, in modo da individuare, da una parte, i criteri seguiti dalle Camere nelle decisioni sulla concessione o meno dell’autorizzazione, e il loro perfezionamento a distanza di vent'anni dall'introduzione della prerogativa; dall'altra, le principali differenze tra le strade percorse dalle due Camere, senza dubbio espressione dei c.d. Interna Corporis.
Il lavoro proseguirà, come anticipato, con la disamina della disciplina prevista in materia di intercettazioni nei confronti dei Ministri e del Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'ambito dei procedimenti per i reati indicati dall'art. 96 della Costituzione, contenuta nell'art. 10 della legge cost. 16 gennaio 1989, n.1; il quale prevede espressamente che gli stessi non possano essere sottoposti a tali strumenti investigativi se non previa autorizzazione della Camera competente.
Per comprendere appieno la portata della disposizione e, con essa, le principali differenze rispetto all'autorizzazione richiesta nei confronti dei parlamentari, sarà necessario compiere un breve excursus storico, in modo da cogliere le ragioni che hanno condotto ad abbandonare il sistema della c.d. “giustizia politica” e a ricondurre l’accertamento dei reati compiuti dai membri dell’Esecutivo nell'ambito della giurisdizione ordinaria; nonché le ragioni che hanno indotto a mantenere nei loro confronti una peculiare tutela che si estrinseca, per l’appunto, nella necessità di un’autorizzazione da parte del Parlamento sia ai fini del procedere, sia allo scopo di compiere taluni atti investigativi, tra i quali le intercettazioni.
Solo successivamente saranno analizzate le speciali prerogative riconosciute al Capo dello Stato, le loro origini storiche e la ratio posta a fondamento delle stesse, con particolare attenzione alla disciplina sul procedimento d’accusa e ai limiti in essa contemplati in ordine alla possibilità di sottoporre ad intercettazione le sue utenze.
Tuttavia, sia le prerogative riconosciute in materia nei confronti dei membri del Governo che nei confronti del Presidente della Repubblica rivestono, ad oggi, valore puramente teorico, dato che non hanno mai trovato concreta applicazione.
Rispetto a questi organi di rilevanza costituzionale, infatti, le più accese polemiche hanno riguardato casi di diffusione a mezzo stampa del contenuto di intercettazioni disposte nell'ambito di procedimenti a carico di terzi nelle quali essi comparivano come casuali interlocutori. Ne sono un esempio eclatante l’affaire Napolitano e il “caso Ligresti” che ha coinvolto, più di recente, il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, ai quali sarà dedicata particolare attenzione nel corso della trattazione.
Per completezza d’indagine, non si possono trascurare, inoltre, le speciali prerogative di ordine procedurale riconosciute ai membri della Consulta dalla legge costituzionale n. 1 del 1948, le quali saranno analizzate per verificare se anche nei loro confronti, pur in assenza di una specifica disposizione sul punto, sussistano o meno dei limiti all'utilizzo di mezzi di ricerca della prova particolarmente invasivi, quali le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.
Si tratta, com'è evidente, di discipline che differiscono tra loro in maniera profonda e ciò è dovuto principalmente alla diversa origine e ratio delle immunità riconosciute agli organi costituzionali di vertice. Per quel che strettamente riguarda l’inviolabilità dei membri del Parlamento, alla quale è stata dedicata particolare attenzione nell'ambito di questo elaborato (anche, e soprattutto, alla luce delle più recenti pronunce della Corte costituzionale), è parso opportuno allargare l’analisi al panorama sovranazionale e comparato.
Da un lato, infatti, sarà presa in esame l’immunità parlamentare europea, in ragione dell’accresciuta importanza del Parlamento, non solo come produttore di normativa ma anche come motore politico dell’Unione, guardando, non soltanto ai principali aspetti di iterazione tra normativa interna e comunitaria, ma, altresì, ad alcuni casi concretamente affrontati dalla competente Commissione. Dall'altra, invece, si prenderà in esame l’esperienza di alcuni tra i più importanti ordinamenti democratici contemporanei, al fine di analizzare le rispettive soluzioni adottate in materia di intercettazioni a carico dei membri del Parlamento e cogliere, dunque, le principali differenze rispetto a quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale.
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