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Archivio digitale delle tesi discusse presso l’Università di Pisa

Tesi etd-01102021-115614


Tipo di tesi
Tesi di laurea magistrale LM5
Autore
D'AGOSTINO, MARIKA
URN
etd-01102021-115614
Titolo
Criminalità d'impresa e impresa criminale nel quadro della responsabilità degli enti da reato
Dipartimento
GIURISPRUDENZA
Corso di studi
GIURISPRUDENZA
Relatori
relatore Prof. Notaro, Domenico
Parole chiave
  • criminalità d'impresa
  • impresa criminale
  • responsabilità degli enti da reato
  • d.lgs. 231/2001
  • impresa intrinsecamente illecita
Data inizio appello
01/02/2021
Consultabilità
Non consultabile
Data di rilascio
01/02/2061
Riassunto
Il proposito della presente ricerca è quello di mettere in luce le peculiarità del rapporto tra il diritto penale e l’impresa – nelle sue molteplici vesti di impresa lecita, illecita e criminale -.
La prima parte dell’elaborato intende soffermarsi sulle caratteristiche dell’impresa che opera nel mercato, per poi saggiare i suoi profili di illiceità, nell’arduo tentativo di delineare il concetto di impresa illecita.
L’impresa è, infatti, non solo “luogo di produzione”, ma anche potenziale “luogo di commissione di reati”, tanto più vasto quanto più ampi sono i confini legali dell’impresa e quanto più elevato è il numero delle imprese operanti nel mercato.
Sebbene tale constatazione sia oggi indiscussa, in realtà, in passato, per il pensiero giuridico la criminalità era soltanto quella delle persone fisiche. Repentinamente i sistemi giuridici hanno dovuto scontrarsi con un’emergente e innegabile realtà: la criminalità delle imprese.
Si procederà, dunque, nel corso del primo capitolo, ad individuare le caratteristiche fondamentali della criminalità d’impresa, individuata anche nei possibili rapporti di fatto che si instaurano con la criminalità organizzata.
La ricerca di un trait d’union tra l’impresa, il diritto penale e, in ultima istanza, le forme di criminalità, impone – preso atto del necessario ausilio delle scienze empiriche – un’indagine sui profili criminologici del crimine d’impresa, declinato dapprima nell’espressione “white collar crime” e poi in quella di “corporate crime”, locuzione quest’ultima che condensa gli illeciti commessi avvalendosi delle strutture organizzate delle corporation.
In tale rinnovato contesto, la minaccia a considerevoli beni giuridici da parte delle imprese si impone all’attenzione degli operatori del diritto, così come la consapevolezza dell’incapacità dei tradizionali strumenti giuridici penali a fronteggiarla. Come sempre, l’osservazione della realtà criminologica allerta il legislatore e lo indirizza nelle scelte politico-criminali.
Non meraviglia, dunque, che, allo scopo di allestire una più efficace tutela contro questa fascia di criminalità certamente grave e pervasiva, tra le tecniche normative elaborate quella presumibilmente più efficace e lineare consiste nell’orientare l’intervento punitivo direttamente sull’ente collettivo.
Ebbene, è in questo contesto che irrompe il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, che ha introdotto un inedito paradigma di responsabilità da reato dei soggetti meta-individuali.
Nel secondo capitolo dell’elaborato si analizzano le premesse storicoculturali che impedivano di ascrivere in capo al soggetto collettivo una responsabilità di tipo penale, come testimoniato dal noto brocardo “societas delinquere non potest”. Come acutamente osservato dal giurista Paliero, “evocare, in politica criminale, il vecchio brocardo societas delinquere non potest più che irrealistico sembra, oggi, surreale”. Si è constatato, infatti, - rovesciando l’assioma tradizionale dell’irresponsabilità penale dell’ente – che è la “societas a potere e, di fatto, volere delinquere” .
