Tesi etd-01152019-162741 |
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Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
MIGLIORE, MICHELA
URN
etd-01152019-162741
Titolo
La responsabilità "amministrativa" degli enti con sede all'estero.
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Marzaduri, Enrico
Parole chiave
- enti
- responsabilità
- responsabilità amministrativa
- sedi estere
Data inizio appello
04/02/2019
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
04/02/2089
Riassunto
L’esigenza di una accentuata globalizzazione dei mercati finanziari ed economici tipica dei tempi in cui viviamo, comporta per le attività imprenditoriali la necessità che queste assumano una dimensione internazionale, le società per essere competitive, devono essere in grado di operare in un ambiente sempre più vasto, e ciò ha comportato la nascita progressiva di imprese multinazionali.
Per le società che hanno sede in Italia ma operano in più mercati, la diffusione della responsabilità degli enti sia a livello comunitario, che al di fuori dei confini dell’Europa, è divenuta un argomento centrale nella valutazione dei rischi. Dall’analisi del sistema socio - economico e dalla lettura del nuovo diritto societario, si deduce che il fenomeno dei gruppi di imprese rimane nel substrato del sistema normativo che ha dato origine alla responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. Nonostante la complessa normativa del codice dell’illecito amministrativo dipendente da reato racchiuso nel d.lgs. n. 231/2001, quest’ultimo non si sofferma sul rischio penale delineabile nei gruppi di imprese. Il legislatore dedica poco spazio alla dimensione internazionale relativa agli enti operanti in una pluralità di ordinamenti, in particolare fa riferimento alla sola ipotesi dell’art. 4 del d.lgs. 231/2001, ignorando del tutto il caso inverso in cui sia un soggetto societario straniero a dover rispondere per i reati commessi in territorio italiano dai suoi esponenti. L’esperienza giudiziaria ha dall’altra parte affrontato più volte questo problema dando forma ad una casistica non trascurabile relativa ai gruppi societari, ma prima di addentrarci fra gli orientamenti giurisprudenziali è necessario capire quale sia la base formata dai principi generali su cui si ergono le norme del nuovo diritto societario e le disposizioni del d.lgs.231/2001.
La prima parte che compone la base è data dal profilo civilistico.
« Il gruppo di imprese è una frammentazione di una pluralità di società, per cui a ciascuna delle società componenti il gruppo corrisponde, quale oggetto sociale, un distinto settore di attività, o una distinta fase del processo produttivo. Al vertice del gruppo di società si pone una società madre, o capogruppo, detta anche holding, la quale, di solito, non svolge alcuna attività di produzione o di scambio, ma si limita a dirigere le società del gruppo, controllandole mediante il possesso del pacchetto di maggioranza del capitale sociale (controllo di diritto) o con la possibilità di imporre la propria volontà in assemblea (controllo di fatto) » .
L’organizzazione posta allo scopo di prevenire i reati spetta, nonostante l’esistenza del gruppo, ai singoli enti facenti parte dell’aggregato societario. A norma degli articoli 6 e 7 del d.lgs. 231/2001 non è possibile porre un controllo centrale, infatti un accordo fra i compliance program, che rimandi ai poteri di intervento dell’organismo di vigilanza risulta contra legem.
Tutto ciò sembra andare contro i poteri di direzione unitaria riconosciuti alla capogruppo dall’art. 2497 c.c.. Le norme di prevenzione del rischio penale di impresa intimano di non andare oltre i confini di ogni ente. L’art. 6 del d.lgs. 231/2001 pone dei poteri di direzione e vigilanza anche nei confronti dei soggetti apicali, tale per cui non è prospettabile che un organismo indipendente rispetto alla governance possa essere sottoposta a obblighi derivanti dalla capogruppo o dal sul organismo di vigilanza. La direzione unitaria data dalla capogruppo risulterebbe non idonea alle esigenze delle diverse imprese, risulterebbero delle mancanze nella persecuzione degli obiettivi di specificità e di adeguatezza, stabilite nell’art. 231/2001 . I modelli richiesti dalla legislazione devono avere determinate caratteristiche, devono essere « idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi », le misure « volte ad eliminare e scoprire le situazioni di rischio » devono essere misurate sulla natura delle attività e sulle dimensioni della organizzazione. La lontananza della holding, comporta una incapacità della stessa di capire quali siano le esigenze di prevenzione e al contempo di poter monitorare la gestione del modello e i cambiamenti dell’organizzazione e delle attività che necessitano in base alle misure preventive.
Quindi in conclusione, nel gruppo di imprese nonostante vi sia la direzione unitaria della capogruppo, le singole società devono assumersi singolarmente il rischio penale.
Per le società che hanno sede in Italia ma operano in più mercati, la diffusione della responsabilità degli enti sia a livello comunitario, che al di fuori dei confini dell’Europa, è divenuta un argomento centrale nella valutazione dei rischi. Dall’analisi del sistema socio - economico e dalla lettura del nuovo diritto societario, si deduce che il fenomeno dei gruppi di imprese rimane nel substrato del sistema normativo che ha dato origine alla responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. Nonostante la complessa normativa del codice dell’illecito amministrativo dipendente da reato racchiuso nel d.lgs. n. 231/2001, quest’ultimo non si sofferma sul rischio penale delineabile nei gruppi di imprese. Il legislatore dedica poco spazio alla dimensione internazionale relativa agli enti operanti in una pluralità di ordinamenti, in particolare fa riferimento alla sola ipotesi dell’art. 4 del d.lgs. 231/2001, ignorando del tutto il caso inverso in cui sia un soggetto societario straniero a dover rispondere per i reati commessi in territorio italiano dai suoi esponenti. L’esperienza giudiziaria ha dall’altra parte affrontato più volte questo problema dando forma ad una casistica non trascurabile relativa ai gruppi societari, ma prima di addentrarci fra gli orientamenti giurisprudenziali è necessario capire quale sia la base formata dai principi generali su cui si ergono le norme del nuovo diritto societario e le disposizioni del d.lgs.231/2001.
La prima parte che compone la base è data dal profilo civilistico.
« Il gruppo di imprese è una frammentazione di una pluralità di società, per cui a ciascuna delle società componenti il gruppo corrisponde, quale oggetto sociale, un distinto settore di attività, o una distinta fase del processo produttivo. Al vertice del gruppo di società si pone una società madre, o capogruppo, detta anche holding, la quale, di solito, non svolge alcuna attività di produzione o di scambio, ma si limita a dirigere le società del gruppo, controllandole mediante il possesso del pacchetto di maggioranza del capitale sociale (controllo di diritto) o con la possibilità di imporre la propria volontà in assemblea (controllo di fatto) » .
L’organizzazione posta allo scopo di prevenire i reati spetta, nonostante l’esistenza del gruppo, ai singoli enti facenti parte dell’aggregato societario. A norma degli articoli 6 e 7 del d.lgs. 231/2001 non è possibile porre un controllo centrale, infatti un accordo fra i compliance program, che rimandi ai poteri di intervento dell’organismo di vigilanza risulta contra legem.
Tutto ciò sembra andare contro i poteri di direzione unitaria riconosciuti alla capogruppo dall’art. 2497 c.c.. Le norme di prevenzione del rischio penale di impresa intimano di non andare oltre i confini di ogni ente. L’art. 6 del d.lgs. 231/2001 pone dei poteri di direzione e vigilanza anche nei confronti dei soggetti apicali, tale per cui non è prospettabile che un organismo indipendente rispetto alla governance possa essere sottoposta a obblighi derivanti dalla capogruppo o dal sul organismo di vigilanza. La direzione unitaria data dalla capogruppo risulterebbe non idonea alle esigenze delle diverse imprese, risulterebbero delle mancanze nella persecuzione degli obiettivi di specificità e di adeguatezza, stabilite nell’art. 231/2001 . I modelli richiesti dalla legislazione devono avere determinate caratteristiche, devono essere « idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi », le misure « volte ad eliminare e scoprire le situazioni di rischio » devono essere misurate sulla natura delle attività e sulle dimensioni della organizzazione. La lontananza della holding, comporta una incapacità della stessa di capire quali siano le esigenze di prevenzione e al contempo di poter monitorare la gestione del modello e i cambiamenti dell’organizzazione e delle attività che necessitano in base alle misure preventive.
Quindi in conclusione, nel gruppo di imprese nonostante vi sia la direzione unitaria della capogruppo, le singole società devono assumersi singolarmente il rischio penale.
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