Con l’introduzione del decreto 231/2001 si è, dunque, compiuta una svolta, alla quale non può non attribuirsi una forte valenza simbolica e culturale: da allora in avanti, la societas può essere chiamata a rispondere “in prima persona”, davanti a un giudice penale, di certi fatti di reato commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.
Tuttavia, la comparsa di questo nuovo attore protagonista sul proscenio del theatrum poenale non ha impedito il sorgere di un vivace dibattito dottrinale su molteplici questioni dogmatiche di fondo che restano ancora aperte.
L’elaborato non pretende di riuscire a fornire un quadro completo e approfondito delle problematiche sottese alla materia, ma si propone di mostrare uno scorcio essenziale delle fonti normative e delle riflessioni di dottrina e giurisprudenza circa la disciplina de qua. Nello specifico, nella prima parte del secondo capitolo si indaga l’assetto generale di questa nuova forma di responsabilità, analizzando i principi ispiratori della disciplina e le ragioni di politica criminale che hanno condotto all’introduzione della stessa.
L’attenzione si concentrerà, poi, proprio su tale normativa delegata e, seguendo l’ordine degli articoli, verranno dapprima analizzati i possibili destinatari della disciplina; successivamente troverà spazio una disamina dei criteri (oggettivi e soggettivi) di imputazione della responsabilità all’ente, passando infine ad esaminare la disciplina sanzionatoria delle persone giuridiche.
L’ultimo capitolo del lavoro prenderà le mosse da un’analisi dei diversi contesti criminosi d’impresa all’interno dei quali l’illecito può realizzarsi, per poi soffermarsi sul fenomeno della cd. ‘impresa intrinsecamente illecita’, vale a dire il caso di un ente totalmente dedito al crimine, il cui oggetto sia cioè proiettato in modo specifico verso la commissione di reati.
L’eventualità dell’impresa intrinsecamente illecita è presa in considerazione dal decreto 231/01 nel suo articolo 16, 3° comma, il quale, a fronte di un tale fenomeno particolarmente grave, impone una conseguenza punitiva severa e radicale, e cioè l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.
L’elaborato cercherà inoltre di concentrarsi sulla radicale novità introdotta dall’articolo 24 ter del d.lgs. 231/01, rubricato “Delitti di criminalità organizzata”, e sugli impatti che tale articolo ha avuto sul sistema della responsabilità degli enti. La ratio ispiratrice di suddetta norma può essere individuata nella necessità di reprimere e, ancor prima, di prevenire fenomeni criminali particolarmente diffusi e gravi, quali quelli associativi, approntando efficaci strumenti idonei a rafforzare l’azione contro i gruppi criminali organizzati.
Il terzo capitolo – dopo aver rimarcato le differenze tra criminalità d’impresa e impresa criminale – si conclude prospettando soluzioni e strumenti apprestati dal nostro ordinamento interno di responsabilità da reato degli enti per fronteggiare i due differenti fenomeni.
Si tratta, infatti, di due situazioni che assumono rilievo nella realtà, totalmente diverse nella loro essenza, e che perciò richiedono, sul piano giuridico, un intervento penale differenziato per modalità, intensità e obiettivi.
Nell’ipotesi dell’impresa criminale (id est, impresa intrinsecamente illecita), la conformazione della stessa appare irrecuperabile alla legalità: pertanto qui è evidente come la criminalizzazione diretta della società, insieme ai suoi membri, rappresenti l’unica soluzione razionale, in grado di estinguere, “schiacciare” la manifestazione criminosa.
Il panorama cambia completamente dinanzi al diverso fenomeno della criminalità d’impresa, rispetto al quale la reazione non può che essere al contempo repressiva, ma soprattutto preventiva. Per realizzare tale nobile obiettivo, l’azione dovrà essere mirata a neutralizzare e disattivare le specifiche fonti di rischio di reati e le disfunzioni organizzative, che altrimenti si esprimerebbero con la massima forza espansiva, liberando energie criminose intollerabili, una volta realizzata l’attività delittuosa.
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